Come distinguere il bello dal brutto
.

.
Fenomenologia dell’inutilità/utilità
La capacità di distinguere il bello dal brutto distingue a sua volta lo scrittore dal dilettante. Ogni professionista sa cernere tra il lodevole e lo scarto. In un certo senso, magari a istinto, persino il fruitore ne è capace. Il senso estetico è una delle caratteristiche che ci rendono umani. Passiamo la vita a compiere scelte, le quali molte volte sono il frutto del gusto. Questo è bello, quello è brutto. Questo mi piace, quello non mi piace. Like; don’t like. La donna o l’uomo che desideriamo, il cibo che mangiamo, lo spettacolo che guardiamo, il lavoro che vorremmo fare o facciamo; il libro che leggiamo… Scelte, né più né meno che questo. Ma come selezioniamo ciò che ci piace distinguendolo da ciò che non ci piace? In base a quali parametri discerniamo il bello dal brutto? Gli scrittori se lo domandano da sempre.
La scorsa settimana, lo ricorderete, ho chiesto ad alcuni amici il loro parere. L’assunto da cui sono partito è che uno scrittore, come ogni altro professionista, nel tentativo di perseguire la realizzazione della propria opera produce anche una certa quantità di scarto. La riuscita dell’opera, al di là di parametri più populisti, dipende dalla sua capacità di riconoscere lo scarto, gettandolo, dal lodevole, tenendolo. Loro hanno fornito la propria opinione; in alcuni casi anche molto divergenti. Oggi provo io a dare una risposta. Non ho la pretesa di risolvere il dilemma; mi pongo solo l’obbiettivo di inserire nel discorso una nuova prospettiva da cui guardare al problema.






Commenti recenti