La pillola dell’intelligenza

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“Che razza di droga era? Non sopportavo il disordine, non toccavo una sigaretta da sei ore, non avevo mangiato. Astemio e pulito. Che cavolo era?”

— Eddie Morra, Limitless

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Come il Destefenil può cambiarti la vita se non soffri di narcolessia

Cosa saremmo disposti a fare pur di realizzare i nostri desideri? Quasi tre mesi fa mi sono imbattuto in un articolo interessante pubblicato su VICE. Parlava di un medicinale di norma prescritto a narcolettici, ovvero a soggetti affetti da un’eccessiva quanto debilitante sonnolenza diurna, ma diventato presto famoso presso coloro, studenti e lavoratori, dal cui cervello è pretesa una prestazione inferenziale superiore alla media, grazie alla sua capacità di potenziare l’intelletto. Ne ero inizialmente diffidente, ma viste le difficoltà a cui io stesso sono andato incontro in quest’ultimo periodo — difficoltà i cui effetti si ripercuotono sul mio organo pensante — e dopo aver letto numerose recensioni, verso molte delle quali nutro ancora seri dubbi, ho deciso di tentare la sorte e sperimentarlo.


Il genio inosservato

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“Siete tutti così bravi, siete tutti così fighi, siete tutti così giusti eppure là fuori il mondo è ancora pieno di gente di merda”

— Charles Bukowski

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Il cigno nero vola postumo

C’è una quantità di indizi a dir poco sconcertanti che ci indicano un fatto incontrovertibile: se in Africa nasce un genio e nessuno se ne accorge, il mondo non smetterà di ruotare. Dico, Africa. Ma avrei potuto dire Europa, America, Asia, Pizzo Calabro… Forse aveva ragione Umberto Eco a scrivere: «E se il vicino di casa di Proust fosse stato tanto più bravo di lui e nessuno se ne fosse accorto, per lui sarebbe tristissimo, per l’umanità basta Proust e avanza». Che è come ammettere la fallibilità umana, ma anche un certo disinteresse individualistico di cui noi tutti, soprattutto nella contemporaneità, siamo un po’ vittime e un po’ carnefici.


“Tanta gente urla verità, ma senza stile è inutile.”

— Charles Bukowski

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Come scrivere con stile e sopravvivere a esso

Di Stile si muore. Lo sanno bene i tanti autori che pur di suffragare la propria singolarità, scelgono di non svendersi alle occorrenze editoriali. In libreria un libro che non vende è out nel giro di poche settimane: quasi subito. Un libro scritto con “stile” è quasi certo che non venderà, e un autore che non vende è defunto ancora prima che di lui ne vengano esposte le esequie. Se volete considerarvi scrittori quindi, vi conviene piazzare almeno 1200 copie del vostro prezioso manoscritto già alla sua prima edizione. Meno di così, e non siete niente. Anzi, nessuno! Ma perché lo stile non vende? Soprattutto: cos’è lo stile?

“Quello che qualifica un buon libro non è la prima lettura, ma la rilettura.”¹

In Italia c’è questa idea: per dare l’impressione che si sia scritto qualcosa di valore, nessuno dev’essere in grado di capire cosa capperi si è scritto. Non alla prima lettura almeno. Se da un lato posso capirlo, frutto dei classici latini e della lunga storia della letteratura volgare, che per essere goduta necessita di un’opera di traslazione o di traduzione vera e propria nel moderno italiano; dall’altro sono a chiedermi se non ci si possa sforzare di includere forme espressive che non si focalizzino solo su un uso articolato della sintassi. Perché quando si parla di stile, viene quasi istintivo pensare a un “bello stile”; ovvero a una sintassi elegante, lemmi vezzosi e un uso generoso di vocaboli desueti ed espressioni altisonanti.


L’invisibilità del blogger-scrittore

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Quando provare non comporta riuscire

The Invisible Man è un romanzo di fantascienza scritto da H.G. Wells nel 1881. Parla di un promettente fisico, Griffin, che ignorato dai suoi contemporanei dedica anima e corpo a sviluppare una nuova tecnologia per ottenere il denaro e il rispetto che ritiene di meritare. La scoperta su cui lavora è l’invisibilità. Il romanzo, per quanto affascinante, non finisce bene.

Ora, se escludiamo per un attimo l’aspetto fantascientifico, non pare anche a te caro follower che fare blogging per ottenere visibilità e credito, nella speranza un giorno di avere successo come scrittore, abbia qualcosa in comune con questa storia? Io ritengo di sì, solo che l’invisibilità del blogger-scrittore dei giorni nostri non è data da una scoperta fantascientifica, ma dalla moltitudine di tutti gli altri che come me e te ci provano ogni giorno.


6 motivi per usare il punto e virgola

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Il valore demarcativo del punto e virgola

Che il punto e virgola sia il segno più incompreso della blogosfera è fatto assai noto. Meno noto è il motivo per cui al suo posto si tende ad adoperare il punto o la virgola. Io credo che di fondo ci sia da un lato un po’ di confusione circa il suo utilizzo, dall’altro un po’ d’innata pigrizia. Rientra in quest’ultima categoria la giustificazione che di solito ci diamo: ciò che può fare il punto e virgola lo possono fare benissimo il punto o la virgola… Dunque perché sforzarsi di adoperare un segno interpuntivo in più?

Poiché sono convinto che l’unica ragione per la quale il punto e virgola non gode di buona fortuna sia da ricercarsi nella scarsa comprensione del suo valore demarcativo, ho pensato che un buon modo per farvelo apprezzare un po’ di più sia fornirvi sei motivi per adoperare (o non adoperare) il punto e virgola.


Grammar-nazi

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Scegli la grammatica

Scegliete la grammatica. Scegliete un complemento di termine. Scegliete la sostantivazione dell’aggettivo, un’ortografia pulita o un superlativo del cazzo. Scegliete gli aggettivi singolativi, il refuso controllato e una sintassi lineare. Scegliete uno stile semplice e locuzioni in tinta. Un discorso in tre parti e riempitelo di retorica. Scegliete di evitare la virgola tra soggetto e verbo, e domandatevi a che serva il punto e virgola. Scegliete di sedervi in poltrona a spappolarvi il cervello con un romanzo russo o di rispondete a un quiz sul congiuntivo mentre vi ingozzate di schifezze commerciali. Alla fine scegliete di marcire in una squallida biblioteca di periferia, ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete votato per rappresentarvi. Sì, scegliete la grammatica. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la grammatica. Ho scelto di sbagliare il congiuntivo. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando si è aspiranti scrittori?


vocabolario

Vocabolario critico per giovani autori

Aggettivazione s.f. [der. di aggettivare]. – Può essere minimalista o iperbolica, ma anche leziosa, sobria, sciatta, voluttuosa, abulica, perniciosa…

Amazon s. ingl. [antroponimo di derivazione mitologica]. – Antica divinità caucasica protettrice degli aspiranti scrittori (v. voce), tornata alla ribalta nella posterità.

Apocalittici s.m. e f. pl. [der. di apocalittico]. – 1. Che sostengono posizioni radicali verso gli aspiranti scrittori (v. voce); 2. Che si ritengono gli unici detentori della vera Cultura; 3. Che pur disprezzando aprioristicamente tutto ciò che è “di massa”, ne lumeggiano di nascosto i prodotti.

Aspirante, scrittore s.m. e f. ma anche agg. [voce di origine dotta (o quasi)]. – 1. Colui che aspira a una carica, a un ruolo, a una posizione all’interno della Repubblica delle Lettere; 2. Ce ne sono troppi, troppo scadenti; 3. Ne vengono pubblicati troppo pochi, ma comunque troppi.

Autoeditoria s.f. [neologismo, per incrocio di auto ed editoria]. – Chiedere a Marco Amato.


L’intellighenzia

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Cerco un centro di gravità permanente

In Italia la figura dello scrittore pare non poter essere scissa da quella dell’intellettuale. Che qualcuno possa essere bravo a inventare e raccontare storie, senza per questo avere qualcosa di profondo o trasversale da dire sul mondo, la vita o se stesso, come idea sembra non riuscire ad attecchire. In Italia se vuoi essere considerato uno scrittore, devi per forza avere un’opinione sui maggiori fatti di attualità, una posizione precisa verso la Sacra Madre Chiesa, una visione originale della famiglia, l’eutanasia, l’immigrazione, il ruolo della donna, i centri di potere, la giustizia o la sua parvenza. In Italia se vuoi essere preso sul serio, devi prenderti sul serio.


6 domande frequenti sul corretto uso della virgola

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Come si usa la virgola?

Sul corretto uso della virgola spesso si possiedono idee confuse. L’ambiguità di utilizzo è dovuta a molteplici cause; in particolare all’abitudine di far corrispondere questo segno grafico con le pause di lettura, quelle che vengono naturali prendendo fiato mentre si legge a voce alta. C’è, inoltre, una tendenza, contemporanea, a usare la virgola per mettere in rilievo alcuni elementi del discorso, indipendentemente, dalla loro relazione sintattica con il resto della frase…

Alcuni dubbi sono più diffusi di altri. Prendendo l’idea dal saggio di Bice Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura, ho pensato di raccogliere le domande più frequenti sul corretto uso della virgola in un breve elenco numerato. Naturalmente tentando di darne anche le risposte.


Il latino che serve

Le espressioni latine più usate nell’italiano moderno

Non vanno mai fuori moda e adoperarle infonde immediatamente un’aura di sapienza e autorevolezza anche al più rozzo degli interlocutori: sono le espressioni latine più usate nell’italiano moderno. Ma quali sono, cosa significano e, sopratutto, come si scrivono? Saperlo è indispensabile per evitare che chi vi ascolta (o legge) colga per ciò che è, il vostro tentativo di mostrarvi più colti di quanto in realtà siete. In quel caso meglio evitare, perché fallire significa rendersi ridicoli oltre ogni misura. E con questa breve introduzione, come avrete capito, mi sono giocato la captatio benevolentiae tanto cara a Umberto Eco.


Le “inevitabili” baruffe social

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“Solo due cose sono infinite, l’universo e la stupidità umana, e non sono sicuro della prima.”

— Albert Einstein

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Il “silenzio degli innocenti” è maturità o connivenza?

Capita sempre più spesso di ritrovarsi invischiati in baruffe verbali dai connotati ideologici, tifi da stadio, schieramenti da battaglia, senza averne avuto l’iniziale intenzione e dalle quali sovente si fatica a uscire. Maledicendosi anche un po’, magari a posteriori, per l’ingenuità dimostrata. Ché intervenire in una discussione che l’esperienza aveva già insegnato essere foriera di atteggiamenti da ultrà è sintomo di stupidità. E anche per aver permesso a se stessi di calcare le invettive, come se la validità del proprio punto di vista o l’assurdità dell’opinione altrui dipendessero da quanto più forte si riesca a urlare; o l’indignazione che esse ci suscitano fosse tanto più vera quanto più colorito è il nostro epigramma. Capita soprattutto nei social. E capita con un’incidenza che desta scalpore.

Ogni volta finiamo per biasimare noi stessi, poiché ci reputiamo maturi abbastanza per astenerci, selezionare gli interlocutori, censurare gli impulsi. E per biasimare gli altri, con cui oramai instaurare un dialogo appare impossibile. Dialogo che, almeno nei confini del virtuale, assume via più il valore di un confronto accanito, sordo alle verità non proprie, pregno di pregiudizi monolitici, e il cui obbiettivo ultimo è quello di prevalere. Non “ragionare e far ragionare” – secondo l’esempio socratico; non “veicolare informazioni o esperienze o punti di vista”; nemmeno “dibattere con l’intento malandrino di spingere l’opinione pubblica ad adottare un sentire più vicino al nostro”. Ma: Prevalere. Ovvero: Prevaricare. Dominare. Imporsi. Col fine acclarato di stupire il mondo con le proporzioni megalitiche dell’unica estensione di noi a cui oggi teniamo davvero: l’Ego.


Interiezioni primarie

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Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

Le interiezioni primarie stanno ai margini del nostro sistema linguistico, presentando una grafica e una fonetica del tutto peculiari. Il grafema h, ad esempio, compare spesso o in posizione finale (mah) o all’interno di parola (ehi), ma solo occasionalmente ha un reale valore fonetico. Tuttavia allo scrittore torna comodo per evitare «omografie» (e ed eh potrebbero confondersi fra loro se non fosse per la h); diventando così un marchio distintivo dei monosillabi esclamativi.

Varianti grafiche tra un’interiezione e l’altra dipendono da ragioni espressive: uff, ad esempio, può guadagnare un ulteriore f per intensificare l’idea di fastidio (Pirandello); un oh può diventare, con Collodi, un ohhh molto meravigliato; un ah trasformarsi in un aah veramente soddisfatto (Bassani). Quasi tutte sono voci espressive nazionali. Solo due sono di provenienza straniera: urrah o hurrà, gridi guerreschi di origine russa giunti a noi attraverso il francese e l’inglese[1]; eja, eja alalà in cui si fondono due interiezioni greche secondo un modulo diffuso da D’Annunzio e fatto proprio dal fascismo.

Altri forestierismi sono alt, di provenienza tedesca, in luogo di alto (che si è mantenuto nella locuzione militaresca altolà); alò, ormai antiquato e di provenienza francese, in luogo di orsù; e marsch, anch’esso di provenienza francese ma ancora in voga, in luogo di marciare. Ma vediamo nel dettaglio i nostri: