Quella sottile linea beige
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Tra apocalittici e demotivati
Negli scantinati silenziosi e male illuminati in cui di norma si rifugiano gli oscuri figuri che prendono il nome di scrittori si sta combattendo una battaglia. Dura da anni, decenni forse, e ha fatto vittime illustri. Da un lato campeggiano i fautori di una scrittura autorale e ispirata; dall’altra serrano le fila i creatori di mondi, i tessitori di storie. Che siate schierati tra gli uni o gli altri è bene che vi rendiate conto che il campo di battaglia si estende fino alla vostra scrivania.
«Se la cultura è un fatto aristocratico, la gelosa coltivazione, assidua e solitaria, di una interiorità che si affina e si oppone alla volgarità della folla […], allora il solo pensiero di una cultura condivisa da tutti, prodotta in modo che si adatti a tutti, e elaborata sulla misura di tutti, è un mostruoso controsenso».[1]
Cultura di massa, è così che i nobili guardiani della vera poetica etichettano tutto ciò che non è allineato a un certo canone. E storcono il naso quando, passando davanti alla vetrina di una libreria, osservano esposta tanta carta da macero. Che la vera cultura sia un valore riservato a una certa categoria sociale lo pensano e lo dichiarano apertamente senza alcun imbarazzo. Dal loro punto di vista, se con cultura si intende la coltivazione di cognizioni intellettuali acquisite con lo studio e l’esperienza e poi rielaborate nell’intimità della propria riflessione «così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo [di una] personalità morale»[2], potrebbero perfino avere ragione.






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