Scrivere per obiettivi
La strategia della gratificazione
Alla fine della sua lettura, questo articolo avrà decine di commenti; forse più di un centinaio. Come faccio a saperlo? Lo so perché è già successo. La certezza, o il presentimento di una sua elevata probabilità, mi stimola a procedere nella stesura. I commenti, come sanno coloro che tengono aggiornato con costanza il proprio blog, sono sempre fonte di gratificazione; tale a volte da spingere il blogger a svilupparne una vera e propria dipendenza. Anche non essere letti innesca lo stesso meccanismo, seppure in senso inverso. Tutto questo rientra in un processo che per semplicità chiamerò riflesso condizionato.
Ora, se l’obbiettivo di scrivere un post è quello di essere letti e commentati da più persone possibili, la gratificazione la si ottiene se questo accade davvero. Possiamo non essere d’accordo e dire che l’obbiettivo dovrebbe in realtà essere quello di comunicare informazioni valide e oneste ai propri lettori, e concorderei con voi se fosse questo l’argomento dell’articolo… ma assecondatemi. Se accade, se il post viene letto e commentato da molte persone, abbiamo un rinforzo positivo. Se non accade, abbiamo un rinforzo negativo. Si viene cioè a creare un collegamento automatico tra un’azione e la sua conseguenza statisticamente più scontata. La stessa cosa si può forse dire del riuscire a portare a termine la stesura di un romanzo.
Chi è abituato a scrivere romanzi sa che a ogni lavoro ultimato sarà più facilitato a portare a termine quello successivo perché le esperienze precedenti sono state positive. Fin qui è tutto piuttosto banale. Meno banale è riuscire a innescare quel meccanismo secondo il quale un’esperienza positiva lascia nella memoria di chi l’ha vissuta una impressione tale da essere poi associata alla stessa esperienza ogni qual volta si ripresenta, attivando così la famosa “spirale virtuosa”. Chi ci riesce, ha di fatto avviato un meccanismo di ritorno dell’investimento: tempo + fatica = risultato. Quindi il tempo e la fatica sono stati spesi bene. E se sono stati spesi bene una volta, perché non dovrebbe accadere di nuovo?
Per tutti coloro che invece ci provano ma non hanno ancora avuto questa fortuna, o per coloro ai quali questo meccanismo si è a un certo punto inceppato (leggi blocco dello scrittore), ecco che porsi degli obbiettivi e darsi man mano delle gratificazioni può essere d’aiuto. Immagino conosciate tutti la storia del cane di Pavlov.
Ivan Petrovič Pavlov aveva un cane. Lo teneva rinchiuso nella sua gabbietta all’Istituto di Medicina Sperimentale di San Pietroburgo. Tra gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi del Novecento il fisiologo russo stava effettuando delle ricerche sul processo digestivo. A un certo punto Pavlov si accorse di un particolare fenomeno denominato “secrezione psichica”. Facendo vedere del cibo al proprio cane, le fistole di quest’ultimo, ovvero le sue ghiandole digestive, si azionavano; ma se il cibo veniva portato oltre il campo visivo dell’animale, la secrezione cessava. Quello che Pavlov scoprì è il riflesso condizionato di base.
Il cane di Pavlov, che chiameremo Bob (nome di convenienza), non mangiava già da alcuni giorni quando il suo padrone, l’esimio scienziato russo premio Nobel per la medicina nel 1904, lo tolse dalla gabbietta e l’adagiò su un tavolo da laboratorio. Pavlov sapeva che Bob era affamato. Sapeva anche che se gli avesse mostrato del cibo le sue ghiandole digestive avrebbero cominciato a funzionare. Ma voleva di più. Voleva che questo riflesso si estendesse ad altre situazioni. Pavlov piazzò una campanella vicino al tavolo da laboratorio. Ogni volta che la colpiva, dava del cibo al suo cane. Presto Bob imparò che al suono della campanella corrispondeva il cibo. Alla fine dell’esperimento, e questo è uno dei pochi principi psicologici che siano stati pienamente dimostrati sul piano sperimentale, le ghiandole di Bob entravano in funzione ogni volta che la campanella suonava, che gli venisse dato o meno del cibo.
Dall’esperienza di Pavlov e del suo cane Bob abbiamo imparato alcune cose. La prima è che il riflesso condizionato è un procedimento di apprendimento automatico basato su associazioni inconsce. La seconda è che si tratta di un condizionamento passivo, il quale quindi non richiede la diretta collaborazione del soggetto. La terza è che questo condizionamento è presente in quasi tutte le specie animali, e sicuramente in quella umana. La quarta è che il rinforzo positivo richiede molta più fatica di quello negativo. Vale a dire che a un’esperienza negativa attribuiamo molta più importanza, innescando quasi immediatamente un riflesso condizionato; ma per riuscire a collegare un riflesso condizionato a un’esperienza positiva servono invece molte più ripetizioni. La quinta è che un rinforzo random, cioè saltuario, è più efficace di un rinforzo cadenzato o costante. La sesta, e poi mi fermo, è che se il rinforzo viene a mancare, la risposta condizionata tende a estinguersi; ma se riprende, il riflesso condizionato torna a manifestarsi velocemente.
Lo so, con molte ragioni gli esperimenti sugli animali ci fanno inorridire. Quello che però vi propongo è di lasciare in pace il vostro cane, se ne avete uno, e adoperare come cavia voi stessi. Ogni giorno di lavoro stabilite un obiettivo raggiungibile, ad esempio stendere una pagina o cinque o dieci, a seconda delle vostre effettive possibilità. Ogni volta che riuscite a raggiungere l’obiettivo, gratificatevi con un premio che vi sia gradito: fare una passeggiata, chiamare la mamma, leggere una pagina di un libro che vi piace, ascoltare della musica, mangiare del cioccolato, ecc. Se però non ci riuscite, inventatevi una punizione adeguata. Niente di troppo violento, sia chiaro.
Nel giro di poche settimane, se siete stati costanti, avrete instaurato un riflesso condizionato che vi permetterà di raggiungere i vostri obiettivi senza bisogno di gratificazioni, salvo ricordarlo al vostro inconscio di tanto in tanto. Vi sembra assurdo un procedimento del genere? Allora forse dovreste conoscere cosa combinavano alcuni degli autori più noti per attivare questo processo, dal bere una birra al fumarsi una sigaretta. In fondo il geniale Stephen King, che queste cose le conosce bene, in Misery non fa forse festeggiare il suo protagonista con un vero e proprio rituale alla fine della stesura di ogni suo nuovo romanzo? Sigaretta, scatola di fiammiferi e una bottiglia di Dom Pérignon…
…potrei applicare questo esperimento al lavoro…grazie del consiglio!!!!!!!!!!!
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Se sono stato utile, mi fa piacere. 🙂
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Nella stima del numero di commenti non hai tenuto conto del fatto che a me tocca commentare da cellulare 😛
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La stima è solo un esempio per far capire il concetto del rinforzo. In fondo questo blog è largamente frequentato da altri blogger. 🙂
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Comunque io nel dubbio ho già indossato il cilicio, tanto lo so che sono troppo pigro per rispettare gli obiettivi giornalieri 😛
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A chi lo dici…
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Com’era quella cosa del razzolare? 😂
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Guanti, ramazza e una pinzetta per il naso. 😛
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Quello è ramazzare non razzolare 😛
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Letto male… 😛
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Lapsus freudiano? 😛
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XD
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“l’obbiettivo di scrivere un post è quello di essere letti e commentati da più persone possibili.”
Uno più bravo di me, che gestisce siti con target non nazionale, ma europeo addirittura, ti potrebbe spiegare in maniera esaustiva (io però qui semplifico) la differenza tra essere letti, essere commentati ed essere condivisi. Chi commenta, difficilmente condivide. Ed è la condivisione che aumenta il numero di letture. Oltre, ovviamente, a contenuti di qualità.
Perciò l’obiettivo di un post è quello di essere letti. Molti blog autorevoli hanno migliaia di letture, senza avere un solo commento. 🙂
Magari sfatando questo mito dei commenti eviteremo anche alcuni post di carattere livoroso il cui intento è solo di generare discussione (e commenti, bingo).
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Vero, ma non è questo l’argomento del post. Hai guardato il fatidico dito. 🙂
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Anche dare dello stupido al lettore fa ottenere commenti facili… c’è chi ci va avanti da mesi. 🙂
Comunque, dal momento che è la premessa a tutto il resto del post, e dal momento che c’è chi rinuncia pure a scrivere quando non riceve commenti (ma viene ugualmente letto senza saperlo), era doverosa la specifica.
Il resto del post non fa una piega: qualsiasi psicologo ti può confermare che se vuoi ottenere un risultato valido devi spezzarlo in micro obiettivi e darti dei piccoli premi al raggiungimento. Funziona per la dieta (in cui però si tolgono le punizioni, altrimenti si affossa la motivazione), per l’allenamento sportivo, per lo studio, per il lavoro… E quindi funzionerà anche per la scrittura. Però ti spiega anche che far parte di un collettivo che persegue lo stesso risultato fornisce una marcia in più per ogni membro che partecipa, condividendo successi o insuccessi e collaborando alla motivazione di tutti. Però quello no, pare che con la scrittura non funzioni molto…
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Anonima scrittori? 😛
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MyPeak Warrior Writers 🙂
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Non ti ho dato della stupida, eh, sia chiaro. Ho solo detto che ti sei focalizzata su una frase della premessa che non è fondamentale; frase che io stesso avevo smitizzato con quel «[…] ma… assecondatemi». D’altronde chi comincerebbe un post serio con un incipit come questo: «Alla fine della sua lettura, questo articolo avrà decine di commenti; forse più di un centinaio». È chiaro che tutta la premessa è molto ironica.
Tuttavia è anche vero, se ciò che dici nel tuo primo commento è corretto, che stuzzicare i commentatori con delle risposte leziose aumenta il numero stesso dei commenti. Ma… davvero, non era questo l’argomento del post. 🙂
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Ti leggo stasera, con calma.
Ma insomma non te ne sei andato. O sono post già programmati?
Troppi annunci oggi in giro.Sinceramente ho la mente confusa.
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Programmati. 🙂
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