Ricorderete certamente l’incipit di uno dei più famosi libri della teoria del complotto: Teoria e prassi del collettivismo oligarchico, di Emmanuel Goldstein. Ne parleremo meglio dopo. Per il momento voglio concentrarmi su altri due autori: George Orwell e David Icke. Nel suo celebre 1984, George Orwell ci presenta un mondo diviso in tre superpotenze continentali che si distinguono fra loro più dal nome e dai colori della bandiera che dai contenuti e dai mezzi di coercizione adottati per inibire le libertà sociali. Per spiegare i pericoli verso cui un mondo impazzito come il nostro potrebbe marciate in futuro, Orwell adopera tre parole: socing, bipensiero e neolingua.


Si legge in un fortunato saggio di Leonardo Sciascia, La storia della Mafia, che il primo vocabolario siciliano in cui compare questa parola è quello del Traina: «importata in Sicilia dai piemontesi, cioè dai funzionari e soldati venuti in Sicilia dopo Garibaldi, ma proveniente forse dalla Toscana dove maffia (due effe) vuol dire miseria e smàferi vuol dire sgherri»[1] – era il 1868.


Quella banda continuò a essere piena di riguardi per il marchese e la gente di Villalba. Viene naturale porsi l’interrogativo se questo rapporto, all’inizio coartato, si sia poi aperto a una reciproca utilità. Secondo la Relazione non devono essere considerati manutengoli coloro che, sotto la minaccia di ritorsioni, spinti dal terrore aderiscono a ricoverare una banda o s’impegnano al silenzio sui suoi movimenti o ostacolano le ricerche delle autorità.


Anni di plastica dominati dalla cultura dell’immagine, dal consumo di massa, dal mito dell’arricchimento facile, dalla televisione, dall’individualismo e dalla voluttà: come sono stati gli anni Ottanta?


Benché sia più evidente oggi, l’emancipazione della massa (e di conseguenza l’abbassamento della cultura) ha avuto inizio almeno nella forma più eclatante a partire dagli anni Ottanta, in Italia, sull’onda dei consumi e di una ricchezza (almeno all’apparenza) più diffusa.