Puntini di sospenzione

Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

La volta precedente abbiamo parlato del punto e della virgola. Questa volta, per continuare con i punti, e anche per alleggerire un po’ il discorso con qualcosa di semplice, vedremo qualche curiosità sul punto interrogativo, sull’esclamativo, e sui puntini di sospensione. Se poi ci avanza del tempo, parleremo anche del punto e virgola.

Punto interrogativo, no esclamativo!

«Contrassegnano rispettivamente l’interrogazione diretta (“Che fai?”) e l’esclamazione (“Che bellezza!”), imponendo al lettore la caratteristica intonazione discendente-ascendente (interrogazione) o ascendente-discendente (esclamazione)» [Serianni].

Silvia, rimembri ancora

quel tempo della tua vita mortale,

quando beltà splendea

negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,

e tu, lieta e pensosa, il limitare

di gioventù salivi?

[Leopardi, A Silvia]

Nel caso in cui la frase si dipani per diversi “passaggi”, può in effetti essere comodo sapere fin dall’inizio che si tratti, ad esempio, di un’interrogativa. In questo gli spagnoli sono i migliori, hanno risolto tutto permettendo l’uso di un punto rovesciato a inizio frase. E questo sia per le interrogative, sia per le esclamative.

In Italia, ci ricorda il Serianni, tentò la stessa cosa, senza fare proseliti, lo scapigliato Carlo Dossi. Nessuno, tuttavia, se ne ricorda più: quindi perché parlarne?

Ora, si dice che il punto interrogativo, in alcuni casi, può corrispondere a una curva melodica esclamativa [Grammont, Vendenina], motivo per il quale talvolta risulta difficile decidersi se usare l’interrogativo, l’esclamativo o entrambi:

«Bello questo orologio!».

«Eh, sì, e per me è legato a un caro ricordo».

«E lo vende?».

«Purtroppo; ho urgente bisogno di denaro».

L’esempio è tratto dal Serianni; quel «E lo vende?» potrebbe suonare anche esclamativo. In questo caso non sarebbe un errore mettere entrambi i punti.

«Sì, gli appigli ci sarebbero, per esserci», mormorai incerto, «ma…».

«Appigli?!», mi interruppe subito, scoppiando a ridere. «Io, per me, le chiamo tacche».

[Bassani, Giardino dei Finzi-Contini]

Più rara, anche se non impossibile, l’iterazione dei punti (??, ???, !!, !!!), che ricorre soprattutto nella pubblicità e nei fumetti.

E i puntini…?

Nel numero fisso di tre, si usano per indicare sospensione, reticenza, allusività…

«Veramente… se vossignoria illustrissima sapesse… che intimidazioni… che comandi terribili ho avuto di non parlare…» [Manzoni, I promessi sposi].

«E che vuoi fare? Affrontare lo scandalo? Se vuoi questo, io… io…» [Pirandello, Il piacere dell’onestà].

Il più delle volte li troviamo posposti, cioè messi dopo, ma possono anche venire anteposti; in questo caso la frase s’inserisce nel flusso di un discorso iniziato in precedenza.

«Non possiamo più! Quel cornuto di tuo marito…».

«Ti spiace non chiamarlo così?».

«… mi ha quasi beccato questa mattina».

«I puntini sono tradizionalmente usati per riprodurre i cosiddetti “cambi di progetto” del parlato, che si accentuano in chi sia preda di emozione o turbamento» [Serianni].

Un altro modo di usarli è quello che il Serianni definisce «brillante», cioè quando si vuole preparare qualcuno a una battuta, o un gioco di parole:

«I… confini del Texas!».

Come? non vi fa ridere…? A me neanche. Si sa che i grammatici hanno un umorismo tutto loro…

Infine, si usano nelle citazioni per indicare un’omissione volontaria. Per evitare equivoci […] è bene inserirle in una parentesi quadra!

Curiosità:

Ricordatevi che dopo un punto, o meglio tra simbolo paragrafemico e grafemo, ci vuole sempre uno spazio. Quindi: se anteponete i tre puntini di sospensione, prendetevi anche la briga di separarli dal vocabolo che segue con uno spazio.

Conclusioni

Che dire? mi pare d’essere stato esaustivo. Se ci sono dimenticanze o lacune, o avete domande che non trovano risposta: usate pure lo spazio dei commenti. Per quanto mi riguarda vorrei solo farvi notare, alla faccia di chi dice che i puntini di sospensione non vanno usati, di osservare nelle letteratura alta (Manzoni, ma non solo) quanto, invece, ne viene fatto largo uso.  Per quanto riguarda il punto e virgola… lo so: c’è ancora un sacco di spazio in questo post che potremmo sfruttare… Tuttavia le giornate si accorciano; le rondini emigrano (già da un pezzo); il Natale si avvicina… non sono così crudele. Quindi… siete liberi! lo vedremo la prossima volta, il punto e virgola. State bene.

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Note:

Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET universitaria, 2006.

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25 Comments on “L’interrogativo e l’esclamativo, ma anche i puntini…”

  1. Pingback: Punto, virgola, punto e virgola | Salvatore Anfuso – il blog

  2. Adoro i tanto vituperati tre puntini di sospensione.
    Sarà perché lasciano spazio al non detto, aprono nuovi spiragli, trattengono l’attenzione del lettore proprio quando pensava di aver colto già tutto.
    Se ognuno di noi potesse scegliere di essere un segno di punteggiatura, ecco io vorrei essere i puntini di sospensione!! E lo dico con due punti esclamativi. 😛

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    • ahahah brava Silvia. Tuttavia, va osservato che nell’editoria più tradizionale i puntini di sospensione vengono apertamente osteggiati. Quindi, se ci si relaziona con una certa editoria, questo bisogna tenerlo a mente. Poi si legge L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon e si capisce che nessuna regola ha valore, se storcendola a proprio vantaggio aggiunge senso allo scritto. 😉

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  3. Per me resta sempre un errore scrivere due punti uguali o scriverli entrambi. Non esiste un’intonazione che sia a metà esclamativa e a metà interrogativa.
    Il punto rovesciato degli spagnoli proprio non lo sopporto: toglie eleganza alla scrittura. Ma io non sopporto neanche quella lingua, se è per questo 🙂

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    • No, non è un errore: si usano (ne abbiamo degli esempi nella letteratura detta: alta) e si possono usare tranquillamente. Sullo spagnolo, e sui punti rovesciati, concordiamo. 🙂

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  4. Oggi mi metto in cattedra io:
    – Ciucciatevi il calzino, followerS oppure ciucciati il calzino, follower.
    – I puntini sono tre ma sono un carattere speciale, non tre punti fermi in successione.
    – Nei dialoghi, perché il punto fermo a volte lo mettono fuori dalle virgolette e a volte dentro?

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    • Se non ricordo male usare il plurale nelle parole straniere (inglese in particolare) in un contesto italiano (un tema, un racconto, un romanzo, quel che è) è sbagliato; giusto invece nel contesto della lingua d’origine quando previsto. Ma potrei ricordare male…

      Anche questa cosa del carattere speciale non mi convince: nelle grammatiche ufficiali non c’è scritto nulla di simile. Sono tre puntini. Punto. Boh…

      Dipende da come la tradizione editoriale interpreta l’uso delle virgolette (alte o basse è indifferente); è sostanzialmente una questione di gusto o, se preferisci, di tradizione. Io le metto dentro. Di questo argomento in particolare ne parliamo fra due settimane (se non ricordo male, programmo da un mese all’altro…).

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      • Questa regola del lasciare i termini stranieri al singolare l’avevo già sentita, ma almeno per quanto l’inglese, che ormai parlano tutti, la lascerei perdere, perché suona davvero male.

        Se scrivi in word troverai “…” tra i caratteri speciali. Sono più vicini uno all’altro rispetto a tre punti fermi. Ho letto che usare tre punti fermi è visto come poco professionale.

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        • Proverò a indagare, sarebbe interessante capire come funziona questa regola del singolare nei termini stranieri.

          Lo so che in word i tre punti sono un carattere speciale e te lo aggiusta anche in automatico mentre scrivi; però in grammatica non esiste questo “carattere speciale”, in nessuna grammatica. Dunque, chi è più professionale? chi segue delle regole che non si sà bene che origini abbiano (magari da un programmatore di word…), o chi segue le regole scritte in una grammatica? Io dubbi non ne ho. 😉

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          • Per quanto ne so, i termini stranieri in una frase in italiano si lasciano al singolare perché è già l’articolo a determinare se plurale o singolare (“i follower” è plurare “il follower” è singolare), mentre in inglese serve la “s” finale per chiarirlo. Non so quanto sia corretto, ma si usa così.
            Uso i puntini di sospensione solo nelle frasi interrotte nel discorso diretto. Trovo, per gusto personale, che in una descrizione rendano la frase fiacca, smorzando l’effetto anziché rafforzarlo.

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            • Grazie Simona, arrivi a proposito. Interessante anche la tua opinione sui puntini, che poi credo sia ampiamente condivisa dall’editoria tradizionale. Anche se… oggi, per agitudine, l’uso che puntini ha assunto un ruolo di primo piano ed è variata la loro intenzione. E, come ben sai, sono le mode (o, meglio, i parlanti) a fare la lingua, non il contrario. 😉

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          • “Dunque, chi è più professionale? chi segue delle regole che non si sà bene che origini abbiano (magari da un programmatore di word…), o chi segue le regole scritte in una grammatica? Io dubbi non ne ho.”

            Nemmeno io ho dubbi. Il più professionale sei tu. 😀
            Ora che sei esperto di grammatica, consulterò te ogni volta che ho un dubbio! Tanto ti alzi alle tre del mattino… avrai ben tempo di risolvere i miei guai, no? 😛

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  5. Pingback: Il punto e virgola; i due punti… | Salvatore Anfuso – il blog

    • Thomas Pynchon, nell’Arcobaleno della gravità (un libro di 900 pagine), termina quasi ogni periodo con i tre puntini. Nella letteratura postmoderna i tre puntini sono diventati un simbolo grafemico dell’incertezza della società (parafrasando Z. Bauman). Dipende, cioè, dal grado di consapevolezza con cui, i tre puntini, si usano. 🙂

      P.S. Quella del Texas è una battuta da grammatici: non perderci il sonno. 😛

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