Manzoni

Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

La volta precedente abbiamo visto cosa sono, come si producono e come si sono evolute le consonanti. Oggi vediamo come si formano, evolvono e involvono i dittonghi.

Semiconsonanti

Le semiconsonanti sono quei suoni fonetici a metà strada tra una vocale e una consonante. In italiano ne abbiamo due: la palatale /j/ e la velare /w/. Si impostano (da un punto di vista articolare) esattamente come le vocali /i/ e /u/, ma: «hanno una durata molto più breve, giacché l’articolazione passa quasi immediatamente alla vocale seguente; ciò giustifica l’impressione di un suono intermedio tra la vocale e la consonante» [Luca Serianni].

A differenza delle vocali, le semiconsonanti non sono articolabili da sole; presuppongono sempre una vocale seguente, diversa da quella omorganica (cioè la /j/ richiede una vocale diversa dalla /i/), con cui formare un dittongo.

Esempi di dittonghi formati con /j/:

ia

ie io iu
piazza fieno pioggia

aiuto

La pronuncia può oscillare fra [i] e [j]. Viale e viaggio, ad esempio, si realizzano con [i] – per influsso di via, dice il Serianni –, però se aumentate la velocità di pronuncia, passa a [j].

Esempi di dittonghi formati con la /w/:

ua

ue ui uo
quasi, lingua questo, sangue quindici, anguilla

cuore, liquore

I dittonghi formati con la /w/ possono anche trovarsi in posizione iniziale (uomo). Quando sono preceduti da un’occlusiva velare sorda (quasi, cuore), o sonora (lingua), prendono il nome di labiovelari, come risultato di una consonante velare e si una semiconsonante labiale (detta anche velarevelare).

Semivocale

Col termine semivocale, «spesso usato come sinonimo di semiconsonante» [L. Serianni], ci si riferisce ai suoni /i/ e /u/ quando seguono una vocale sia atona, sia tonica. Si distinguono dalle vocali di riferimento solo per la pronuncia più breve.

Esempi di dittonghi formati dalla semivocale /i/:

ai

ei oi ui
farai lei poi

altrui

Esempi di dittonghi formati dalla semivocale /u/:

au

eu
auguri

neurologia

Dittonghi

Si è capito, credo: quando una vocale è preceduta da una semiconsonante, o è seguita da una semivocale, forma un gruppo chiamato dittongo. Fra i dittonghi si distinguono quelli:

  • Ascendenti, quando nel passaggio dal primo al secondo elemento la sonorità aumenta (piede, fuori, ecc.);
  • Discendenti, quando al passaggio l’intensità diminuisce (andrei, noi, ecc.).

Le prime sono sempre costituite da una vocale preceduta da una semiconsonante (semiconsonante + vocale); le seconde, da una vocale seguita da una semivocale (vocale + semivocale).

Trittonghi

In italiano, alcune volte, si formano anche dei trittonghi; vale a dire l’incontro tra una semiconsonante, una vocale e una semivocale (spesso /i/), o due semiconsonanti e una vocale:

  1. /j/ + vocale + semivocale: miei, trebbiai;
  2. /w/ + vocale + semivocale: suoi, guai;
  3. /j/ + /w/ + vocale: aiuola, fumaiuolo (dove /a/ è una vocale in iato con il trittongo);
  4. /w/ + /j/ + vocale: quieto, seguiamo.

La sequenza /jwɔ/, normale nell’italiano della tradizione letteraria, è oggi in genere evitata; come anche, in altri casi, il dittongo // preceduto da un suono palatale ([ʎʎ] in figliuolo > figliolo, [ɲɲ] in spagniuolo > spagnolo). La tendenza a eliminare il dittongo è stata accolta, ad esempio, dal Manzoni (e qui Mozzi docet) nella revisione de I Promessi Sposi, tranne che per figliuolo (questo solo per farvi capire quanto dovesse essere moderna la lingua usata dal Manzoni alla sua epoca).

Non fanno parte dei trittonghi gruppi che compaiono in voci onomatopeiche, sigle o forestierismi, come ad esempio la sequenza /j/ + vocale + vocale di miao. In questi casi si ha un normale dittongo in cui l’elemento vocalico è in rapporto di iato con la vocale seguente.

Dittonghi mobili

I dittonghi // e // si dicono mobili perché tendono, fuori d’accento, a ridursi alla sola vocale. La riduzione riguarda:

  1. I paradigmi verbali: siedosediamo, vieneveniva, muoremorire, puòpotere;
  2. Gli alterati: ruotarotella, suolasoletta, uomo omino;
  3. Forme derivate, come gli aggettivi denominali: ovale (uovo), sonoro (suono); gli aggettivi deaggettivali: bonario (buono), novello (nuovo); nomi denominali: pedata (piede), rotaia (ruota); nomi deaggettivali: levità (lieve), novità (nuovo);
  4. Altre forme corradicali di verbi che hanno il dittongo in sede tonica: movimento (muove), sedile (siede), volontà (vuole), eccetera. La stessa alternanza si presenta quando la sillaba dittongata, pur restando tonica, diventa implicata: cotto (cuoce), mossi (muove), tengo (tiene), vengo (viene), voglio (vuole), eccetera.

La regola del dittongo mobile è soggetta a molte oscillazioni: «La forza dell’analogia – dice Luca Serianni – ha infatti favorito l’estensione del dittongo dove la fonetica storica non la prevede, specie nei verbi e negli alterati, ossia quando il senso dell’appartenenza allo stesso dominio semantico è particolarmente forte».

Per il dittongo ie < e il processo è irrevocabile. Oggi non potremmo mai usare presedendo, metevo o alleterai al posto di presiedendo, mietendo o allieterai. Invece per il dittongo uo < o, le forme sostenute da tradizione letteraria sono ancora possibili, anche se poco comuni: bonino, novissimo, cocendo, sonando, ecc.

Rimanendo alla tradizione letteraria, nella prosa dell’Ottocento la regola del dittongo mobile è spesso trascurata, ma il drappello di forme con o fuori d’accento è ancora numeroso: sonare e tonò (Manzoni, I Promessi Sposi), riscoterà (Leopardi, Operette morali), moveva (D’Annunzio). Negli scrittori del Novecento sono molto più frequenti i casi in uo: cuoceva (Bacchelli), muoveva (Calvino, Pratolini, Pavese), suonava (Levi), scuotendo (Bassani); anche in poesia: ci muoviamo, suoneranno (Montale).

Fuori d’accento, il dittongo, è in uso nei giorni nostri in parole composte: buongiorno, buongustaio, fuoribordo, ecc. (molte delle quali possono anche scriversi staccate), e nei verbi: abbuonare, nuotare, vuotare, eccetera.

Iato

Al contrario del dittongo, lo iato ha luogo quando l’incontro tra due vocali (forti) non costituisce un loro raggruppamento, cioè quando i due suoni vengono pronunciati separatamente. Questo avviene:

  1. Se nessuna delle due vocali è i o u: maestro, reato, leone, boato, ecc.
  2. Se una delle due vocali è i o u tonica e l’altra a, e, o: Maria, faina, paura, due, ecc.
  3. Nelle composizioni, purché si avverta il rapporto tra prefisso e base: riavere (= avere di nuovo), triangolo (= poligono con tre angoli), eccetera.

Sineresi e dieresi

Quando si incontrano due vocali non è raro che si oscilli tra dittongo e iato. Lo scambio, anzi, è frequente.

Si parla di sineresi quando due vocali in rapporto di iato vengono pronunciate come un’unità sillabica: «e fuggiano e pareano un corteo nero» [Carducci, Davanti San Guido].

La dieresi è il fenomeno inverso, quando cioè un dittongo è scisso in due sillabe: «E il sen che nutre i liberi / invidi-ando mira?» [Manzoni, La Pentecoste]. Ma non tutti i dittonghi ammettono dieresi: «La lettura dieretica non è altro che il ripristino della scansione sillabica originaria latina, e non tollererebbe la scissione di dittonghi che in latino non esistevano» [Marri].

Conclusioni

Anche se il Serianni sembra snobbare un po’ la differenza fra semiconsonanti e semivocali (e non è mia intenzione approfondire con altre grammatiche), effettivamente l’unica sembra essere la posizione del suono breve attorno alla vocale con cui forma il dittongo: prima, è una semiconsonante; dopo, è una semivocale. I primi originano dittonghi ascendenti; le seconde, discendenti. Manzoni, col suo romanzo, ha contribuito a riformare la lingua italiana dando forma a quello che è, almeno in forma scritta, l’italiano odierno. In alcuni casi si può tornare indietro, come nel caso del dittongo uo, se lo si ritiene opportuno per il testo. Ma riformare la lingua, tornare alle origini o inventare neologismi è un’attività che non prescinde dalla consapevolezza di quello che si sta facendo. Cioè, per dirla in altre parole, Manzoni era ben cosciente che eliminando il trittongo /jwɔ/ dava origine a una lingua ben più moderna di quella usata all’epoca.

La prossima mini lezione/ripasso riguarderà la prostesi, l’elisione e l’apocope.

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Note:

Il testo di riferimento è: Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET universitaria, 2006.

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7 Comments on “Semiconsonanti, semivocali e dittonghi”

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    • E che lei, caro Hell, proprio non la comprende la poesia dei trittonghi… Non ce la fa proprio a comprenderla. Lei, caro Hell, pensa a una sola cosa… Si diventa ciechi, eh?! Occhio!

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