indaco

Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

Nello scorso mini-ripasso abbiamo affrontato il discorso riguardante gli aggettivi, identificandoli con una definizioni, dividendoli in due categorie (qualificativi e indicativi) e una sottocategoria (relazionari), dando di ciascuna di essi un’indicazione di utilizzo. Oggi approfondiamo il discorso con gli aggettivi qualificativi.

Concordanza di genere e numero

«La flessione grammaticale dell’aggettivo qualificativo ricalca, in modo più semplice e meno articolato, quella del nome».

Luca Serianni, Ivi p. 194

Se ne possono distinguere tre classi, usando un termine dello stesso Serianni, che suddividono gli aggettivi qualificativi in altrettanti gruppi affiancabili per tipo di desinenza.

Classe I

Vi rientrano gli aggettivi con desinenza singolare maschile in –o, femminile singolare in –a, maschile plurale in –i, femminile plurale in –e. Ad esempio: buono, buona, buoni, buone. Questa, in parallelo con il caso dei sostantivi, corrisponde al tipo dei nomi maschili terminanti in –o e femminili terminanti in –a (gatto / gatta, gatti /gatte).

Come per i sostantivi, alcuni aggettivi di questa classe hanno conosciuto nell’evoluzione dell’italiano delle oscillazioni nella terminazione. Ad esempio: leggero, l’unica forma attualmente possibile, poteva alternarsi in leggiere e leggieri; fiero con fiere e fieri, veritiero con veritiere e verteri, ecc. Non approfondiremo oltre il discorso.

Classe II

È costituita da quegli aggettivi qualificativi che hanno la desinenza in –e sia per il maschile sia per il femminile entrambi singolari; –i per i maschili e femminili entrambi plurali: «un corso facile da seguire», «una soluzione facile da trovare» / «dei corsi facili da seguire», «delle soluzioni facili da trovare». Questa classe di aggettivi corrisponde a quella dei sostantivi con desinenza in –e.

Alcuni di questi aggettivi, dice il Serianni, hanno nel maschile singolare un allotropo (un adattamento fonetico o morfologico) in –o. Fra le due forme non c’è quasi mai una variazione semantica: incolore /incoloro, insapore / insaporo [esempi del Serianni].

Quasi mai… una sensibile differenza si registra tra triste e tristo: “afflitto”, il primo; “sventurato”, il secondo. Tristo ha anche una variabile femminile, trista, che designa però un “malvagio” che porta sventura: «triste è lo sguardo di colui che sul cammino del proprio destino incrocia la strada con la trista figura» (in questo caso ci si riferisce alla morte).

Meno chiara pare essere la distinzione tra fine e fino. Con fino, che ha la sua variabile femminile in fina, si è soliti riferirsi a qualcosa di “sottile”: «seta fina», «spago fino». Ma con «oro fino», dice il Serianni, ci si riferisce più alla purezza che a una dimensione. Non solo, ma in relazione a qualità morali o facoltà sensoriali, fino significa “acuto”: «fiuto fino», «cervello fino», ecc. Fine, invece, condivide con fino il significato di “sottile”, ma vale anche come “raffinato” e, in relazione a qualità morali, a “ben educato”: «L’uomo, fino di intelletto, che si trovasse a camminare su una fune fine di certo escogiterebbe una fina fuga» (d’accordo, datemi dello scribacchino da quattro soldi: non mi offendo).

Classe III

Vi rientrano quegli aggettivi che al singolare escono in –a sia al femminile sia al maschile, e che al plurale hanno desinenza in –i per il maschile e in –e per il femminile: entusiasta / entusiastientusiaste. Questi si differenziano dagli aggettivi della prima classe unicamente per il maschile singolare, per cui molte grammatiche tendono a non farli rientrare in una vera e propria terza classe. Ovviamente quella del Serianni fa eccezione.

Di questa classe fanno parte gli aggettivi che terminano in:

  1. ista: pessimista, individualista, ecc.
  2. cida: omicida, suicida, ecc.
  3. ita, sia con i tonica: vietnamita; sia atona: ipocrita, ecc.
  4. asta: entusiasta, iconoclasta, ecc.
  5. ota: idiota, ecc.

Aggettivi invariabili

Come per i sostantivi, anche negli aggettivi troviamo delle forme invariabili sia nel genere si nel numero. Essi sono:

  • I tipi pari (con il derivato impari) e dispari;
  • Alcuni colori: amaranto, blu, indaco, lilla, rosa, viola;
  • Gli aggettivi formati con “anti + nome”: anticarro, antinebbia, antieroe, ecc.
  • Alcune locuzioni avverbiali con funzione attributiva: dappoco, perbene, ammodo, ecc.
  • L’infinito avvenire con funzione attributiva: «prometteva ad Anna magnifici giorni avvenire» [Moravia];
  • L’arrosto: «polli arrosto», ecc.

Al femminile, è invariabile anche l’aggettivo incinta. Il maschile, incinto, esiste ma solo in funzione burlesca.

Quegli aggettivi composti da due aggettivi mutano solo il terminale del secondo: «piccolo-borghese» / «piccolo-borghesi», ecc. Alcune volte capita che il primo aggettivo della copia subisca anche una decurtazione sillabica: spesso di origine dotta per gli etnici (Africa → afro-), e per i termini del linguaggio medico (stomaco + intestino → gastrointestinale).

Sempre nelle coppie, rimane spesso invariato nella prima posizione l’aggettivo mezzo: «mezzo seccate», ecc. ma si può trovare anche: «mezze vuote», ecc.

Conclusioni

Se pensante che il discorso sulla concordanza tra genere e numero sia finito qui, be’ vi sbagliate. Si prosegue al prossimo mini-ripasso. Passatevi una buona settimana.

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Note

Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET 1989

In calce: un cumulo indaco con sfumatura tendente al blu.

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4 Comments on “L’aggettivo qualificativo”

  1. Salvatore ti manderò una mia foto che dovrai mettere al posto dell’asino come copertina.
    Mamma mia quante cose mi son dimenticato in questi anni. mi fai venire voglia di tiare fuori ancora il mio libro di grammatica.

    I tuoi articoli sono preziosi…grazie.

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