La servitù dei Like

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“È sapiente solo chi sa di non sapere,

non chi s’illude di sapere e ignora così

perfino la sua stessa ignoranza.”

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Dalle ombre di Platone ai Like di Zuckerberg

Oggi ti sei svegliato con una sorta di rivelazione, non è così caro follower? Capita, voglio dire. Certe mattine di svegli e quell’idea sottile che ti frullava per la testa da giorni, troppo trasparente per essere agguantata, l’hai finalmente compresa. Poiché sai scrivere, e scrivere bene, hai usato il tuo spiccato talento per la sintesi e l’hai condensata in una bella frasetta. Cosa ci farai, con questa bella frasetta?

Un tempo forse l’avresti scritta sul tuo diario, custodendola da occhi indiscreti. È troppo intimo il pensiero per poterlo condividere con estranei. Il pensiero comunica come funziona il nostro cervello, le nostre emozioni. E poiché il comportamento è sempre un’azione conseguente un’emozione, svelare le emozioni comunica come ci comportiamo. Oppure l’avresti confidata alla mamma, ché il babbo certe cose non le capisce. O magari a un’amica/amico del cuore. Altrimenti l’avresti potuta lasciare fluttuare nella testa, assieme a molti altri pensieri, andando così a formare il fondamento delle tue impressioni sul mondo, la vita, l’esistenza.

Una volta, dicevo. Ma oggi è oggi, ed è tutta un’altra storia. Oggi la tua bella frasetta, di cui vai tanto tanto fiero, la trascrivi immediatamente su Facebook. Così in fretta che a stento ne controlli l’ortografia, tanta è la fregola di condividere il tuo genio col mondo. E il mondo, si sa, non può attendere; ché di geni come te ce ne sono tanti e la concorrenza, come ti hanno insegnato alcuni video amatoriali su YouTube, è brutta e va battuta. E poiché è proprio una bella frasetta, vieni premiato con tanti pollici in su – si dice li abbiano inventati i romani – tanti cuoricini, risatine, wow di stupore e via dicendo.

Questo, la prima volta che succede, ti stupisce, ti gratifica, ti appaga, ti galvanizza, ti premia, ti esalta, ti stimola a scriverne altre per essere nuovamente ricompensato. La seconda volta un po’ meno. Dalla terza la magia non è più la stessa. E per provare nuovamente quel brivido della prima volta, devi compensare con più pollici, più cuoricini, più wow… Da lì in avanti è solo una questione di numeri: «Quanti like ha ricevuto questa mia frasetta, stavolta?» E… SBRANG!… via la frasetta cattiva che non ti ha fatto guadagnare sufficienti consensi. Adesso, però, fermati un attimo e rispondi a questa domanda: È davvero questo a cui aspiravi nella tua vita?

Circa 2.400 anni fa un uomo a cui avevano ammazzato l’amato maestro, decise di tramutare la sua rabbia in qualcosa di cui potesse trarne beneficio l’intera umanità. Certo, se fosse stato uno di noi, avrebbe imbracciato il suo kalashnikov e si sarebbe fatto giustizia da sé, facendo strage dei propri nemici; quantomeno a parole su Facebook. Ma lui era migliore di noi. E decise di scrivere un mito: il mito della caverna¹. Immagina, caro follower, una caverna in cui sostano inginocchiati tanti uomini, col volto rivolto alla parete e le spalle a un fuoco. Va bene anche il sole, direbbe Plotino. Ma Plotino non lo conosce nessuno e pace.

Questi uomini vi sono incatenati fin dalla nascita; il che equivale a dire che non hanno mai avuto l’opportunità di guardare cosa c’è davvero fuori dalla caverna. Il fuoco alle loro spalle riflette delle ombre sulla parete che hanno di fronte. Tra il fuoco e le schiene curve dei prigionieri corre una “strada rialzata”. Va bene anche un davanzale o una piattaforma, avrebbe detto Porfirio. Ma di Porfirio, a noi che non lo conosciamo, non ci importa nulla. Alcuni uomini cattivi poggiano su questa strada o muretto o piattaforma o quello che ti pare, degli oggetti. Tutto ciò che gli uomini incatenati vedranno nella loro vita, saranno le ombre di quegli oggetti.

“Le ombre sulla parete sotto tutto ciò che del mondo i dormienti conosceranno”

Platone chiamava questi uomini i dormienti. Ovvero persone che non vedono davvero il mondo, ma che vivono in una propria realtà. Le ombre sulla parete sono tutto ciò che del mondo questi uomini conoscono. Gli uomini che poggiano gli oggetti sul muretto, sono quelli che Platone, e prima di lui Socrate, chiamava sofisti. Chi sono i sofisti, caro follower? I sofisti sono quelle persone sagge, ovvero dotate di sapienza, che usano la retorica per convincere gli altri di… qualche cosa. Diversamente i filosofi, per Socrate, sono quelle persone altrettanto sagge che usano la dialettica per svelare le bugie e aprire gli occhi ai dormienti. Qual è la differenza – tecnicamente parlando – tra retorica e dialettica?

La retorica è un soliloquio attraverso cui, un uomo dotato di carisma e sapienza, cerca con belle parole, usate a dovere, indottrina gli altri circa la bontà del proprio punto di vista. È, cioè, un canale unidirezionale; che fa molto affidamento sulla capacità linguistica e inferenziale dell’oratore. Viceversa, la dialettica, è un dialogo in cui un uomo, saggio certo, parla ma soprattutto fa parlare l’altro. E domanda dopo domanda, il saggio smonta le tesi dell’interlocutore. Poiché non esistono verità assolute, ma solo parziali, se si scava abbastanza a fondo qualsiasi verità prima o poi s’imbatterà nelle proprie contraddizioni.

La dialettica, soprattutto la capacità di saper mettere le persone davanti alle proprie incongruenze, è ciò che ha portato Socrate alla condanna capitale inflittagli dal governo democratico di Atene. È importante ricordare che furono i democratici a condannare Socrate, e non il governo dei Trenta Tiranni. Ché è sempre in uno stato di democrazia che i sofisti trovano terreno fertile per far presa sui dormienti. Non a caso tanto Platone quanto Cicerone disprezzavano la democrazia.

Ora, se sei arrivato fin qui, caro follower, ti sarai fatto una certa idea. Avrai immaginato persone che grazie a Facebook, alle potenzialità di questo strumento, manipolano i nostri comportamenti con contenuti mirati. Non è del tutto sbagliato. Sono sicuro che tutti noi conosciamo direttamente o indirettamente almeno una di queste persone. Ma, ed è solo un consiglio il mio, non limitarti a guardare le ombre. Perché gran parte di quei “sofisti”, siamo noi. Noi tutti. E te lo dimostro:

Quando hai terminato la tua riserva di belle frasette ma sei ancora ingordo di like, caro follower, cos’è che fai?


Note

¹ La Repubblica, settimo libro, Platone

50 Comments on “La servitù dei Like”

  1. P.S. all’ultima domanda non so rispondere, sarà che sono anni che non posto una frasetta su facebook? :O

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  2. Bell’ articolo. Mi è piaciuto il confronto tra il mito della caverna di Platone e la situazione attuale. Ovviamente i manipolatori ci sono sempre stati, così come il desiderio di ricevere in qualche forma l’approvazione degli altri, solo che oggi è tutto più veloce e il tempo della riflessione alla maggior parte degli utenti sembra tempo perso

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    • Grazie, Anna Maria.

      Proprio così, il tempo della riflessione è finito. Anche se… guardando alla mia giornata, perdiamo invece un sacco di tempo a fare “niente”, cioè cose di importanza infinitesimale. È chiaro che i grandi poeti ellenici erano per lo più pastori, e loro sì che avevano un sacco di tempo per pensare. Oggi è tutto più veloce. Portiamo al pascolo mandrie di bit che non producono nulla, se non derisione e delusioni, ma vanno veloci e bisogna stargli dietro. Tuttavia facevo leva anche sul fatto di prestare attenzione ai nostri comportamenti. Perché spesso, magari inconsapevolmente, siamo proprio noi quei sofisti. Bisogna, insomma, fermarsi a ragionare un po’ di più, prima di intraprendere una qualche azione. E se non si ha il tempo o gli strumenti, allora forse è bene astenersi.

      Grazie per il commento, e torna a trovarmi. 🙂

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  3. Like, cuoricini, wow. Nuova moneta intergalattica pari alla visibilità con cui si viene ripagati. Ogni social ne fa uso e ogni utente ne abusa, convinto esalti, espanda il proprio genio e chi più ne ha più ne metta. Un circo dove siam tutti pagliacci e tutti spettatori. Solo che spesso si fa ridere e spesso si ride se si è bravi. Peggio è quando si fa piangere…

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    • “Un circo dove siamo tutti pagliacci e tutti spettatori” – bello! Proprio così. Solo che le nostre azioni, anche se ci sembrano poco importanti, quasi da farsa, possono trasformarsi in qualcosa di più: in un onda che si alza e spazza via tutto. Come il battito d’ali delle farfalle di Lorenz, per intenderci.

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  4. Mi apro un blog e le scrivo lì? 😀
    E partendo dal banale concetto di Like, si apre una mappa mentale infinita, con implicazioni di natura sociologica, linguistica, psicologica, politica, antropologica, economica…
    Dai, questa settimana è andata così. Era impossibile competere con una frasetta contro le foto del matrimonio dei Ferragnez! Ti andrà meglio la prossima. 😛

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    • Comunicare, per l’uomo, è fondamentale. Smettere di farlo non è un suggerimento. Non è nemmeno una buona idea. Bisogna però essere consapevoli di quello che si fa. È questa la differenza fra un dormiente e un sofista/filosofo. E la differenza fra un sofista e un filosofo è che mentre il primo adopera la comunicazione per fini personali, il secondo lo fa per un bene più elevato. O almeno, è questo quello che crede.

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  5. Perbacco, dottore! La dialettica del suo post (o la retorica?) mi ha così stordito che i miei quattro neuroni sono rimasti frastornati a giocare con le ombre cinesi nell’ampia caverna vuota del mio cervelletto… 😀

    Il vero problema non è tanto essere dormienti/sofisti/filosofi. Il vero problema è che la stragrande maggioranza della gente non ha ancora capito lo strumento che usa, vale a dire il social network di turno. Trent’anni fa il sofista/filosofo diceva la sua frasetta al bar davanti a una decina di dormienti. E la sua retorica/dialettica, bene o male, finiva lì.

    Oggi il sofista/filosofo la sua frasetta la scrive sul social, spesso senza capire che, più o meno inavvertitamente, essa arriverà a centinaia di dormienti. I quali la condivideranno con le rispettive centinaia di amici dormienti, magari travisandola. Il resto lo si può facilmente immaginare, anche perché è sotto agli occhi di tutti.

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  6. Non so. Definire i social, definire chi sta sui social, definire me stesso e i social, son tutte robe complicate. Ogni definizione può essere contraddetta, ogni pensiero risulta parziale e spesso privo del giusto spessore. Forse occorrerebbe giusto Platone o magari basterebbe Eco quando lucidamente disse che i social hanno dato parola a legioni di imbecilli.
    Io ad esempio sono su Facebook, perché sostanzialmente su Fb ci lavoro e quindi sono quasi sempre connesso. Però spesso mi son chiesto: gli altri che ci vanno a fare?
    Per questo all’inizio non postavo mai e oggi posto molto raramente; in genere quando mi viene in mente qualcosa di paradossale da dire. Però preferisco sempre dirlo a pochi. Sono meno di trenta persone coloro che possono leggere il 90% dei miei post. In qualche modo sento un certo pudore, come se parlare a pochi amici, crei un clima più familiare, da comitiva da bar. Raramente intervengo in post pubblici. Non ne trovo l’utilità. Quando in un post ci sono centinaia di commenti, la voce si disperde in una cacofonia che nessuno leggerà mai.
    E comunque non mi sento di giudicare gli altri, credo che ciascuno sia legittimato a manifestare la propria mediocrità come crede. Mi viene solo un po’ difficile rapportarmi con certi tipi, che non sono nemmeno dormienti. Io che non mi faccio problemi con il mondo sono più categorico, li chiamo mezzo cervello, quando sono generoso, senza cervello, se voglio essere più equo.
    E comunque credo che pochi siano immuni dalla riprova sociale del like. Ed è la riprova sociale, il ricevere l’interazione altrui, il grande ricatto dei social. O forse no.
    Oggi sono un po’ socraticizzato. Tu fammi il Platone va… Anzi no, che poi ti inventi i dialoghi e fra Atlantide e il narrare della mia cicuta, mi faresti dire pure cose che non ho mai detto. 😛

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    • Credo che di internet, e dei social in particolare, si possa dire più o meno quello che molti decenni fa Pasolini disse della televisione. Forse ci scriverò un post. Internet e i social hanno interamente assorbito la funzione della televisione. Io che da ragazzino, come tutti quelli della mia generazione, guardavo molta TV, oggi che non ce l’ho nemmeno in casa non ne sento affatto la mancanza. E quindi sono portato a chiedermi chi, salvo le persone più anziane, guardino ancora la televisione. È vero che con internet c’è un’interazione che con la TV non avevamo, ma come dici tu stesso: l’interazione del singolo si perde in una cacofonia di rumori che passa quasi inosservata. Ed è quel quasi a fare la differenza. Una volta, davanti alla TV, potevi insultare il Presidente della Repubblica e non ti sarebbe capitato nulla. Oggi lo fai su FB e vieni indagato. Come per la TV nessuno di noi è immune dall’interazione nei social. Fa parte dell’istinto umano comunicare e fare parte di una “comunità”. Forse semplicemente non abbiamo ancora sviluppato gli anticorpi necessari, a differenza della TV. Scopro sempre più persone che non hanno e non guardano più la televisione. Una cosa impensabile fino a due-tre decenni fa.

      Per concludere, a me non danno fastidio i “dormienti” che pensano di essere svegli. Mi danno fastidio i sofisti che sanno bene come adoperare il mezzo e lo fanno senza alcuno scrupolo. E purtroppo nella mia cerchia di “conoscenze” ce ne sono parecchi.

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      • Boh, io la TV la guardavo poco anche un paio di decenni fa (che pensare al passato in decenni fa sentire più vecchi).

        Quanto alla tua conclusione a me onestamente danno fastidio entrambi 😛

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      • I social sono uno strumento nuovo, noi più grandetti ci siamo adatti, i più giovani nascono già con questa innovazione incorporata, per questo probabilmente la percezione di questo mezzo tra noi e loro sarà molto diversa. Il problema è che in un social uno vale uno, per questo la verità, la scienza, i fatti storici rischiano di diventare opinioni. E in questo, i sofisti di cui parli, rischiano di diventare un serio problema. Le fake news sono sempre esistite. Si sono compiute rivoluzioni, guerre, per fake news, Hitler ci ha preso il potere, solo che oggi diventa tutto più immediato. Quando ero giovane avevo coniato la frase: la forza dell’ignoranza è sempre la più forte. E’ inutile stare a spiegare alle persone quale è una notizia vera e quale è falsa. Tempo fa mi era capitato che un conoscente su Facebook aveva condiviso una notizia secondo la quale archeologi avevano scoperto un passaggio sotterraneo costruito dai romani che collegava la Sicilia alla Calabria. E i commenti erano del tipo: altro che ponte, gli antichi sapevano fare meglio di noi. Eppure questo ragazzo che ha condiviso la notizia è laureato, possibile che non possegga gli strumenti per comprendere una bufala elementare? Il problema è che ciò che si posta su Facebook, assume un valore di verità per molti. Il l’ho letto su internet diventa la nuova fonte di conoscenza. Io credo che potremmo evolverci in due classi, una colta, piccola, che sa riconoscere il vero dal falso e poi il gregge, che manipolato dai sofisti può rispondere facilmente agli impulsi artificiosi. Ci sarebbe da farci un romanzo, e neanche troppo distopico, visto l’andazzo.

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        • Beati noi che avevamo i cugini ;D

          Comunque non è proprio vero che sui social ognuno vale uno, ci sono quelli che chiamano influencer ad esempio…

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          • Sì, è vero, ci sono pure quelli con l’influenza. 😛
            Mi riferivo più che altro al discorso di Eco. Lo scemo del villaggio può avere lo stesso peso dello scienziato. Vedi il discorso dei vaccini.
            Poi è chiaro, se per influencer (e addirittura politico di peso) abbiamo uno che pensa che siamo come le meduse, ovvero con più del 90% di acqua, siamo proprio messi bene. XD

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        • La stessa cosa la si diceva della televisione. Quante volte mi sono trovato a discutere coi parenti o gli amici per una notizia di cui loro sostenevano l’inappellabile verità perché “l’aveva detto la televisione”! Come se la televisione fosse uno strumento dispensatore di verità assolute, e non un mezzo che, in quanto fatto da uomini, può sbagliare o essere manipolato…

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    • Però guarda il paradosso: tu usi facebook per lavoro e ti domandi perchè la gente ci vada, pero se la gente non ci andasse che ci faresti tu per lavoro? 😛

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          • Niente sale, niente zucchero, niente carboidrati, niente grassi saturi e insaturi, poche proteine, quasi niente carne rossa, assolutamente niente fumo, neanche un po’ di marijuana, pochissimo caffè, poco o niente alcolici… se eliminiamo pure il sesso a pagamento, finiremo per essere tutti dei piccoli monaci buddisti. A questo punto meglio la clausura. 😛

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      • Davide i paradossi sono elementi vitali. Vanno persino ricercati. Io non ho fatto questo lavoro perché mi son detto cosa mi piace, ho fatto questo lavoro perché il vecchio non funzionava più e mi son detto dove si concentrano le migliori opportunità oggi giorno?
        E Facebook è un luogo dove la gente di ogni angolo del globo si concentra a milioni, dove l’unica differenza per essere raggiunta in un semplice istante è la lingua parlata. Quindi anche se Fb non mi piace, paradossalmente ci vado per tirare la carretta.
        Adesso che zio Mark sta cambiando tante cose nel backend (molti pensano che Facebook sia studiato per far relazionare le persone, zio Mark lo ha studiato unicamente per fare soldi) comincio a sentire una necessità di cambiamento. Mi sto spostando da Fb verso un luogo che può offrirmi maggiori opportunità.
        Un lavoro definitivo per quelli come me, abituati a crearlo il lavoro e non a cercarlo, non esisterà mai. So perfettamente che i miei tipi di lavori durano un quinquennio, poi si saturano e occorre cercare altro.
        Ovviamente questo in attesa del salto finale: il vivere di scrittura. 😉
        E sorrido proprio mentre lo scrivo. Perché chi lo leggerà dirà: toh, l’illuso, il sognatore, il campato in aria. Ma sorrido perché gli altri non sanno quel che io so. E anche questo è un bel paradosso. 😛

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        • È proprio vero: oggi il lavoro bisogna crearselo. Solo che serve più intelligenza di quanta ne abbia l’impiegato medio e medio alto. Avendo conosciuto entrambi gli esponenti, devo dire che la nostra società è strutturata per esaltare la mediocrità. Chi non è mediocre, o riesce a fare il salto oppure si trova inevitabilmente male.

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          • Credo che sia tutta una questione di propensione. C’è chi ha necessità di impiegarsi, c’è chi come me non riuscirebbe a sopravvivere con un capo. Per questo ho una mia difficoltà mentale nel rapportarmi con un eventuale editore. Io voglio agire in piena autonomia. Con l’editore sarei costretto a sottostare alla sua linea con pochi margini di manovra.

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  7. Tant’è vero, che tempo fa era uscita una ricerca di alcuni studiosi americani, secondo i quali l’uso di Facebook e altri canali simili provocherebbe alla lunga infelicità, esattamente per il fenomeno che descrivi; naturalmente, la ditta sotto accusa ha negato e la cosa è finita lì; ma nel frattempo, paiono smuoversi le coscienze: i giovani se ne servono sempre meno, mentre c’è l’ondata dei cinquantenni che hanno capito solo ora come funzioni. La generazione nuova ha spiegato qualcosa a quella di prima e ha creato un mostro…😅

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    • Se FB ha la stessa evoluzione della televisione, seppure con tempi più rapidi come è giusto che sia, è probabile che finirà per essere usato solo più dagli anziani. Vedremo. Ma al momento mi pare ancora forte, perché non c’è nessun’altra piattaforma o mezzo o tecnologia in grado di mettere in comunicazione contemporaneamente tante persone. Immagino uno sviluppo futuro in cui FB, Twitter, Linkedin e, soprattutto, YouTube si fonderanno in un unico meccanismo.

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      • In effetti siamo molto vicini a questo sviluppo. Quanto alla televisione, già da tempo si mormora che, se vuol sopravvivere, debba adeguarsi all’invecchiamento della popolazione; ma del resto, dovrà farlo qualsiasi cosa: se non vogliamo mandare a catafascio l’intero sistema economico bisognerà aumentare le pensioni, e di molto, per fare un esempio ulteriore; altrimenti, chi sosterrà i consumi? Il pianeta invecchia, e invecchierà anche Facebook: è il ciclo della vita.

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  8. Siamo tutti fermi, ciascuno incantato dalle proprie ombre.
    Detto questo un po’ di simpatia me la fanno anche i sofisti, quelli veri, Protagora in primis, che, non avendo l’ufficio stampa di Platone, hanno finito per interpretare la parte dei cattivi. Alla fine i seguaci, sopratutto quelli influenti, erano importanti anche allora.

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  9. Siamo tutti corrotti dalla mania di sentirci importanti. C’è chi lo manifesta con la smania di visibilità nel virtuale, chi pavoneggia presunte opere di bene e chi, come probabilmente il sottoscritto, prende per i fondelli il prossimo 🙂

    Un caro saluto

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