La preposizione
Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori
Con lo scorso mini-ripasso abbiamo concluso la nostra esplorazione dei pronomi e degli aggettivi. Oggi diamo un’occhiata alla preposizione. Essa serve a «esprimere e determinare i rapporti sintattici tra le varie componenti della frase»[1]. La preposizione è un elemento invariabile del discorso, cioè non cambia per numero o genere.
Benché siano differenti l’una dall’altra, tutte le preposizioni hanno funzione relazionale: mettere in relazione, collegandole, due distinte parole. Per questo motivo si possono distinguere fra loro solo in ragione del tipo di reggenza che si determina nell’incontro tra le componenti («il desiderio di successo») e dal significato stesso delle singole parole collegate.
Il tipo più elementare di sintagma con preposizione è quello formato da due nomi; dove il primo corrisponde alla base, il secondo all’aggiunto: «il volo per Palermo». Le preposizioni mettono in relazione coppie nominali determinandone una relazione: ad esempio di specificazione («desiderio di successo»), di luogo («vado a casa»), di aggiunta («al cinema con Marta»), di modo («pittura su tela»), di fine («cibo per cani»), di reciprocità («dialogo fra amanti»).
Benché nell’italiano antico, e limitatamente a con, si poteva avere una tmesi con interposizione di un complemento («Tornava una vecchiarella con sul capo un piccolo fascio di stecchi» [Pascoli]), di norma la preposizione è direttamente collegata al suo aggiunto. Una sola preposizione può reggere più aggiunti in successione: «un signore che non avevano visto mai, piccolo, con gli occhiali, i capelli tagliati corti e l’aria della persona intelligente» [Montefoschi]. Tuttavia può essere ripetuta «ogni volta che la chiarezza lo richieda oppure per sottolineare un concetto»[2]: «non mi esca fuori con la servilità, con la viltà, con l’ignoranza e con simili frasi fatte» [Carducci].
Alcune relazioni comprendono più di un valore, ad esempio: «pagare di tasca propria» [Serianni] (di modo «con i propri soldi», di strumento «per mezzo dei propri soldi»). Un stessa preposizione può esprimere relazioni del tutto diverse, ad esempio di può indicare relazioni di specificazione, di quantità, di paragone, ecc.
«Nel collegare parole o gruppi di parole la preposizione esercita quasi sempre una funzione subordinante».[3]
Le subordinate di regola si collocano dopo la preposizione, che «deve il suo nome al fatto di preporsi ad esse»[4]. Con una successione di preposizioni è possibile ottenere una serie progressiva di subordinate, come nella frase: «Ho passato l’estate in casa dei miei nonni di Frosinone». In questo modo il verbo può estendere la sua reggenza sull’intera frase, strutturata in una serie di dipendenze di grado via via crescente.
«In italiano e nelle lingue romanze l’uso delle preposizioni, per grandi linee ereditato dal latino, ha conosciuto uno sviluppo eccezionale a causa del fatto che, alle antiche funzioni, se ne sono aggiunte altre dovute alla progressiva scomparsa del sistema di flessione nominale dei casi […]. Al procedimento sintetico del latino classico, che tendeva ad esprimere le relazioni sintattiche attraverso le differenti desinenze (oltre che con alcune preposizioni), l’italiano ne oppone uno analitico, fondato quasi sempre sulle preposizioni come segnali del rapporto tra le varie componenti della frase».[5]
In italiano è comune elidere la preposizione formando «sintagmi nominali giustappositivi», i cui rapporti logici si determinano in base all’ordine delle parole e del loro significato. Questo può avvenire:
- In composti subordinativi: pausa caffè, sala professori, angolo cottura, ecc. [es. Serianni], cioè ʻangolo della cotturaʼ, ʻsala dei professoriʼ, ʻpausa del caffèʼ, ecc.
- Nello stile soprattutto giornalistico per indicare rapporti di reciprocità: «Crisi Italia-Iran», «incontro Italia-Brasile», «sodalizio Dc-Psi», ecc.
- Nelle inserzioni pubblicitarie: «Maglietta uomo Armani classic grande occasione», «Camera vista mare», ecc.
Più sporadico è il caso opposto, in cui dalla preposizione si deduce l’ellissi di una delle due componenti: es. «Uomini contro» (uomini contro uomini). Nel caso in cui la componente taciuta sia di significato generico è la stessa preposizione ad assumere i contenuti semantici inespressi: «le tappe di una carriera contro»; «Un paese senza» [Arbasino]; «due con» (linguaggio sportivo del canottaggio che indica un certo tipo di configurazione», ecc.
«Nell’analisi logica della frase, alle relazioni determinate dalle preposizioni va tradizionalmente il nome di complementi».[6]
Ora, se una singola preposizione può reggere più complementi, parallelamente un singolo complemento può esprimersi attraverso più preposizioni. I complementi più diffusi sono i seguenti [esempi tratti da La storia di Elsa Morante]:
- Di specificazione: «Giuseppe aveva il vizio di bere»;
- Di termine: «aveva regalato il proprio arancio a un camerata»;
- Di luogo: «il matrimonio si celebrò in chiesa», «seduta a mezzo sul letto» (stato in luogo); «tornava dalla spesa» (moto da luogo); «dopo l’arrivo a Roma» (moto a luogo);
- Di tempo: «Ida era nata nel 1903» (tempo determinato); «questa sorta di sdoppiamento le durava poi nella veglia, per tutto il giorno dopo» (tempo continuato);
- Di modo: «essa, a differenza della bottegaia, assentì con gravità alle lamentazioni insane e roche di Vilma», «avendo appena svezzato di prepotenza l’ultimo figlio»;
- Di causa: «Già si sa che Ida, per la poca socievolezza e le scarse occasioni, non aveva mai frequentato i vicini», «la città, dai cento bombardamenti che aveva avuto, era ridotta a un cimitero»;
- Di unione: «cominciava a spazientirsi di stare ancora a fare gli esercizi, il giorno, coi manipoli e le squadre dei ragazzini»;
- Di mezzo: «al loro entrare sorrise con la bocca, con gli occhi, con le rughe e anche con gli orecchi»;
- Di agente: «fra gli amici della sua piccola tavolata, da lui chiamati fratelli».
La differenza tra preposizioni proprie (di, a, da, in, con, su, per, tra, fra) e le proposizioni improprie (contro, durante, salvo, verso, ecc.) è che mentre le prime non si adoperano mai in altro modo che come preposizioni, le seconde possono assumere a seconda del contesto anche altre funzioni: congiunzione, avverbio, ecc. Solo su, tra le prime, conosce un uso anche avverbiale: «Vieni su!» [Serianni]. Le preposizioni proprie inoltre, come abbiamo visto in qualche esempio, quando incontrano un articolo determinativo possono assumere forma articolata.
Ad esse si aggiunge poi il gruppo delle locuzioni preposizionali, che possono essere costituite sia da due preposizioni – di norma la prima impropria e la seconda propria: dietro a, fuori di, insieme con, ecc. [Serianni] – sia da un sostantivo con una o più preposizioni: in cima a, per mezzo di, ecc. [Serianni].
Conclusioni
Abbiamo finito il nostro rapido excursus introduttivo sull’affascinante mondo delle proposizioni; la prossima volta ci caleremo più in profondità, a cominciare dalle preposizioni proprie. State bene.
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Note
[1] Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET 2006
[2] Cit. Serianni
[3] Maurizio Dardano – Pietro Trifone, La lingua italiana, Zanichelli 1985
[4] Cit. Serianni
[5] Cit. Serianni
[6] Cit. Serianni
Nel frontespizio: Elsa Morante
Sempre interessanti i mini ripassi. Mi piacciono quelle elisioni, sia delle preposizioni che di uno dei componenti. Quando manca qualcosa, nel lettore si scatena più immaginazione 🙂
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Scrivere è un gioco di sottrazione.
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L’altr’anno anch’io ho avuto a tmesi, ma poi, con un po’ di ntibiotici, è passata…
A parte gli scherzi, prof, quel passaggio non è che l’ho proprio capito non è che ce lo potrebbe rispiegare? Che vedo anche gli altri un po’ confusi, anche se son timidi 😛
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tmèṡi s. f. [dal lat. tardo tmesis, gr. τμῆσις, der. di τέμνω «tagliare»]. – 1. In linguistica, e in partic. nella storia delle lingue classiche, distacco della preposizione dal verbo finito con cui è composta, frequente soprattutto in Omero ma non ignoto al latino arcaico (sub vos placo = vos supplico): esso veniva inteso dagli antichi grammatici come taglio (tmesi), mentre in realtà si tratta di continuazione d’un più antico stato di cose nel quale il preverbio non era ancora prefissato al verbo. I poeti latini imitarono talvolta liberamente, anche fuori delle forme verbali, la tmesi omerica: «Garrulus hunc quando consumet cumque» (= quandocumque consumet; Orazio, Sat. IX, 33).
Nel caso specifico significa distaccare le due parole messe in relazione dalla preposizione inserendo prima della seconda un complemento (come nell’esempio riportato), pratica oggi in disuso. Oggi scriveremmo: «Tornava una vecchiarella con un piccolo fascio di stecchi sul capo».
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Ecco, ora mi è un po’ più chiaro (non la definizione del Trecani, quella l’avevo già trovata, ma non mi aveva aiutato più di tanto)
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Un bel ripasso sempre utile caro Prof.
sulle preposizioni ricordavo abbastanza, sulle proposizioni dovrò applicarmi di più.
alla prossima 😀
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Non è mai abbastanza. 😛
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