Scrivere con il metodo Stanislavskij


jack-nicholson

…quando la psicotecnica non è solo teatrale

Un romanzo non è altro che la narrazione di una storia. Una storia non è altro che un insieme cronologico di fatti capitati a qualcuno, ad esempio a un personaggio. La storia ha inizio da un incidente, qualcosa che scombina la normale routine quotidiana, che capita a un personaggio in un certo momento della sua vita.

Tutto ruota attorno al personaggio, o a più di uno. Il resto: l’incidente, la routine che viene sconvolta (che chiamiamo background), i singoli fatti che compongono la storia, l’ambientazione e il contesto storico; sono solo una scusa per parlare di lui. L’attenzione quindi che il narratore deve porre sul personaggio dev’essere massima.

Cos’è un personaggio immaginario?

Un personaggio immaginario è una persona che noi immaginiamo esista realmente all’interno del contesto dell’opera.

Il personaggio in narrativa è quindi un’invenzione – altrimenti scriveremmo una biografia -, ma che rappresenta fino a essere realistico una persona vera e propria. È un simulacro quindi, ma dal quale ci si aspetta la stessa vitalità, concretezza, spessore psicologico, di una persona vera e propria. Io amo dire che i personaggi sono persone fatte di carta e inchiostro, anziché carne e sangue.

Un personaggio privo di queste caratteristiche, quindi irreale, non crea empatia con il lettore perché il lettore non riesce a immedesimarsi con lui. L’immedesimazione del lettore con il personaggio all’interno del contesto dell’opera è ciò che fa la differenza fra un romanzo di successo e un manoscritto da tritare. Occhio quindi alla parola: immedesimazione.

Per essere realistico un personaggio non deve per forza essere il simulacro di un essere umano. Può essere un Bianconiglio, ad esempio, o un marziano, oppure un robot. Ciò che fa la differenza è la sua concretezza, in coerenza con il contesto narrativo, più qualche caratteristica molto umana in grado di creare la famosa empatia.

Questo post non parla nello specifico di personaggi, quindi non approfondirò l’argomento. Magari ci torneremo in un altro articolo. Quello che però dev’essere chiaro è la centralità del personaggio nella narrazione, da una parte, e l’importanza della sua concretezza (che chiamiamo spessore) per l’immedesimazione del lettore, dall’altra.

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Ma come rendere un personaggio concreto al punto da permetterne l’immedesimazione?

Konstantin Sergeevic Stanislavskij

Attore, regista, scrittore e teorico teatrale, Stanislavskij nasce a Mosca nel 1863 e cede il suo nome al famoso metodo Stanislavskij di cui gli attori Hollywoodiani fanno gran sfoggio sul grande schermo.

Il metodo Stanislavskij è uno stile di recitazione messo appunto dal regista russo nei primi anni del ‘900. Divenne così fondamentale per la recitazione, soprattutto in campo cinematografico, da venire fondata una scuola a New York nel 1947: l’Actors Studio. Da questa scuola sono passati i più importanti attori americani (e non), che hanno contribuito a rendere celebre il cinema di Hollywood.

L’obbiettivo di Konstantin Stanislavskij era la ricerca di una maggiore verosimiglianza nella recitazione, evitando che essa scadesse in un’azione puramente meccanica. Nasce così un complesso sistema di norme alla cui base c’è l’abbandono della simulazione per passare allo stato creativo. L’attore smette di recitare emozioni che non gli appartengono per immedesimarsi così profondamente con il personaggio da recitare i propri stati d’animo, anziché i suoi. Vi domandate perché siano tutti alcolizzati, se va bene?

Nello stato creativo l’attore deve provare ciò che desume debba essere lo stato d’animo del personaggio, come se lo rivivesse egli stesso. Per farlo, deve abbandonare il suo stato di coscienza reale per sprofondare in quella illusoria dell’immedesimazione, facendo nascere dentro di sé il sentimento del vero, cioè l’effettiva esistenza del mondo ipotetico. Per riuscirci farà uso di tecniche teatrali di cui a noi, che siamo scrittori, non importa nulla.

Tralascerò quindi le tecniche particolari d’immedesimazione attorale, per richiamare la vostra attenzione sui termini:

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L’immedesimazione in narrativa

Noi siamo scrittori. Il nostro compito non è recitare sentimenti, ma descriverli facendoli vivere direttamente al lettore. Per farlo però dobbiamo essere concreti. La verosimiglianza non affiora da sola, serve lavoro duro. Il sentimento del vero si suscita solo se in ciò che scriviamo riusciamo a essere realistici.

Diversamente dalla recitazione, nella scrittura non esiste un metodo unico. Questo perché la scrittura è un’arte creativa, mentre la recitazione è più vicina al concetto di mestiere. Non che non ci sia arte in quelle vene, ma noi creiamo mondi, diamo vita a personaggi e mentiamo inventando storie. Ogni scrittore ha il proprio stile e la propria tecnica. Farne una summa non sarebbe né possibile né fruttuoso.

Tuttavia la narrazione è composta anche da elementi uguali, cioè invariabili nella loro sostanza, a ogni scrittore e a ogni storia. L’incipit, ad esempio, oppure l’intreccio. Il personaggio è a sua volta uno di quegli elementi della narrazione imprescindibili. Abbiamo già dichiarato la sua centralità, adesso però dobbiamo rispondere alla domanda: come rendere un personaggio concreto al punto da permetterne l’immedesimazione?

Provare a utilizzare il metodo Stanislavskij in narrativa potrebbe essere una buona idea. In realtà lo facciamo già senza rendercene conto. Preso dall’estro creativo, lo scrittore privo di coscienza del contesto reale si tuffa nella storia vivendola per primo. Cos’è questa se non immedesimazione? Quello che dobbiamo fare però, è spostare la nostra attenzione dalla storia per centrarla sul personaggio. Se la storia è la storia di un personaggio, è lui che dobbiamo rendere concreto ed è in lui che dobbiamo immedesimarci.

Per farlo dobbiamo lavorare sull’approfondimento psicologico del personaggio, ma anche sulla ricerca di affinità tra il suo mondo interiore e il nostro. Diversamente dagli attori però, non è il personaggio a dover vivere in noi, ma noi in lui. Il processo è inverso. Dobbiamo cercare di calarci nei suoi panni, nella sua mente, guardando la storia con i suoi occhi e indagare, una volta giunti lì, le emozioni che il contesto gli suscita. Saranno la descrizione di quelle emozioni, di quegli stati d’animo, a rendere il personaggio così concreto da sembrare vivo.

Se il nostro lavoro sarà stato compiuto con successo, se l’immedesimazione con il personaggio ha fatto sorgere sentimenti reali, allora l’immedesimazione del lettore sarà semplice ed efficace. Egli si calerà nel personaggio senza accorgersene e vivrà la storia che gli stiamo raccontando.

Il sottotesto emozionale

Il sottotesto, concetto che ho serbato per ultimo, non è altro che l’intenzione che sta alla base, cioè l’informazione dello stimolo emozionale. Per semplificare potremmo definire un personaggio triste o felice. Non solo, il sottotesto, per creare concretezza, deve anche indicare la direzione emozionale verso cui procede il personaggio. In un romanzo horror questa tenderà allo spaventoso, alla tensione. In un romanzo rosa, all’amore e alla felicità.

Conoscere questa informazione è necessario, anzi fondamentale, per creare la giusta evoluzione emozionale in coerenza con i presupposti dell’opera. Senza questa coerenza non si crea la concretezza del reale.

E voi, sono coerenti i vostri personaggi? Avete altri metodi o tecniche per creare personaggi di spessore?

34 Comments on “Scrivere con il metodo Stanislavskij”

  1. Penso che questo sia in assoluto il post più interessante che hai pubblicato da quando ho iniziato a frequentare il tuo blog. Bravissimo!!! 🙂

    Per quel che mi riguarda, prima di iniziare a scrivere avevo curato nel dettaglio le schede dei personaggi principali (fin troppo) definendo approssimativamente quelli secondari con il risultato che, proprio in questa settimana, ho iniziato a fare una revisione del “cast” che mi ha portato a togliere alcune figure (che fortunatamente compaiono pochissimo in quanto scritto finora) ed inserirne altre, più utili per la storia. Un lavoro di dettaglio sulle caratteristiche del personaggio è fondamentale, ma io ho compiuto l’errore di razionalizzarlo troppo rinunciando a “sentire”. è come se avessi messo un muro fra me e i miei protagonisti per non coinvolgermi troppo nei loro sentimenti. Da qualche settimana sono riuscita a rompere questo argine ed il risultato è completamente differente. Ho lavorato molto sul censore interno ed ho potenziato le tecniche di visualizzazione. So che dovrò “allenarmi” ancora, ma ultimamente quando mi siedo al pc mi trasformo completamente. è come se Chiara diventasse di volta in volta Nico, Daniele, Lara e tutti gli altri.

    Un’altra cosa che ho capita è questa: per quanto ci sforziamo di creare personaggi diversi da noi (io mi sento agli antipodi rispetto al mio protagonista) sono pur sempre “figli nostri”, nascono dalla nostra mente, sono nutriti dal nostro cuore. E quindi ci somigliano. C’è sempre qualcosa, nel loro carattere, che affonda le radici nel nostro inconscio. Diversamente non avremmo potuto crearli. Sono lo specchio di qualcosa che risiede dentro di noi e, se prendiamo coscienza di questo “qualcosa”, la poesia che è in noi esce spontaneamente, fluisce sulla pagina. Se rimaniamo distaccati, invece, si generano blocchi.

    Ho parlato di questo proprio ieri con un mio carissimo amico che mi ha aiutata, per cinque anni, ad intraprendere un percorso evolutivo molto importante. Sebbene non abbia letto nessuna bozza del mio romanzo, mi conosce molto bene. Gli è bastato sentire un piccolo riassunto della trama per capire dove volessi andare a parare. “è questo il fulcro”, mi ha detto, tirando fuori dal mazzo quello che secondo lui è il cuore del libro. “Perché vuoi fare l’intellettualoide e girarci intorno? Perché devi affollare il romanzo di sottotrame se è di questo che vuoi parlare?” Forse perché anche lì agiva il censore, gli ho risposto. E una volta tolti tutti i rami secchi, l’immedesimazione diventa spontanea. Bisogna solo lasciarsi andare e non aver paura di guardare in faccia i nostri personaggi, anche se sono portavoce di qualcosa che ci va male.

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    • Sono perfettamente d’accordo con te Chiara, in ogni personaggio c’è un lato di noi; un pezzetto della nostra anima. Infatti lo scopo non dovrebbe essere quello di inventare una bella storia da narrare, ma narrare qualcosa che abbiamo vissuto (anche solo con l’immaginazione) e che ci rispecchi, almeno in parte. Scoprirai così che ogni persona ha vissuto quelle stesse cose, a modo proprio certo, ma le stesse. Più riesci a cogliere delle sfumature, delle storie, che rispecchino molte persone, maggiore sarà il successo del tuo romanzo. La mia ipotesi, e ci scriverò un post prima o poi, è che gli uomini fondalmentalmente non sono così diversi fra loro, solo che comunicano in modo davvero inefficiente. 🙂

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  2. Concordo! Io mi rendo conto che i miei due protagonisti rappresentano due diversi aspetti del mio carattere: c’è Nico che è determinato, incazzato nero, sempre pronto a mettersi in gioco anche con incoscienza. E poi c’è Lara che invece è riservata, teme la solitudine ma al contempo la cerca, subisce le situazioni e se ne fa travolgerli. Riuscire a farli andare d’accordo sarà come mettere insieme due aspetti di me che fanno a cazzotti da anni 😀

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  3. P.S.2 Le emozioni sono universali. Ciascuno di noi prova rabbia, dolore, affetto, così via. La somiglianza quindi si può giocare su questo, invece che sulle note “biografiche” dei protagonisti. è lì secondo me che scatta l’immedesimazione …

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  4. Bel post.
    Io scrivo di pancia.
    Fammi spiegare, prima di iniziare a scrivere li visualizzo per tantissimo tempo nella mia immaginazione. Ad esempio la protagonista è rimasta nella mia testa per quasi un anno e nel frattempo si è evoluta moltissimo. Gli eventi che le accadevano erano sempre gli stessi, ma lei continuava a mutare e a crescere. Quando inconsciamente mi sembrava che non andasse, ricominciavo da capo e in questo modo anche tutti gli altri personaggi che le ruotavano attorno.
    Infine mi sono appuntata su un foglio i nomi di tutti loro (prima li riconoscevo solo come presenze e come aspetto fisico), ora posso dire che la protagonista non è più la classica eroina sborona e tormenta che risolve ogni cosa solo con la sua presenza, ma anzi è umana, tentenna e fa anche cose apparentemente incoerenti.
    Sfido chiunque a dire di non aver mai fatto qualcosa di sbagliato nella propria vita, bianco e nero non esiste! 😀

    ho scritto troppo

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    • Non hai scritto troppo. Basta che guardi i commenti che lascia Chiara per rendertene conto.
      Hai ragione, così si dovrebbe scrivere in realtà: facendo maturare le storie e i personaggi dentro di sé prima che la prima parola venga scritta e poi scrivere di pancia. Tra l’idea (e la sua incubazione) e la scrittura (istintiva) bisogna però trovare il modo di inserire anche una scaletta. Io ero contrario alle scalette, ma mi perdevo sempre a metà romanzo… 😛

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      • Io ora mi regolo così: scrivo a briglie sciolte (se così si può dire) fino a metà, tenendo sempre in mente dove voglio andare, quindi so che se anche il personaggio Pinco decide di andare a Messina, ma nel finale la sua vera metà è sarà Milano. Durante questa prima stesura, mi appunto su un foglio secondario idee, piccole trame e spezzoni di quello che deve accadere.
        Nell’ultimo anno mi sono scoperta non avere più una memoria tanto brillante e perrciò mi appunto tutte le cose intelligenti e brillanti che mi passano per la mente.
        Ogni personaggio o blocchi avranno il proprio arco di eventi e quindi nel mio foglio secondario avrò:
        Arco Elu e Sarn
        Arco L’Is, Micky e volpe
        ecc

        in questi archi, man mano che gil eventi si evolvono, cancello quelli già successi o modifico alcuni che devono ancora venire, perchè magari nel frattempo ho avuto un ripensamento. Tenendo sempre in mente che la meta finale è Milano e quello non cambia.
        Per il resto lascio i personaggi liberi di agire, pensare e muoversi, perché ho sempre creduto che io debba solo riportare ciò che stia succedendo, come una sorta di giornalista, non devo essere un dio, loro hanno il libero arbitrio e hanno il diritto di scelta.

        Scusa se ti ho annoiato con queste mie stupide e infantili teorie XP

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        • Non darti della stupida da sola, c’è già un sacco di gente che muore dalla voglia di farlo, che tu te lo meriti o meno; lascia a loro questo primato. 😛
          Il metodo è interessante. Però ho il dubbio che possa funzionare solo con i racconti. Hai già provato a usarlo con la stesura di un romanzo?
          Vero, i personaggi devo essere liberi di agire come meglio credono, ma a un certo punto non perdi il filo conduttore che ti ha spinto a scrivere proprio quella storia?
          Personalmente ho scoperto che i personaggi lasciati liberi sono alquanto indisciplinati. Fanno ciò che vogliono e se ne fregano del motivo che ha spinto te a scrivere la loro storia. Se ne impadroniscono, capisci? Vanno educati, rimessi a posto; guinzaglio stretto. La scrittura dev’essere istintiva certo, altrimenti si perde la spontaneità, ma la storia dev’essere ben delineata fin dal principio. Io amo molto scrivere di pancia, ma non porta da nessuna parte.

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          • Si, si, il mio è un metodo già collaudato sui romanzi 😀

            Il primo lo scrissi 5 anni fa. Terminato, ma oggi ripudiato non per l’andamento della storia, ma proprio perché pieno di ingenuità, stile immaturo (non che ora sia a livelli massimi, ma mi hanno fatto notare che sono riuscita a sviluppare un modo di raccontare che è il mio) personaggi si caratterizzati, ma poco scavati…

            Trovo comodo questo metodo, perchè odio le scalette dettagliate (poi il metodo degli archi è molto simile), ma la storia dei personaggi e la storia totale è già ben scritta dentro me, devo solo tirarla fuori e metterla per iscritto.

            Certo, riconosco che magari non è un metodo classico (prima di scoprire tutti i blog di scrittura, credevo fosse il normale iter creativo), ma probabilmente seguo soltanto la mia indole. Tendo a stufarmi in fretta se il destino è già stato scritto e vincolato, ma dei paletti li metto, anche se ogni tanto faccio delle piacevoli scoperte 😛

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              • Sono ancora in crescita! Non vorrei dirlo, ma leggendo i post di tutti voi… rifletto, medito e assorbo!
                La storia degli archi narrativi è nata un po’ per caso e ora la sto sviluppando. In qualche modo è comoda, sono come delle scatole sempre piene dalle quali attingere ogni volta, dandomi però quella libertà che mi serve. Poi magari un altr’anno ripudierò pure questo metodo… chissà 😛

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  5. Un post molto interessante. Eh già, se non riesci a immedesimarti nel personaggio non ti emozioni scrivendo, e se non ti emozioni tu, figurati quanto si immedesimano i lettori. A pensarci, la sensazione di scrivere nei panni del personaggio è abbastanza diversa da quella in cui racconti senza partecipare. Capita anche a te,quando finisci di scrivere, di accorgerti che per un po’ ti restano gli strascichi della scena? Ti senti un po’ come si doveva sentire il personaggio nel momento in cui lo hai lasciato. Poi passa. Ma finché succede, è una bella cosa.

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  6. Grazie mille!
    Sto lavorando ad un romanzo con molti personaggi, e questo post capita davvero a proposito. Non ho un metodo diverso da questo per rendere vivi i miei personaggi, avevo solo bisogno di comprenderlo meglio. Non ho molto da aggiungere, tutto da imparare 🙂

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  7. Bel post! Dovrei farlo leggere alla persona che anni e anni fa, quando iniziai a scrivere, mi disse che immedesimarsi nei personaggi era da malati. Ops! Peccato, ho troncato i rapporti. Be’, vale il pensiero ^^
    C’è chi ottiene ottimi risultati anche mantenendo il distacco dai propri personaggi e da ciò che vivono, ma io mi trovo molto meglio con l’immedesimazione. Fa parte del divertimento – anche se, ultimamente, considerata la piega delle mie storie, immedesimarsi significa passarsela male (a dir poco). Mi è utile non solo per raccontare cosa provano i miei ragazzuoli, ma anche per trovare il modo di scrivere di loro quando non riesco a entrarci in sintonia, nonostante la simpatia e la curiosità nei loro confronti.
    Quanto al sottotesto emozionale, invece, non gli ho mai dedicato un’attenzione particolare, nel senso di “come elemento specifico, preso a sé”: l’ho sempre considerato solo come qualcosa che è parte dell’arco evolutivo del personaggio.

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    • La parte più soddisfacente dello scrivere è proprio quella di calarsi nella storia, altrimenti non penso che scriverei. Quando succede, quando ci sono quelle giornate un po’ speciali in cui tutto ti fa capire che stai per varcare la soglia, mi sento estremamente bene, totalmente svuotato, ma bene. In quelle giornate scrivere è una soddisfazione doppia.

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  9. Diciamo che provo a immedesimarmi nei personaggi, ma credo sia abbastanza difficile, se non impossibile, immedesimarsi in tutti. La recitazione è appunto diversa: hai la mimica, la voce, le espressioni facciali, tutto diventa più semplice, rapido e intuitivo, anche.
    Esitono poi personaggi troppo lontano da noi, come carattere e scelte di vita, quindi non saprei proprio come creare questa immedesimazione.

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    • No, certo, non è facile. Secondo me non è facile neanche nella recitazione. Tuttavia, se raccontiamo una storia significa che qualcosa ci ha attratti. Impossibile immedesimarsi in tutti i personaggi, ma tutti noi mettiamo qualcosa in quelli principali. Chi non ha sognato si essere proprio quel guerriero che impugna la spada e abbatte il drago? Ecco, per aggiungere spessore al personaggio, bisogna immedesimarsi in quel guerriero e agire come agiremmo noi al posto suo. Con il suo carattere però, la sua indole e le altre caratteristiche contestuali. No, non è facile per nulla. Per questo ho sempre pensato che per scrivere non basta saper scrivere. Anzi, forse è proprio la caratteristica meno importante.

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  10. Ho fatto teatro per tanti anni e ricordo la sensazione del “diventare” un personaggio al punto da infastidirsi al pensiero di tornare in se stessi. L’emozione che provavo assomiglia a quella che provo ora quando devo smettere di scrivere per colpa di qualche impegno o anche solo perché ho esaurito le energie. Più che immedesimarsi coi personaggi consiglierei di immedesimarsi con lo scrittore, in modo da esserci dentro fino al collo, e crederci sul serio. Il resto verrà da sé, senza dover affrontare la faticaccia di immedesimarsi in ogni personaggio.

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  15. Calarsi nella psicologia dei personaggi ed applicare il metodo S. è davvero molto complesso, soprattutto per chi scrive, in quanto si ritrova a dover gestire diverse personalità, spesso opposte. Ti capita di dover gestire l’introverso, la testa calda, il sensibile, il violento e devi sforzarti di rendere credibili le reazioni e le emozioni suscitate, come se avessi fatto le loro vite, vissuto le loro esperienze. È un po’ una sorta di esaltazione delle proprie capacità empatiche, per cui ci si rattrista in presenza di una persona triste e si ride alla sola vista di una che ride. Lo scrittore deve guardare il suo personaggio, calarsi in lui ed entrare nei contesti che gli sono stati costruiti intorno. Può farlo solo se ha la mente molto flessibile, malleabile, predisposta alla comprensione di tali contesti. Poi deve scavare in se stesso, trovare delle fonti di “esperienza” dal quale attingere e aiutarsi con quelle.
    A me piace molto fare questi giochi di immedesimazione. Fa parte del bello della scrittura. Però, so di mettere molto di me stessa in ogni mia creatura. A volte mi piace dar loro dei miei connotati personali, quali il colore degli occhi, il cibo o il colore preferiti, il disprezzo verso qualcosa ecc. Anche io costruisco i miei personaggi nella mente e li lascio evolvere nel tempo, negli anni anche. Diventano, pian piano, delle persone che hanno vita propria e che devi rispettare. Mi piace pensare che abbiano un proprio carattere, delle preferenze, dei limiti e dei punti di forza, per cui messi in una situazione, ognuno di loro reagirà in base a come sentono di dover fare.
    Ad ogni modo, arrivare alla perfezione dell’applicazione del metodo S. richiede molta pratica e molto lavoro su se stessi, prima di tutto. E io sono soltanto all’inizio dell’inizio. 🙂

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    • Non è facile mettersi nelle scarpe altrui, hai ragione; che si tratti di personaggi inventati o di persone reali. Un metodo per facilitare il lavoro è chiedersi cosa vuole il personaggio e cosa, in base alla sua indole, è disposto a fare per raggiungere il suo obbiettivo.

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