Ho scritto questo racconto nel lontano 2006. Gli anni passano in fretta, sembra ieri eppure sono già quasi dieci anni. È un brutto racconto, non vale la pena leggerlo. Io ti ho avvertito…

Note di Blues nella moderna Gomorra. New York, The Big Apple. Una città ragnatela, dicevano. In grado di spremerti e gettarti via come un guscio vuoto. Ma io non cercavo di capirla: la vivevo. Sì, proprio così. Ogni notte nel cuore del Greenwich Village, in uno di quei miserabili buchi senza nome stipati tra la Bleecker e la 3rd Street, guadagnandomi da vivere gomito a gomito con gli altri musicisti da caffè.
Ognuno si inventava un modo tutto suo di tirare avanti, ma tutti facevamo girare il cappello. Un tale, un certo Richie Havens, che vestiva sempre con pantaloni laschi color cachi, camicia sbottonata e una grezza pelliccia di castoro sulle spalle, si era messo d’accordo con una ragazza. Il pubblico allungava qualche dollaro in più con una ragazza. Gran donna quella. Si muoveva tra i clienti con una camicetta scollata. Sopra la camicetta, un cappotto; ma sembrava nuda dalla cintola in giù. Per chi era generoso aveva un modo molto grazioso di ringraziare, con un occhiolino e una scrollata di spalle; ma per chi allungava le mani un ringraziamento speciale gli veniva dal buttafuori alla porta.
Le strade del Greenwich Village erano piene di locali. Minuscoli, fumosi e affollati, proprio come piacciono a me. Le insegne luminose, quando c’erano, riportavano il nome del proprietario o dell’artista di punta. Tranne quel club su MacDougal Street, il Café Wha. Una sorta di caverna sotterranea senza licenza per gli alcolici. Male illuminata e dal soffitto basso. Lì l’imperatore indiscusso era Freddy Neil. Un vero amico, Freddy. Molto gentile nei modi, anche se non ti faceva mai una confidenza. Mi allungava sempre qualche spicciolo dopo la mia esibizione.
«Così stai alla larga dai guai», diceva.
Eravamo in molti a frequentare quel posto. Li giravamo un po’ tutti, ma quello aveva qualcosa di speciale. Era per la gente che ci passava o forse per l’atmosfera che si respirava, non saprei. Ma era unico, a suo modo.
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