Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori
Facendo lo slalom fra interrogativi ed esclamativi; saltando a piè pari i tre puntini di sospensione; arrestandoci davanti a un punto fermo per lasciar passare le virgole, siamo finalmente giunti al tanto atteso: punto e virgola; tuttavia, in questo post, non dimenticheremo di parlare anche dei due punti: c’è un motivo se li accoppiamo così!
Il punto e virgola
«Il punto e virgola è un segno che […] ha un preciso inventore: il famoso tipografo Aldo Manuzio, il quale lo introdusse in un’edizione del Petrarca stampata a Venezia nel 1501» [Serianni].
Ma a che cosa serve, codesto punto e virgola? Indica una pausa più forte della semplice virgola. Spesso è legato alle abitudini dei singoli scriventi. Ad esempio, ultimamente, il suo impiego è in forte flessione. Tuttavia, si può osservare che il punto e virgola ricorre di preferenza:
- Per separare due proposizioni complesse:
«La lotta dei signori tra loro non ha nulla a che fare con una “vendetta” tramandata di padre in figlio; né si tratta di una lotta politica reale, fra conservatori e progressisti, anche quando, per caso, prende quest’ultima forma» [Levi, Cristo si è fermato a Eboli].
- Nelle numerazioni di unità complesse:
«Per noi, ad ogni buon conto, nonostante le differenze degli americani, non può essere in discussione l’appartenenza all’Alleanza atlantica, ma il modo di partecipare a questa Alleanza; il margine di autonomia e di rispetto reciproci; la possibilità di contribuire alle decisioni comuni, senza assistere alle scelte altrui per poi subirne magari le conseguenze» [Valentini, un articolo pubblicato su L’Espresso il 04.05.1986 – esempio tratto dal Serianni].
- Al posto della virgola, quando questa può generare equivoci:
«Un fruscio; il braccio di Michele scivolò dietro la schiena della donna e le circondò la vita» [Moravia, Gli indifferenti].
I due punti:
«A differenza del punto e virgola, i due punti non assolvono che occasionalmente il compito di semplice scansione del periodo» [Serianni].
Quella di scansione del periodo è il modo in cui ne fa uso, ad esempio, Giulio Mozzi. Ma non è il solo:
«Anche mia madre, del resto, non s’interessava molto alla pittura: conosceva però Casorati di persona, e lo trovava simpatico» [Ginzburg, Lessico famigliare].
La funzione specifica dei due punti è un’altra, quella cioè di «illustrare, chiarire, argomentare quanto affermato in precedenza» [Serianni]. Se ne distinguono diverse funzioni:
- Funzione sintattico-argomentativa, quando indicano la conseguenza logica di un fatto:
«Batté le mani: entrarono due servitori recanti ciascuno una coppia di secchi sciabordanti» [Tommaso di Lampedusa, Il Gattopardo].
- Funzione sintattico-descrittiva, se si esplicitano i particolari di un insieme o enumerando le singole componenti di quell’insieme, o rilevandone i tratti salienti:
«Lo scenario è una casetta modesta, in parte ancora grezza: due piani e un terrazzo alla periferia di Motta S. Anastasia, un paese della piana a tredici chilometri da Catania» [Un articolo pubblicato su Repubblica il 25.05.1984 – esempio tratto dal Serianni].
- Funzione appositiva, quando cioè si presenta una frase con valore di apposizione alla frase precedente:
«Leccò rapida la ferita: una specie di piccolo bacio affettuoso» [Bassani, il giardino dei Finzi-Contini].
- Funzione segmentatrice, quando – in combinazione con altri segni demarcativi – serve a introdurre un discorso diretto:
«Sorseggiò il suo Martini e disse: “Non sono sicuro che l’arte moderna sia vera arte”». [Me medesimo, dal prossimo racconto per Confidenze: L’Equivoco].
Curiosità: negli ultimi anni, ci dice il Serianni, i due punti nella pubblicità e nella titolazione giornalistica tendono a venire sostituiti dalla virgola o tende a essere eliminato del tutto lo stacco.
Conclusioni
Il motivo per cui si tende a confondere l’uso del punto e virgola con quello dei due punti è che non sono poi così dissimili. Nel dubbio, usate il punto e virgola per separare due concetti coordinati ma autonomi; i due punti: per descrivere e specificare il concetto precedente. Non mi pare ci sia altro da dire. Se avete domande…
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Note:
Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET universitaria, 2006.
La mia domanda è: si può viverne senza? (e ok che nella domanda ci ho messo un duepunti :D)
Personalmente il puntoevirgola non lo uso più, il più delle volte si può tranquillamente sostituire con un punto (anche perchè abbiamo il puntoeacapo per dividere due concetti e il puntoeacapoelineavuota se vogliamo dividere due scene) in casi più rari basta una virgola.
Il duepunti invece lo uso molto, ma lo uso nella (la posso chiamare così?) narrativa tecnica: spiegazione del concetto duepunti equazione, o casi simili.
Ricordo però che la mia maestra delle elementari ci insegno ad usare i duepunti er i dialoghi diretti, ricordo esattamente le sue parole:
“disse duepunti a capo aperte virgolatte”
(e così ho usato un’altra volta il duepunti)
Comunque tendo ad non usarlo più in questo modo: troppo didattico (ok, me ne è scappato un’altro)
Ma in tutto questo non ho mai usato un puntoevirgola, e allora, parafrasando Totò
Punto, punto e virgola, punto e un punto e virgola… che poi non si dica che noi siamo provinciali, che siamo tirati.
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In fatti c’è stato un lungo periodo in cui il punto e virgola era completamente sparito dalla circolazione. Poi ho cominciato a usarlo, perché per il mio modo di scrivere è piuttosto funzionale, e adesso, guardandomi attorno, vedo punti e virgola ovunque… XD
Nell’editoria, andare a capo dopo i due punti si vede solo in casi rari: manuali tecnici, ad esempio. La funzione sintattico-argomentativa dei due punti mi affascina parecchio. 😉
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“manuali tecnici” mi piaceva di più narrativa tecnica 😀 che è poi quella che scrivo io, tipo:
“Secondo quanto sopra esposto il carico agente sulla struttura può essere calcolato come:
[lunga e complicata equazione]”
Insomma, l’equazione è un po’ come la battuta di un dialogo 😉 (che visione romantica del lavoro tecnico)
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Gli esempi che hai citato relativamente all’uso dei due punti rappresentano le situazioni in cui io stessa tendo a utilizzarli, ovvero quando hanno lo scopo di esplicitare qualcosa. è come se sostituissero un “cioè”. Non mi piace (anche se si dovrebbe) utilizzarli prima delle enumerazioni: “Sul tavolo c’erano: una penna, un’agenda e una scatola di caramelle”. So che sarebbe corretto, ma … boh… questione di gusto!
Sul punto e virgola sono machiavellica: se la virgola sembra poco e il punto sembra troppo, usa il punto e virgola! 😀
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“Sul tavolo c’erano: una penna, un’agenda e una scatola di caramelle”
In narrativa quel duepunti non mi piace gran che, in un testo tecnico invece è quasi d’obbligo 😉
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Condivido il tuo pensiero (e il tuo gusto): anch’io odio la funzione enumerativa dei due punti.
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P.S. “La mia domanda è: si può viverne senza?”
Ecco, qui li avrei usati anche io!
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😀
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No, non si può. 😉
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P.S. Mentre riguardavo i commenti sopra mi è venuto in mente un altro uso dei duepunto (e anche del puntoevirgola) nelle emoticons 😀 😉
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In effetti… non ci avevo pensato. 🙂
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Signori, la punteggiatura è un bene prezioso, e il punto e virgola e i due punti (staccato, per favore: non scrivete più *puntoevirgola e *duepunti, vi prego…) vanno salvaguardati e usati – certo a discrezione dello scrivente – nei modi meno sbagliati possibile: è un DOVERE per chi vuole fare lo scrittore; e, soprattutto, è un PRESUPPOSTO IMPRESCINDIBILE per chi vuole essere davvero considerato tale!
Forse la punteggiatura suscita così tanta paura, o talvolta anche vera e propria antipatia, soltanto perché non si sa più come usarla ai tempi di Facebook e WhatsApp, tra un “xkè” e un “cmq”.
Per cui complimenti a Salvatore, che prima ha consultato il Serianni e poi ha dedicato la giusta attenzione al problema, sollevando anche questo interessante dibattito.
Un suggerimento all’autore del blog: che ne dici di dedicare uno dei prossimi articoli alla sgradevole voga del “piuttosto che” usato con valore disgiuntivo? A tal proposito ti segnalo anche un link dell’Accademia della Crusca: http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/uso-piuttosto-valore-disgiuntivo
Grazie (anche dell’amicizia su Facebook, che ho subito accettato con piacere), e a presto! 😉 🙂
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Il mio scriverli attaccati era però una sorta di goliardata 😛 e poi vivo in un posto dove sanno inventarsi parole come questa:
toilettenbürstenbenutzungsanweisung
😛
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Ahahah non voglio sapere cosa significhi, mi fai paura. XD
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E’ una cosa molto utile invece

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Wow, un’intero periodo in una sola parola? Ma si riesce a pronunciare, almeno?
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Dipende, ma in genere con un po’ di iperventilazione prima di partire e con un po’ di esercizio di apnea…
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Beh, ora si spiega tutto! Le incredibili possibilità che offre il tedesco (studiato all’Università per un solo semestre) hanno fatto sì che la Germania divenisse la culla della filosofia nel Sette-Ottocento: Kant, Hegel e Schiller non sarebbero stati gli stessi se avessero parlato una qualsiasi altra lingua! 😛
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Molto giusto; è quello che penso anch’io. Ogni lingua ha delle specificità che possono facilitare certi tipi di comunicazione. Ti faccio una domanda: secondo te, l’italiano, che tipo di specificità ha? Cioè, può andar bene per il trattato scientifico? la narrativa in prosa? la poesia? la filosofia? ecc.
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Credo che l’italiano sia nato per la poesia (ci pensate a quale meraviglia si perde un parlante straniero nel leggere la Commedia in traduzione?) e per la musica (dall’opera alla canzone fino al music-hall), e forse già per la narrativa ci sono altre lingue, come le anglosassoni, che aprono a più possibilità espressive. Ma questa, ovviamente, è solo una mia personalissima sensazione…
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Per la poesia di sicuro (a patto di usare un pochino di metrica 😉 )
Per la musica forse l’inglese si adatta meglio.
Per la narrativa forse è il narratore che deve adattarsi alla sua lingua, o forse no?
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L’italiano ha una musicalità e un ritmo che, secondo me, può essere sfruttato molto bene anche nella prosa. L’inglese lo vedo più per i trattati scientifici e commerciali. Il tedesco, per la filosofia. 🙂
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Sulla musicalità dell’italiano sono d’accordo tutti, me lo dicono spesso gli stranieri che incontro.
Sull’inglese per i trattati scientifici non so, forse anche per quello sarebbero preferibili latino o tedesco, molto più regolamentati, l’inglese con la sua eccessiva semplicità a volte costringe a dei giri per esprimere un concetto, ma è la lingua dominante e tant’è
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Sì, ma ha un sacco di termini specifici ed è facile inventare neologismi.
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beh, i neologismi li puoi inventare in ogni lingua (poi ti ho dato un assaggio dei neologismi che puoi inventare un tedesco, i testi tecnici sono tutti così 😀 )
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Il tedesco anche per dare ordini 😀
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Infatti lo usano per l’addestramento dei cani 😛
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E dei criceti?
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Signori, a pensarci, forse lasciano il tempo che trovano simili interrogativi, ai quali ognuno può dare la sua legittima e sacrosanta risposta. L’importante è fare buon uso della lingua che usiamo per comunicare, tenendo sempre nel giusto conto le variazioni diafasiche, diastratiche, diamesiche, e – perché no? – anche diatopiche e diacroniche. Ad maiora!
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Grazie a te Francesco. Ci arriviamo, con la dovuta calma. Perché sono convinto che la grammatica sia semplice e appassionante (io la trovo appassionante, non datemi del pazzo) se, però, presa con calma e i tempi giusti. Stiamo procedento verso la sintassi e il periodo (così vi anticipo anche gli argomenti per Natale: cosa vorreste trovare sotto il l’albero? Un bel “periodo”!). L’articolo a cui rimanda il link lo conoscevo già, ma può essere utile a chi passa da qui. 😉
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Sì, d’accordo, con la dovuta calma. Ma poi la calma mi passa del tutto all’ennesimo “piuttosto che” usato in quel modo barbaro, e magari anche da persone che stimo… :@
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Io ho sempre trovato affascinanti e appassionanti le equazioni differenziali e mi hanno sempre dato del pazzo 😛
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E… qua…? Non so di che parli. XD
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guarda come sono belle

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Zeus… O.O
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Eh, quasi
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Ho conosciuto un matematico puro che piangeva per la commozione davanti a certe formule, e questa cosa mi ha sempre colpito molto! Ad ogni modo, mi sembra che il discorso stia goliardicamente prendendo altri binari… Io vi saluto, e auguro buon punto e virgola a due punti a tutti! 😉 🙂
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Pingback: L’interrogativo e l’esclamativo, ma anche i puntini… | Salvatore Anfuso – il blog
L’uso del punto e virgola si è un po’ perso, specialmente nella scrittura per il web. Un peccato, perché è utile. Vedrò di usarlo.
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C’è stato un lungo periodo, a cavallo tra la fine degli anni settanta e il duemila, in cui anche a causa della diffusione “prepotente” della narrativa americana il punto e virgola si è smarrito. Tuttavia, rilevo, negli ultimi anni sta tornando in auge. Io lo uso molto; non posso più farne a meno.
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Adesso che ho letto il tuo post mi rendo conto che usavo bene sia i due punti che il punto e virgola; sui due punti non avevo grandi dubbi, ma con il punto e virgola spesso mi sembrava che ci stesse meglio il punto. Grazie della lezione!
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Il punto ci sta bene quando, al termine di un periodo, l’argomento cambia. Se invece, nel periodo successivo, l’argomento è diverso ma correlato: allora si può usare il punto e virgola. C’è anche un altro modo di utilizzare il punto e virgola (che non ho citato nell’articolo per non svelare tutti i trucchetti del mestiere), ed è questo: “La schiaffeggiò con violenza; i carabinieri lo prelevarono a forza”. Cioè serve a mostrare l’effetto immediato di un’azione.
P.S. è solo un ripasso. 😉
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beh, il punto e virgola serve a tante altre cose, tipo a chiudere un comando in linguaggio C o a dividere gli elementi di un elenco in excel o… ok, lo so, non c’entra niente 😀
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