I dimostrativi II

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Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

Continuiamo con la carrellata di aggettivi e pronomi dimostrativi: ciò, costui, colui, tale, stesso e medesimo. Avanti il prossimo.

Ciò

Più comune fra gli scrittori che in ambito famigliare, ciò è un dimostrativo neutro. Può essere adoperato sia come soggetto: «ciò è una cosa buona»; sia come complemento: «in tutto ciò c’è qualcosa di strano». Il pronome ciò vale per: «questa cosa» o «quella cosa». Molto spesso introduce una relativa: «non sapeva ciò che faceva» [esempio del Serianni]. Nella lingua parlata preferiamo ricorre più spesso a questo o quello che a ciò: «ecco quello che penso».

Secondo Dardano e Trifone[1] ciò, come complemento, è spesso intercambiabile con le forme atone: «non pensavo a ciò» / «non ci pensavo», «di ciò abbiamo parlato abbastanza» / «ne abbiamo parlato abbastanza».

Spesso con ciò si formano molte congiunzioni, conglomerando il pronome: perciò, acciocché, impercioché, conciossiacché. Gli ultimi due, ma direi anche gli ultimi tre, sono forme arcaiche difficili oggi da ritrovare. E se viene seguito dal verbo essere, ciò diventa: cioè.

Costui

Come dice il Serianni:

«Costui, costei, costoro sono pronomi riferiti a persona e possono usarsi tanto come soggetti quanto come complementi. Si tratta di forme oggi poco comuni e perlopiù limitate al linguaggio scritto».[2]

Sono sicuro siate piuttosto interessati alle paginate di grammatici antichi che discutono attorno alla questione se costui sia più vicino al valore di questo o di codesto, ma io no e quindi ve lo risparmio. Invece è importante distinguere la funzione anaforica da quella deittica:

  • Anaforica: quando richiama un termine precedente, costui ha un valore simile a questo: «chi potrà ora descrivere il terrore, l’angoscia di costei» [Manzoni].
  • Deittica: nell’italiano moderno costui, rispetto a questo, ha sempre una carica negativa quando serve a indicare qualcuno: «So cosa pensi: ma che dice costui?» [Arpino].

Arcaico, infine, l’uso cataforico di costui: «il Re Giovane avvisò costui che l’aveva, e venne» [Novellimo].

Colui

Colui, colei, coloro condividono le caratteristiche grammaticali di costui, ma come valore semantico corrispondono a quello[3]. Anche in questo caso distinguiamo le diverse funzioni:

  • Anaforica: è un uso oggi limitato alla lingua scritta di tono sostenuto: «Ella ricevette dalle mani di colui la busta, che in fretta nascose nella borsa» [Morante].
  • Cataforica: è l’occorrenza più frequente cui viene adoperato questo pronome, che rappresenta la variante più ricercata di quello: «era arrivata colei che tutte le volte – ormai quante! – egli aveva, senza saperlo, desiderato che fosse arrivata» [Cicognani].
  • Deittica: nell’italiano moderno, l’uso deittico di colui assume una connotazione negativa: «Lo sentite Piedipapera […]? Un altro della setta, colui! un arruffapopolo, con quella gamba storta!» [Verga].

Tale

Tale ha valore dimostrativo quando «è usato come aggettivo anaforico (raramente cataforico) invece di questo, di cui è ormai divenuto altrettanto frequente nel linguaggio scritto»[4], altrimenti resta un pronome e aggettivo indefinito (che vedremo prossimamente). A volte lo si può trovare accompagnato dall’articolo indeterminativo: «a (una) tale domanda, non seppe che rispondere» [Serianni].

Quando è retto da un participio, da in quanto, come o per la funzione anaforica di tale emerge più chiaramente: «lo stesso discorso potrebbe valere per gli altri protagonisti o aspiranti tali, i grandi imprenditori, finanzieri, informatori» [G. Bocca].

«Sostanzialmente equivalenti a tale altri cinque aggettivi dimostrativi, il primo d’uso corrente, gli altri letterari, se non decisamente antiquati (specie il quinto): simile, siffatto, cosifatto (anche sì fatto, così fatto, in particolare nell’uso antico) altrettale e cotale»[5].

Molto comuni sono i costrutti composti dall’aggettivo dimostrativo tale in funzione anaforica seguito da un sostantivo come genere, tipo, specie, fatta, sorta: «discorsi di tal genere», «prodotti di tale specie», ecc. A tale possono essere sostituiti questo, questa: «persone di questo tipo», ecc.

«Possono rientrare nel gruppo dei dimostrativi, infine, tutti gli aggettivi anaforici caratteristici del linguaggio burocratico e in genere dell’italiano scritto come detto, anzidetto, predetto, suddetto; citato, suesposto, cennato; gli arcaici prefato, prelodato, sullodato e così via»[6].

Ci teniamo a sottolineare il ricorso massiccio nell’uso burocratico anche di aggettivi cataforici e deittici: «il sottoscritto avvocato…», «il presente biglietto», ecc.

Stesso e medesimo

Tra i dimostrativi, stesso e medesimo sono utili a indicare l’identità o la corrispondenza fra due o più concetti: «sei sempre lo stesso», «dici sempre le stesse cose», «ricorse alle medesime argomentazioni del suo avversario».

Hanno anche la funzione di rafforzare un pronome personale (o un altro elemento del discorso) conferendogli sfumature particolari: «ella medesima […] correva con gioia fanciullesca dal suo luogo d’osservazione a lui» [Landolfi], «in media ogni donna russa, secondo le stesse statistiche ufficiali, si sottoporrebbe a 6-8 aborti» [L’Espresso], «facilitando il drenaggio del focolaio infiammatorio ed aumentando l’efficacia degli antibiotici a livello del focolaio stesso» [bugiardino di un medicinale].

Stesso, con valore neutro, ricorre anche in tutta una serie di costrutti cristallizzati: «fa lo stesso», «partirò lo stesso», «oggi stesso», ecc. Nell’uso letterario è facile il ricorso al pronome personale + stesso: «se stesso»; alcune volte arrivando persino a sostantivarlo: «la spina del rimorso per non avergli saputo inventare il me stesso che s’aspettava» [Bufalino].

Conclusioni

Per oggi è tutto. Il prossimo lunedì salteremo il mini-ripasso per far posto a un articolo più leggero e discorsivo: Dieci tipici errori grammaticali. Poi si torna con i pronomi e aggettivi indefiniti. State bene.

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Note

[1] Maurizio Dardano e Pietro Trifone, La lingua italiana, Zanichelli 1985

[2] Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET 2006

[3] Ivi p. 282.

[4] Ivi p. 282

[5] Ivi p. 283

[6] Ivi p. 283

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