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Sostantivo: formazione del plurale (parte I)


Nei precedenti mini-ripassi abbiamo parlato del sostantivo, del genere, della formazione del femminile – senza risparmiarci le polemiche legate a questo tema e senza la pretesa d’essere in merito esaustivi. Sulla formazione del femminile ci si potrebbe scrivere un libro. Ad esempio ho risparmiato di farvi notare come i nomi di genere comuni (quelli che non indicano una distinzione di genere) sono più spesso attribuiti ad animali selvatici (volpe, balena, giraffa, ecc.), ma non agli animali domestici o d’allevamento (gatto/gatta, gallo/gallina, toro/vacca). Ora ci lasciamo alle spalle il genere (anche se solo in apparenza) per affrontare un’altro argomento legato ai sostantivi: quello del plurale.

Sostantivo: le professioni femminili


Dagli anni cinquanta in avanti i ranghi di alcune professioni maschili si sono progressivamente aperti alle donne e questo ha comportato oscillazioni che non sempre la lingua è stata in grado di governare. È vero in particolar modo per i titoli, le cariche e le professioni.

Sostantivo: la formazione del femminile


Come già detto in precedenza, ha senso parlare di formazione del femminile solo per quei nomi che appartengono a esseri animati di cui si distingue effettivamente un individuo maschile e uno femminile: maestro/maestra, gatto/gatta, figlio/figlia, ecc. In tutti gli altri casi, pur numerosi, in cui si presenta un’alternanza di genere (arco/arca, busto/busta, maglio/maglia, tappo/tappa, ecc.), la modificazione semantica interviene a segnalare che ci troviamo di fronte non al femminile di un nome, ma a un nome femminile. Un nome femminile per di più che non ha nel corrispondente maschile una corrispondenza semantica.