Analfabetismo funzionale

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Tra vittime e carnefici

In un articolo pubblicato su La Stampa on line il 10/01/2017, Mimmo Candito ci allarma circa la percentuale di analfabeti funzionali circolanti in Italia: il 70%, ma più probabilmente l’80.

«[…] tra la gente che abbiamo attorno a noi, al caffé, negli uffici, nella metropolitana, nel bar, nel negozio sotto casa, piú di 3 di loro su 4 sono analfabeti: sembrano “normali” anch’essi, discutono con noi, fanno il loro lavoro, parlano di politica e di sport, sbrigano le loro faccende senza apparenti difficoltá, non li distinguiamo con alcuna evidenza da quell’unico di loro che non é analfabeta, e peró sono “diversi”»[1].

Accenti a parte – sono sicuro vi sarete resi conto che viene adoperato l’accento acuto al posto del grave, ma che probabilmente è da attribuire alla formattazione del testo – accenti a parte la percentuale indicata nell’articolo, e non sto a interrogarmi su dove l’abbiano presa o se sia corretta, è a dir poco inquietante. Conti alla mano, c’è da chiedersi se in questa percentuale rientriamo pure noi.


Il successo stocastico dello scrittore

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Le ragioni infondate dei più «adatti»

Si può ragionevolmente sostenere che la specie umana, fra tutte le specie esistenti sul pianeta Terra, sia la più adatta a sopravvivere? Il termine «adatta» lo intendo in senso darwiniano. Già al suo avvio questa tesi comporta seri problemi; il primo dei quali è capire se la specie umana sia la più «adatta» nel contesto attuale o in senso assoluto. Poi, seguendo il filo del ragionamento, sarebbe lecito supporre che all’interno della stessa ci siano individui più «adatti» di altri. Ora, facciamo finta che tutto questo sia vero e, seguendo uno schema prettamente rigido, diciamo che sì, la specie umana è quella più adatta a sopravvivere nel contesto attuale; e che sì, all’interno di questa ci siano individui più adatti di altri.

Un meteorite colpisce il pianeta Terra…

La specie umana è ancora la più adatta a sopravvivere? Se ci figuriamo di sì, sarebbe lecito aspettarsi che coloro destinati a sopravvivere siano solo o soprattutto gli individui che rientrano nella categoria dei «più adatti». Ora, fingiamo che il meteorite colpisca, in particolar modo, New York e fingiamo che, casualmente, proprio a New York fossero concentrati in quel momento il maggior numero di individui «più adatti»…

Nonostante a sopravvivere non siano solo i più «adatti» ma anche i più «adattabili», questo scenario ipotetico dovrebbe far comprendere quanto il caso agisca sul destino delle specie almeno quanto l’adattabilità darwiniana.


La virgola: tra soggetto e verbo

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Tre casi in cui la virgola è ammessa

Tra il soggetto è il predicato o tra il predicato e il complemento la virgola, che normalmente serve a separare una frase dalle sue eventuali subordinate o a evidenziare in posizione parentetica degli incisi, non è mai ammessa tranne in tre soli casi che, dopo una necessaria premessa, andremo ad analizzare in questo articolo.

Abbiamo ormai capito che le virgole, e tutti gli altri segni interpuntivi ad esclusione dell’interrogativo dell’esclamativo e, in parte, dei puntini di sospensione, non servono a indicare delle intonazioni specifiche o delle pause respiratorie; servono invece a marcare la struttura del testo per facilitare la lettura a mente. Di conseguenza la frase, è l’elemento minimo sintattico portatore di senso. Meno di una frase non si sta comunicando niente – esistono naturalmente delle frasi ellittiche: «Piove!».


Lo spazio bianco

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Un carattere invisibile ma indispensabile

Un testo non è fatto solo di segni. Ciò che tracciate sul foglio, a mano o a macchina, non avrebbe un ordine né un senso se a separarli non ci fossero gli spazi bianchi. Gli spazi bianchi dividono prima le parole, poi i capoversi, quindi i capitoli e infine i testi. Alcuni credono che i caratteri e la punteggiatura siano gli unici segni da dominare nella scrittura: non è così. Lo spazio bianco è esso stesso un carattere; un carattere dominante per di più.

«[…] da un sistema antico, greco-latino, di separazione delle parole con punti rigo, si è passati, già nel I secolo d.C., a un sistema di scrittura continuo, privo di spazi separativi; da esso, gradatamente, fra VII e XII secolo, per impulso soprattutto di scribi irlandesi e anglosassoni, si è giunti prima all’introduzione di spazi fra gruppi di parole e quindi all’uso moderno della regolare separazione delle singole parole fra loro».[1]

Quanto.poco.comprensibile.potrebbe.essere.per.noi.un.testo.le.cui.parole.
sono.divise.anziché.da.spazi.bianchi.e.dalle.marcature.interpuntive.solo.
da.punti?
O,peggioancora,unafilainterminabiledicaretteridivisi,ditantointanto,da
segniparagrafemiciilcuiunicoscopoperò,èsoloquellodidividerelesingoleunità
disenso,cioèlefrasi.


Considera l’o’o

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«Avevi promesso!» disse il piccolo Abe: braccia incrociate, sguardo infuocato.

Il vecchio Corbin Keep, che fissava i margini della palude da ormai cinque minuti buoni, parve non sentirlo. Era tutto proteso verso le fronde degli alberi. Il mento alto, i lineamenti tesi.

«Avevi promesso…» ripeté Abe, un po’ meno convinto.

«Eh?» Corbin mosse impercettibilmente il viso nella direzione della sua voce. Lo scorse con la coda dell’occhio e ne fu sorpreso. «Come dici?»

«La storia,» precisò Abe, «avevi promesso».

«Ah. Sì, sì certo: la storia…» Per un momento il vecchio tornò a fissare la palude. Soprappensiero. Poi parve ricordarsi della presenza del nipote. «Hai finito i compiti?» Il tono completamente diverso: più serio.

«Tutti!» puntualizzò Abe.

Corbin era di Oakland, California. Da ragazzo aveva seguito il padre alle Hawaii. Come molti suoi coetanei era partito per il Vietnam. Dismessa la divisa, era tornato a casa e aveva conosciuto Leia, che era hawaiana: pelle color caramello, lineamenti sottili. Si erano sposati l’anno successivo. Nel frattempo Corbin aveva trovato lavoro come guardiacaccia nel parco dell’isola Kauai, la quarta per grandezza. Avevano avuto due figli maschi e una femmina. I quali, a loro volta, si erano sposati e avevano dato loro molti nipoti. Abe era l’ultimo arrivato, figlio di sua figlia, e più di tutti assomigliava alla nonna di cui aveva preso i lineamenti.