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Vendere racconti a una rivista cartacea


Charles Bukowski, Erskine Caldwell, John Cheever, Junot Díaz, James T. Farrell, Joseph Heller, J. D. Salinger, Tennessee Williams, Richard Wright, Truman Capote, Norman Mailer: ciascuno di loro ha spinto i primi passi nel mondo dell’editoria pubblicando il primo racconto su Story, un magazine newyorkese fondato nel 1931 da Whit Burnett e la sua prima moglie, Martha Foley; naturalmente dietro compenso. Nomi leggendari della letteratura nord-americana, concorderete con me. Ad esempio uno dei primi romanzi che ho visto leggere a mia madre, quando da bambino cominciavo con fatica a tradurre le mie prime parole scritte e quindi i titoli dei libri che circolavano per casa, è stato I duri non ballano di Norman Mailer; lo ricordo come fosse oggi.

Silenzio dalla Repubblica delle Lettere


Tesi a scrivere qualcosa che piaccia, che venda, che susciti plausi e stima, ammirazione ed elargizioni spesso dimentichiamo la vera funzione della scrittura. Ci parliamo addosso senza avere nulla da dire, e passiamo il tempo che avremmo dovuto dedicare a una silenziosa riflessione, a invidiarci reciprocamente i miseri successi personali. L’idea che piano piano mi sono costruito è che, esclusi gli usi professionali, la scrittura letteraria non possa essere intesa come un mestiere vero e proprio, quello del romanziere o del poeta nell’immaginario popolare, ma piuttosto un richiamo proteso a incontrare uomini e donne dotati di una sensibilità e di un immaginario simili ai nostri. Arroccati nei confini individuali, lanciamo sordi richiami nella speranza che raggiungano un’ombra gemella. È così che mi è giunto questo libro.