Pronomi relativi

relativo

Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

Ci siamo lasciati a inizio dicembre con gli indefiniti quantitativi. A tale proposito spero che le vacanze vi abbiano giovato più in qualità che in quantità. Oggi riprendiamo con i pronomi relativi. Essi mettono in relazione una proposizione reggente con una subordinata, richiamando un elemento antecedente della frase reggente.

Esempio:

«La ragazza che stai guardando è mia figlia», disse il rettore dell’Università, sbucando alle sue spalle, al giovane Holden.

In questo esempio, il pronome che introduce la proposizione relativa, incastonata nella principale, richiamando il termine già espresso (da cui: antecedente) ragazza.

Ricordate, vero, cos’è una proposizione? e la differenza tra reggente e subordinata? Dunque… una proposizione è ciò che si enuncia; sostanzialmente una frase: soggetto + predicato + complemento. Ci possono essere frasi senza soggetto («Come sei bella oggi!»), dette ellittiche; e frasi senza predicato («Tu? nella pancia della balena?»), dette nominali. Le proposizioni reggenti sono quelle che stanno a «fondamento di un intero periodo»[1], senza essere dipendenti da altre; le subordinate invece soggiacciono alla semantica di un’altra frase. Non ha senso fare degli esempi di frasi reggenti o di frasi subordinate, poiché non esistono reggenti e subordinate in senso assoluto: tutto dipende dalla costruzione del periodo. Alcune reggenti possono trovarsi all’inizio (costruzione diretta), altre alla fine (costruzione indiretta). Esse sono messe in relazione tra loro in vario modo: dal congiuntivo, da pronomi e avverbi subordinati, da verbi di modo all’indicativo o congiuntivo o condizionale, ecc.

Torniamo all’argomento principale. Oltre che da un nome (ragazza), l’antecedente può essere rappresentato anche da un altro pronome («tu, che sei capace»), da un verbo («il perdonare, che è dovere di ogni cristiano, …» [Serianni]) o da un’intera proposizione («ci sarà anche un’escursione alla cascata, il che non guasta» [Serianni]). Di norma l’antecedente deve essere determinato, la ragazza; non funziona altrimenti: «Una ragazza che stai guardando è mia figlia». Altre volte il nome può essere non articolato: «la Principessa […] carezzò la potente zampaccia che riposava sulla tovaglia. Gesto improvviso che scatenò una serie di sensazioni» [Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo].

Di norma l’antecedente precede immediatamente il pronome, soprattutto se esso è che. Se sono separati, si ha in genere la ripetizione dell’antecedente immediatamente prima del pronome: «questa nostra relazione produce un tale sentimento di intolleranza negli altri da costituire un’ansia profonda nella mia quotidianità; ansia che non tollero più e per la quale ti lascio». A volte, tuttavia, il pronome relativo può richiamarsi a un sinonimo dell’antecedente: «il numero di oggi è ancora più modesto: suggerisce alle dirigenti della DC di migliorare il loro aspetto fisico […] e irride a Tina Anselmi “sgominatrice di golpe”. Le quali donne democristiane sono state in realtà fino ad oggi le sole protagoniste» [M. Mafai, art. Repubblica 02.09.1986]. In questo esempio Mafai antepone il pronome relativo al sinonimo dell’antecedente (le quali). Un’altra possibilità la suggerisce il Serianni «Donne democristiane che sono state in realtà…».

Quali sono?

Ecco una tabella riepilogativa, tratta dalla grammatica del Serianni, che raccoglie alcune forme dei pronomi relativi.

INVARIABILI

VARIABILI

[Sogg. e ogg.] che il quale, la quale i quali, le quali
[Complemento] cui del quale, della quale, al quale, alla quale, per il quale, per la quale, dei quali, delle quali, ai quali, alle quali, per i quali, per le quali, ecc.


Che

Tra tutti, che è quello più adoperato; secondo il Serianni è una delle parole italiane più ricorrenti, in senso assoluto. È invariabile per genere e numero, indica tanto le persone quanto gli animali e le cose, assume il ruolo sia di soggetto sia di complemento oggetto: «l’uomo che munge», «le donne che comandano», «l’albero che ombreggia», ecc.

Cui

È anch’esso invariabile. Si usa come complemento indiretto, preceduto sempre da preposizione (a cui, in cui, ecc.) tranne nel complemento di termine dove essa è facoltativa: «i ricordi cui era legata» [Serianni]. Essa manca anche quando cui è posto tra articolo determinativo/preposizione articolata e nome: «il cui figlio» [Serianni].

Il quale

Il quale è invece variabile per genere e numero. Fa le veci sia di che sia di cui: «è raro incontrare una persona la quale (che) abbia consacrato tutta la sua vita allo studio», «ci sono fatti sui quali (su cui) è meglio sorvolare» [Serianni].

«Se il quale dipende, come complemento di specificazione, da un nome appartenente alla stessa proposizione relativa, è spesso posposto al sostantivo reggente».[2]

Cioè: «È un libro il significato del quale (il cui significato) ancora oggi nessuno comprende».

Quale pronome scegliere?

Benché virtualmente intercambiabili, spesso si pone una scelta su quale usare. La frequenza d’utilizzo pone la nostra attenzione su che. Un più semplice e diretto che è spesso, infatti, preferito alla forma composta il quale; il quale è più ricorrente in alcuni usi formali. Esso però, può tornare utile in certi casi per dissipare possibili equivoci: «ho visto la sorella di Paolo, che ha una laurea in legge» [Serianni]. Chi? ha una laurea in legge: Paolo o la sorella? Impossibile il fraintendimento, invece, con la forma variabile: «ho visto la sorella di Paolo, la quale ha una laurea in legge».

Essa invece concorre più facilmente con cui, come complemento indiretto, mostrandosi altrettanto comune: «una figlia della quale son contento» [A. Manzoni, I promessi sposi]. Cui, invece, compare più di frequente nel linguaggio giuridico e burocratico: «Il pretore ha pronunciato la seguente sentenza contro N. N., imputato del delitto di cui all’art. …».

Conclusione

Benché da dire ce ne sarebbe ancora molto, cosa di cui non mi assumo responsabilità, per oggi terminiamo qui. State bene.

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Note

[1] Luca Serianni, Grammatica italiana, Utet 2006

[2] Ivi p. 315

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13 Comments on “Pronomi relativi”

  1. Questanno, come ogni anno, non ho fatto proposizioni per l’anno nuovo, ho conservato le vecchie.
    Oops, forse ho fatto confusione, ma come diceva lui tutto è relative, anche i pronomi, e anche le proposizioni, pare

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  3. Io tendo a usare il che però nel caso della frase «ho visto la sorella di Paolo, che ha una laurea in legge» si potrebbe anche scrivere ” ho visto la sorella di Paolo, laureata in legge” il femminile toglie il dubbio. Se però incontriamo il fratello di Paolo, allora il dilemma resta.
    Cosa ne dici?

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    • A me vengono in mente due soluzioni:
      Paratassi: “Ho visto il fratello di Paolo. Paolo è laureato in legge.”
      Inciso: “Ho visto il fratelo, lauerato in legge, di Paolo.” (ma anche “Ho visto il fratello di Paolo laureate in legge”)

      Però qui mi viene una domanda per Salvatore sull’uso della punteggiatura:
      “Ho visto il fratello di Paolo che è laureate in legge”
      “Ho visto il fratello di Paolo, che è laureate in legge”
      Nel primo caso mi viene da dire che il laureate in lege è il fratello, mentre nel secondo è Paolo. Dove sbaglio, se sbaglio?

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      • Perché adoperi il plurale: laureate? Ad ogni modo, con o senza virgola resta il dubbio.

        Giulia, non ci sono molte soluzioni, se non girare la frase: “Ho incontrato Marco, il fratello di Paolo, che è laureato in legge”. Il fatto che la presenza di Paolo sia relegata a un inciso toglie ogni dubbio circa l’assegnazione di sta benedetta laurea. 🙂

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