Considera l’o’o

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In libreria da oggi

«Avevi promesso!» disse il piccolo Abe: braccia incrociate, sguardo infuocato.

Il vecchio Corbin Keep, che dalla finestra sulla veranda fissava i margini della palude da ormai cinque minuti buoni, parve non sentirlo. Era tutto proteso verso le fronde degli alberi. Il mento alto, i lineamenti tesi.

«Avevi promesso…» ripeté Abe, un po’ meno convinto.

Corbin mosse impercettibilmente il viso nella direzione della sua voce. Scorse il nipote con la coda dell’occhio, e ne fu sorpreso.

«Come dici?»

«La storia,» precisò Abe, «avevi promesso».


Piccola storia antica delle droghe

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Bacco, perbacco!

“L’inclinazione frenetica 
dell’uomo per tutte le sostanze,
salutari o rischiose,
che esaltano la sua personalità,
 testimonia della sua grandezza.”

– Charles Baudelaire

Quello che separa l’edonismo, la magia, la religione dalla medicina è un confine labile. Ossessioni, sventure, malattie e malocchi in principio sono la stessa cosa: un castigo che si cerca di scongiurare con un sacrificio. Le prime ostie furono sostanze psicoattive non diverse dalla canapa, dal vino o da certi funghi. Le prime droghe comparvero non per caso, ma come estrema difesa del mondo vegetale da quello animale. Vatti a immaginare che questo fu poi allo stesso tempo la ventura e la sventura di flora (e fauna).

Quando le piccole comunità di cacciatori-raccoglitori scoprirono che alcune piante potevano con vantaggio essere coltivate, il loro mondo cambiò per sempre. Da nomadi divennero stanziali. Le abitudini, gli usi, i costumi e i rituali cambiarono con essi. Anche il sistema di credenze dovette adeguarsi. Queste comunità di uomini, in principio piccole e poi via via sempre più grandi, dovettero imparare a riaffermare la propria identità culturale facendo esperienza con qualche tipo di sostanza psicoattiva. In termini tecnici ciò si chiama verità rivelata.


Scrivere per obiettivi

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La strategia della  gratificazione

Alla fine della sua lettura, questo articolo avrà decine di commenti; forse più di un centinaio. Come faccio a saperlo? Lo so perché è già successo. La certezza, o il presentimento di una sua elevata probabilità, mi stimola a procedere nella stesura. I commenti, come sanno coloro che tengono aggiornato con costanza il proprio blog, sono sempre fonte di gratificazione; tale a volte da spingere il blogger a svilupparne una vera e propria dipendenza. Anche non essere letti innesca lo stesso meccanismo, seppure in senso inverso. Tutto questo rientra in un processo che per semplicità chiamerò riflesso condizionato.

Ora, se l’obbiettivo di scrivere un post è quello di essere letti e commentati da più persone possibili, la gratificazione la si ottiene se questo accade davvero. Possiamo non essere d’accordo e dire che l’obbiettivo dovrebbe in realtà essere quello di comunicare informazioni valide e oneste ai propri lettori, e concorderei con voi se fosse questo l’argomento dell’articolo… ma assecondatemi. Se accade, se il post viene letto e commentato da molte persone, abbiamo un rinforzo positivo. Se non accade, abbiamo un rinforzo negativo. Si viene cioè a creare un collegamento automatico tra un’azione e la sua conseguenza statisticamente più scontata. La stessa cosa si può forse dire del riuscire a portare a termine la stesura di un romanzo.


Avverbi presentativi

Avverbi presentativi

Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

Riprendiamo questi nostri ormai consueti mini-ripassi di grammatica del lunedì dopo una sosta durata ben due mesi. Non vi chiederò se vi sono mancati né se vi sono mancato io: la risposta è scontata. Se non ricordo male l’ultima volta abbiamo parlato di avveri interrogativi. Ricordate ancora cosa sono gli avverbi, giusto? L’avverbio è una parte immodificabile del discorso che serve a modificare, specificare, determinare il significato di una frase. Si chiamano avverbi perché in genere precedono il verbo, ma non è sempre vero. Anzi, non lo è quasi mai. Per maggiori dettagli vi rimando alla prima lezione, mentre oggi concludiamo il nostro excursus con gli avverbi presentativi.

La famiglia degli avverbi presentativi è composta da un unico elemento: ecco. Ecco si adopera per «annunciare, mostrare, indicare, presentare, insomma, un evento»[1]. È il vocabolo dell’ostentazione, dice il Serianni, e spesso è adoperato per richiamare l’attenzione su qualche nuovo evento che interviene a modificare il contesto: «Ecco l’autobus»; «Eccolo, finalmente. Sempre in ritardo il nostro Roberto».


STOP!

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Il tempo è scaduto

Quando il giornalista gli chiese perché nei suoi romanzi parlasse sempre e solo di amore e di morte, Louis-Ferdinand Céline rispose: «Che altro conta?». Non voglio apparire ridicolo affermando che Céline avesse torto, tuttavia esiste un argomento immensamente di più importante dell’amore e della morte, e ad essi comunque legato: il tempo!

Oggi di tutta la letteratura greca ricordiamo soprattutto i poemi di Omero. Nell’Odissea Omero fa qualcosa di così moderno da renderlo imparagonabile ai suoi contemporanei e a molti altri autori dopo di lui. Del romanzo greco ho già parlato, quindi non ci tornerò. Basti dire che quando Ulisse parte da Itaca alla volta di Troia è già un uomo maturo; non vecchio, si badi, ma maturo: pieno di esperienza. La guerra dura dieci anni, al termine della quale Ulisse si rimette in viaggio per tornare a casa. Il destino, o più precisamente, gli dei lo costringono però a un lungo vagabondaggio; da cui l’espressione: «Le vacanze, quest’anno, sono state una vera odissea!».

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