Il senso delle cose


Il senso delle cose

…quando la bussola punta al centro

Come sapete sto lavorando al nuovo romanzo breve. Non lo dico per asfissiarvi, solo per tenere una sorta di diario di bordo dell’esperienza. La volta scorsa avevo dichiarato che questo progetto era nato anche come una sorta di esperimento, oltre al fatto che la storia mi aveva flashiato fin da subito. Questo, però, avviene sempre e mi motiva ogni volta a iniziare. In genere non basta perché prima o poi la brace si spegne, ma in questo caso c’è la necessità di capire – capire come sviluppare un mio metodo – a fare da traino. Vorrei  quindi condividerla con voi, ci state?

Dicevo, sto lavorando al mio nuovo progetto da almeno una settimana ormai. Anche grazie all’aiuto degli altri blogger che pubblicano sempre post tematici molto validi, permettendomi di capire meglio o di vedere le cose da altre angolazioni, la progettazione sta andando molto bene. Sono soddisfatto. Sto portando avanti un lavoro che prima non avevo mai fatto. È difficile certo, ma soddisfacente. Su questo però ci tornerò in un’altro post. L’argomento di questo, invece, è: il senso delle cose.

Test su una scena e incipit

Avevo dichiarato che non volevo scrivere di getto, anzi che non volevo scrivere affatto prima di avere terminato il lavoro a monte. Un paio di sere fa, però, le mani mi prudevano così pesantemente da costringermi a muoverle sui tasti. Sinceramente, quando la voglia di scrivere preme come tonnellate d’acqua su una diga, non posso non aprire i rubinetti per far sfogare l’impeto, altrimenti poi mi ritrovo con una diga a pezzi. Sono sicuro che conoscete bene la sensazione.

Ora, quello che ho fatto è stato di scrivere l’incipit – sull’onda dell’entusiasmo – e vedere dove andavo a parare così, di getto. Sì, nuovamente di getto. Ma… C’è sempre un ma. Ma, dicevo, con alle spalle un lavoro, seppure non compiuto, di progettazione. Ebbene, è stato fantastico. Ho scritto diecimila caratteri tutti d’un fiato e, benché me lo dica da solo, sono diecimila caratteri niente male. In pratica ho scritto tutta la prima scena del libro e l’ho fatto senza avere dubbi, ma solo con il piacere di raccontare e di leggere contemporaneamente. Sì, leggere. Perché quando scrivo di getto è come se raccontassi la storia a me stesso, man mano che l’invento, e la sensazione è unica.

Scrivere questa prima scena è stato facile facile. Lo è sempre quando scrivo di getto, il mio problema è un’altro, lo sapete. Questa volta però lo è stato di più. Soprattutto, la scena mira a esporre dei concetti. Cioè non è solo una bella scena, ma ha dentro di sé degli elementi che serviranno al lettore per entrare nella storia e, man mano che prosegue la lettura, capire cosa sta succedendo. Detto così però non significa niente, provo a spiegarmi meglio.

Le funzioni di una scena

Come scrive bene Grazia nel suo post, ogni scena deve svolgere determinate funzioni, anche più di una. In genere quando scrivevo di getto non me ne preoccupavo minimamente. Anche l’altra sera non me ne sono preoccupato, ho solo scritto. Tuttavia, con alle spalle un lavoro di tessitura, il risultato è stato che questa prima scena svolge delle funzioni specifiche.

Badate che mentre scrivevo non me ne sono preoccupato. Non mi sono detto: “Bene, in questa scena devo introdurre questi elementi, presentare questi personaggi e far passare al lettore questo messaggio”. No, affatto. Però è avvenuto in automatico e il risultato è ciò che ci si aspetterebbe dalla prima scena di un romanzo: introduzione del personaggio principale nel suo mondo ordinario; illustrazione del mondo ordinario; introduzione dei personaggi periferici, ma che hanno un ruolo preciso (soprattutto psicologico in questo caso) nel spingere il protagonista ad agire in un certo modo; introduzione di una serie di elementi che serviranno al lettore man mano che prosegue nella lettura, chiamiamolo il “senso generale della storia”; introduzione delle motivazioni che lo spingeranno ad agire in un certo modo quando un “incidente” arriverà a sballare il mondo ordinario.

In questa prima scena ho individuato due macro categorie. Cioè, se volessimo raggruppare le funzioni che una scena deve svolgere (fare avanzare la storia, approfondire la conoscenza di un personaggio, evidenziare i conflitti, creare un atmosfera, introdurre indizi, chiarire il contesto, ecc), queste potrebbero esse in un primo momento divise in due grandi gruppi: quelle utili immediatamente; quelle utili per il futuro. Alcune di queste funzioni servono immediatamente, cioè il lettore ne usufruisce subito mentre sta leggendo, altre invece sono una sorta di eredità che servirà al lettore più avanti.

La prima scena, che ho scritto così di impeto, ha entrambi questi elementi. Alcuni servono immediatamente per capire la scena stessa e orientarsi verso la storia, altri serviranno durante la narrazione e diverranno palesi con il proseguo della lettura. Ma come ho fatto se non me ne sono preoccupato minimamente?

Il senso delle cose

Grazie a questo test, mi sono accorto di due cose. La prima è che il lavoro di tessitura a monte non serve tanto a creare un binario da percorrere rigidamente quando si scriverà. Certo, si traccia un solco, ma la sua funzione è soprattutto quella di preparare lo scrittore mentalmente a narrare la storia in un certo modo. Un po’ come nel paracadutismo: quando ci si prepara a terra, prima di un lancio, tutto quello che fai è predisporti mentalmente all’esperienza; così se si dovesse palesare qualche contrattempo la reazione è immediata, senza ragionamento, ma ugualmente disciplinata. Ecco, programmare prima significa disciplinare la mente dello scrittore a raccontare in un certo modo la storia che vuole scrivere.

La seconda cosa è che ciò che conta davvero, l’unica cosa che ha davvero un’importanza imprescindibile, è il senso della scena: cosa voglio comunicare al lettore? Se prima di scrivere riesco a rispondere a questa domanda, non ho bisogno di altro. Non serve preparare schede personaggio o trame fitte fitte di appunti. Solo capire qual’è la direzione. Un po’ come quando guido per raggiungere un cliente: certo, c’è il navigatore a guidarmi, ma prima che lo inventassero, se sapevo qual’era la direzione da prendere, non avevo timore di perdermi perché ero assolutamente certo che prima o poi, il cliente, l’avrei trovato.

Lo so, sono un po’ strano, ma quale scrittore non lo è? Il senso della scena è l’unica domanda a cui uno scrittore non può non rispondere. La progettazione a monte ha la funzione quindi di aiutare lo scrittore a rispondere.

Un senso generale e uno particolare

Come per le funzioni, anche in questo caso c’è un senso fine alla scena che stiamo scrivendo e uno, invece, che serve più in generale come guida per la storia, sia per lo scrittore che la scrive, sia per il lettore che la leggerà. Serve a non perdersi, ma soprattutto a dare un senso all’esperienza di lettura.

Il senso particolare è quello della singola scena: cosa voglio comunicare al lettore con questa porzione di storia? Il senso generale corrisponde, almeno in parte, al: perché la sto scrivendo? O, se preferite, al: perché dovrebbero leggerla? Su questo però ci tornerò in un’altro post, come mi ha chiesto Daniele.

Un impegno da mantenere

Prima di iniziare quest’esperienza, esaltato dalla scrittura della prima scena, avrei proseguito a scrivere. Non questa volta. Mi sono trattenuto, ben sapendo che altrimenti mi sarei perso, e sono tornato a progettare. Come dicevo: è stato solo un test. Molto soddisfacente e molto utile, ma il lavoro a monte è imprescindibile. Tanto che iniziano a venirmi dei dubbi verso tutti coloro che annunciano a gran voce (parlo degli scrittori pubblicati e famosi) che la progettazione non la fanno, ma scrivono di getto. Io scrivevo di getto, certo, in questo non ho mai mentito, ma i risultati erano insoddisfacenti. Non tanto per la scrittura o lo stile, ma per la storia. Se così non fosse stato gli otto libri che ho, per il momento, abbandonato li avrei finiti.

Spero che questo post possa essere stato di vostro interesse. Se vi sta bene, man mano che proseguo in questa esperienza, vi renderò partecipi di ciò che vado scovando. Se avete delle riflessioni al riguardo non esitate a scriverle.

17 Comments on “Il senso delle cose”

  1. Sai che non mi piace né la progettazione pedissequa del romanzo in ogni minimo dettaglio né lo scrivere un’intera opera di getto. Credo che, nel mio caso, nessuno di questi due metodi abbia funzionato. Però il tuo nuovo modo di operare è molto simile al mio: hai un’idea di base della storia ed hai definito alcuni punti principali, che ti servono come linee guida, pur concedendoti la libertà di cedere all’ispirazione. Per me, questo, è un bene: credo sia nei momenti di “folgorazione” che si può dare il via ad una scrittura libera e sincera. Diversamente, saremmo solo artigiani e non artisti. Prima delle ferie di agosto, anche io mi ero un po’ incartata. Mi sono poi sbloccata dedicandomi ad una serie di brani che sono collocati, più o meno, nella parte centrale del romanzo. Li ho scritti abbastanza di getto e, successivamente, li integrerò all’interno dell’opera facendo le dovute modifiche.
    Le considerazioni di cui sopra valgono a livello di trama, perché non potrei proprio rinunciare alle schede dei personaggi. Anch’esse non dettano legge e sono soggette a modifiche, però sono fondamentali per entrare in contatto con loro ed imparare a conoscerli al meglio.
    Per quel che riguarda l’incipit, dopo vari tentativi credo di avere trovato l’idea giusta, nata da un’immagine trovata su facebook che ben rappresenta lo stato di partenza del mio protagonista (se ti va te la mostrerò così potrai darmi una tua opinione).

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    • Certo, volentieri. Inviamela pura via mail, se ti va. Per quanto riguarda la progettazione, ciò che conta di più, secondo me, è capire il senso di quello che si vuole raccontare e, scena per scena, capire cosa vuoi comunicare al lettore. Il resto viene da sé.

      Io l’incipit lo scrivo sempre per primo. È la prima cosa che mi viene in mente e mi ispira, costringendomi a metterla su carta. 🙂

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  2. Anche io scrivo l’incipit sempre per primo: è la parte più difficile, secondo me, anche se devo dire che raramente mi è capitato di doverli riscrivere.

    Sulle scene hai ragione: devono avere una funzione precisa. Io ne avevo immaginata che ho eliminato dalla scaletta del capitolo: era inutile e allungava il brodo e basta.

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    • A me non capita praticamente mai, però è anche vero che non sono mai giunto alla revisione… Ultimamente sto aggiungendo anche un prologo. Ne parlerò in seguito, in un post. 😉

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  3. Mi piace sentirti raccontare il tuo modo di procedere nella sua evoluzione. Per la parte di cui parli qui, le nostre impressioni sono molto simili. Anch’io ho notato che programmare prima aggiunge impeto e fluidità durante, infatti sto continuando a basarmi su questo metodo per scrivere. Anche se in parte dipende dalla storia. Il romanzo che sto scrivendo ora, per esempio, non sono riuscita a pianificarlo con la stessa decisione (più che precisione) di altri. Per un po’ ci ho provato, poi mi sono resa conto che mi stavo bloccando e ho preferito partire. Una traccia del viaggio ce l’ho, i personaggi li conosco… improvviserò più del solito. E’ affascinante questo fatto che ogni lavoro sia in qualche modo diverso dagli altri, no?

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    • Sì, molto, però secondo me un autore (per diventare affermato) deve trovare un metoto, che funziona, e in un certo senso restargli fedele. Io sto provando a cercare il mio. Per quanto riguarda l’improvvisazione – non so fino a che punto programmassi tu -, non è prescindibile dalla scrittura: a un certo punto ti devi gettare e vedere cosa succede. Raccontare la storia a se stessi è l’esperienza più bella e appagante che si possa fare. Forse prima programmavi un po’ troppo? Magari adesso senti la necessità di lanciarti un po’ di più. Inoltre puoi sempre scrivere e tornare a programmare, poi scrivere ancora e via dicendo fino alla fine. In realtà non esistono regole, tranne quelle che ognuno si da.

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      • Non credo di avere mai programmato troppo, visto che mi sono sempre trovata ad aggiustare il programmato, ma stavolta c’è una differenza proprio nella storia, credo dovuta all’uso della prima persona. Uno sbaglio invece l’ho fatto di sicuro in passato: scrivere la prima stesura come se fosse il testo potenzialmente finale, rileggendo e correggendo a mano a mano che procedevo. Credo che non lo farò mai più, perché ho visto che si disperde l’energia della storia per strada.

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  4. Salvatore, levami una curiosità: ma l’incipit alla fine rimane uguale a come lo avevi pensato all’inizio? Te lo chiedo perché io ho già scritto tre incipit diversi per la stessa storia e continuo a cambiare idea su quale sia il punto più adatto per far cominciare il romanzo… non è facile decidere!

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    • Ciao Lisa, non avendo mai portato a termine un libro è una domanda a cui non posso dare una risposta onesta. Tuttavia mi piacciono molto gli incipit che scrivo e lo faccio in automatico. Nel senso che quando penso a una storia, la prima cosa che mi viene da fare è scrivere l’incipit. L’incipit illustra al lettore il taglio con cui la storia verrà narrata. È un modo per prepararlo. Di conseguenza se tu hai in mente una storia allora avrai in mente anche un punto di vista preciso su quella storia. Qual’è? Quello che ti ispira di più. Nasce dalla pancia. Vuoi che scriva un post sugli incipit? 🙂

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      • Siiii!!!! Mi sarebbe molto utile un post sugli incipit. Ho una pagina nel mio blocco appunti dedicata alle questioni da risolvere riguardo l’incipit del mio romanzo, quando leggo qualcosa a riguardo o mi viene l’ennesima ispirazione/dubbio me lo segno. Ecco cosa contiene:

        1. Prologo? C’è chi dice che è una tecnica da evitare.
        2. Inizia il racconto in media res: ma dall’evento scatenante o da metà e poi racconto l’inizio con una serie di flashback?
        3. Che sensazione voglio suscitare per prima nel lettore? come trasmetterla nell’incipit?
        4.Consiglio. Scrivi l’incipit, leggilo ad alta voce, abbandonalo per qualche ora poi rileggilo: se leggessi questo incipit in libreria, compreresti il libro?
        5. Consiglio. Tecnica della bomba a tempo: dì subito al lettore quanto durerà la storia. Per esempio: tra 48 ore il bus scoppia. Serve a tener viva l’attenzione del lettore?
        6. Consiglio. L’incipit serve a stabilire il contratto col lettore. Il lettore deve sapere già come andrà a finire la storia, ma deve essere curioso di come l’eroe arriverà a destinazione.

        Grazie Salvatore! 🙂

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        • D’accordo, sarà piacevole. Lo inserisco nella lista delle cose da fare. Ti posso chiedere cosa scrivi (nel senso di genere: mainstream, thriller, fantasy, horror, ecc)?

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          • Questa domanda non è facile, credo che ti toccherà scrivermi un post anche sui generi 🙂
            Se ho capito bene le categorizzazioni che si usano in editoria, sto cercando di scrivere un romanzo di narrativa contemporanea non di genere, mi piace molto il genere mainstream (può darsi che sia la stessa cosa che dire: non di genere). La storia ha come protagonista due ragazze e parla di amicizia, amore e viaggi, ma non vorrei categorizzarlo come romanzo rosa o romantico o chick-lit perché nel mio vocabolario questi termini hanno un’accezione negativa. Spero di riuscire a scrivere qualcosa di leggero senza cadere nel banale o nel cliché del tipo “I love shopping” o “W il principe azzurro”.

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            • Non potevi essere più chiara. 😉 Una sorta di Thelma e Louise senza il morto, giusto? 🙂
              Anch’io non amo catalogare, anche se è un istinto prettamente umano farlo. Alla fine le storie sono semplicemente storie. Te lo chiedevo solo perché a seconda del genere ci sono dei cliché sugli incipit da rispettare, utili a far capire subito al lettore che storia si trova per le mani. Mi segno anche il post sui generi. 😉

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