Come progettare un romanzo

Guest-Post

Un guest post di Stefania Crepaldi

Hai da sempre il sogno di scrivere. Alcuni giorni ti svegli così carico di idee da poter sfornare un romanzo al mese. Ti siedi al pc o afferri carta e penna per imprimere l’intuizione di un attimo.

Il giorno dopo decidi di iniziare, rileggi lo scarabocchio o il lungo paragrafo e anche se riconosci di aver avuto una pensata originale, in effetti non sai da dove partire per trasformarla in un romanzo.

E ti poni la domanda del secolo: ma come si inizia davvero a scrivere un romanzo? Una pagina alla volta, direbbe qualcuno.

Il problema è che quando hai davanti infinite possibilità rischi di perdere la rotta infinite volte.

Per questo, progettare e delimitare i confini di alcuni elementi narrativi può aiutarti a orientare la tua creatività.

Ecco alcuni consigli per iniziare la progettazione del tuo romanzo e fare chiarezza.


Scrivere una sinossi

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Strategie di pianificazione

La prima cosa da chiedersi, riguardo alla sinossi, non è il come ma il quando. Molti invece si pongono la domanda sbagliata. Se hai scritto un intero romanzo, certamente non avrai problemi a stendere una sinossi. La sinossi non è altro che un riassunto completo della storia che hai trattato nel tuo libro. In essa devono essere inseriti: il dispositivo drammatico, i principali snodi narrativi (cioè, i fatti salienti), i personaggi principali (protagonisti e antagonisti) e l’ambientazione; raccontando tutto questo seguendo esattamente lo svolgersi cronologico adottato nel romanzo.

La lunghezza ideale è quella che voi stessi concedereste a un altro autore: se vi stufate dopo mezza paginetta… tiratene le somme. Lo stile non deve essere piatto, ma nemmeno “originale”: dovrebbe incalzare il lettore (il quale, se intendete inviare il vostro manoscritto a una casa editrice, è quasi certamente un professionista che di sinossi ne ha già lette a noia) ma senza tentare di buggerarlo; cioè, non dovreste sforzarvi di scrivere in modo attraente la sinossi se poi lo stile adottato nel romanzo è piatto e noioso. Il lettore, se è un professionista, se ne accorgerà; e a nessuno piace essere preso per il naso. L’ideale sarebbe modulare il linguaggio in modo da non allontanarsi troppo da quello adottato per la stesura del libro, così che il vostro lettore possa farsi un’idea precisa della vostra capacità linguistica prima ancora di prendere in mano il manoscritto, ma ricordandovi che in quelle poche righe vi giocate la “prima impressione”.

Detto questo, forse ho dimenticato qualcosa – di certo su internet se n’è parlato in lungo e in largo – ma ciò mi pare riassuma tutto quello che c’è da dire sul come. Passiamo al quando.


Pronomi relativi

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Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

Ci siamo lasciati a inizio dicembre con gli indefiniti quantitativi. A tale proposito spero che le vacanze vi abbiano giovato più in qualità che in quantità. Oggi riprendiamo con i pronomi relativi. Essi mettono in relazione una proposizione reggente con una subordinata, richiamando un elemento antecedente della frase reggente.

Esempio:

«La ragazza che stai guardando è mia figlia», disse il rettore dell’Università, sbucando alle sue spalle, al giovane Holden.

In questo esempio, il pronome che introduce la proposizione relativa, incastonata nella principale, richiamando il termine già espresso (da cui: antecedente) ragazza.


Post postmodernismo

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Uno spettro si aggira per l’Europa

– Ogni decostruzione senza ricostruzione è irresponsabilità

M. Ferraris

Ho passato gran parte della mia adolescenza in un luogo che io stesso avevo inventato. Era un posto bellissimo, in cui mi rifugiavo per sfuggire a una realtà con cui non riuscivo a confrontarmi. La mia, come tutte le infanzie, è stata piena di cose belle e di cose brutte; un’infanzia nella media per chi è nato in una famiglia proletaria del meridione immigrata — ben prima della mia nascita — al nord. Ed è da questa realtà che ho continuato a fuggire per gran parte della vita: a volte negandola, altre respingendola. Ma nessun luogo inventato riesce davvero a custodirti. Prima o poi è nella realtà che devi tornare, anche solo per fare quelle cose quotidiane, per soddisfare quei bisogni primari, a cui non puoi sottrarti se vuoi anche solo sopravvivere. Scegliere la realtà e affrontarla ha rappresentato per me proprio questo: la differenza tra sopravvivere — condizione relegata all’illusione — e vivere davvero.

Allo stesso modo, per difendersi dal proprio passato e per una diffusa sfiducia verso la ‘verità’, l’Europa ha cominciato a manipolare la propria realtà; e tutti noi abbiamo preso parte a un gioco sociale di cui non sono sicuro vorremmo davvero protrarre ancora a lungo le conseguenze. Il confronto con la realtà è difficile, ché la realtà su questo pianeta è per sua definizione crudele; ma necessario per ‘esistere’ anziché limitarsi a ‘esserci’. Questo gioco, questa realtà manipolata, si chiama postmoderno, i cui due dogmi sono:


6 motivi per usare il punto e virgola

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Il valore demarcativo del punto e virgola

Che il punto e virgola sia il segno più incompreso della blogosfera è fatto assai noto. Meno noto è il motivo per cui al suo posto si tende ad adoperare il punto o la virgola. Io credo che di fondo ci sia da un lato un po’ di confusione circa il suo utilizzo, dall’altro un po’ d’innata pigrizia. Rientra in quest’ultima categoria la giustificazione che di solito ci diamo: ciò che può fare il punto e virgola lo possono fare benissimo il punto o la virgola… Dunque perché sforzarsi di adoperare un segno interpuntivo in più?

Poiché sono convinto che l’unica ragione per la quale il punto e virgola non gode di buona fortuna sia da ricercarsi nella scarsa comprensione del suo valore demarcativo, ho pensato che un buon modo per farvelo apprezzare un po’ di più sia fornirvi sei motivi per adoperare (o non adoperare) il punto e virgola.