Le preposizioni proprie: A

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Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

Come dicevamo la scorsa volta, le preposizioni si distinguono in proprie e improprie: le prime si adoperano solo come tali, a differenza delle seconde che invece possono assumere anche altre funzioni: ad esempio di congiunzione, di avverbio, ecc. Le proposizioni proprie sono otto (più una): di, a, da, in, con, su, per, tra (fra). Le ultime due, lo vedremo meglio dopo, sono identiche per significato e funzioni.

A

La preposizione a, può dare luogo a un primo gruppo di relazioni che esprime il rapporto di «destinazione del punto o della linea di arrivo di un’azione»[1]. Se ne traggono i seguenti complementi:

  • Di temine: «dici a me?» [Serianni]; «non gli piaceva far sapere alla gente i fatti suoi» [Verga], con verbi causativi; «a me non farebbe male» [Serianni], con verbi e aggettivi che denotano utilità, favore, danno; «questo dovrebbe stare a cuore a te», costrutti con doppia a.
  • Di moto verso luogo: «Vado a casa»; «questo tipo di relazione si stabilisce di preferenza con verbi di moto come andare, avviarsi, inviare, tendere, arrivare, ecc., ma si può avere anche senza un verbo espresso»[2], ad esempio: «Tutti qui all’alba»; «condannato a dieci anni di reclusione» (nel linguaggio giuridico la preposizione a assume un valore di destinazione verso luogo); in coordinazione con da può anche indicare un termine spaziale a cui giungere: «a cento miglia da qui» [Serianni].
  • Di fine: «andare a lavoro», «ordino una pizza a domicilio», «A che destino ignoto si soffre?» [Gozzano]; contiguo a questo valore è l’uso della a con aggettivi come pronto, disposto, ecc.: «un uomo disposto a tutto» [Serianni], «Fui pronto a tutte le partenze» [Ungaretti]; ha valore predicativo in frasi come «prendere a modello», ma spesso, dice il Serianni, con una sfumatura di finalità e destinazione.

Un altro gruppo di relazioni indica, invece, condizione di stasi, di stato in luogo, di tempo determinato, e via dicendo. Vediamole:

  • Di stato in luogo: «A Torino, la città più industriale d’Italia, si forma un piccolo gruppo neo-futurista» [Argan]; per indicare l’esposizione a fattori atmosferici «stare al sole», «al gelo», ecc.
  • Di età determinata: «Giovanna a sei anni già leggeva», «ella a venticinque anni, io a ventotto, eravamo ancora due fanciulli» [Tarchetti].
  • Di tempo determinato: «si mangia all’una», «a mezzanotte entrai fra le altre carrozze in quel cortile» [Pavese], per indicare un’ora precisa; «a quelle parole, prima Maruzza, e poi tutti gli altri tornarono a piangere di nuovo» [Verga] – in questo caso si parla di «valore di temporale-causale» (quando le udirono, quelle parole, ma anche a causa di esse iniziarono a piangere).

Oltre a questi due gruppi si possono sottolineare anche altre relazioni semantiche:

  • Di modo e maniera: «parlare a bassa voce», «procedere a gran velocità» [Serianni].
  • Di strumento o strumentale: «motore a benzina», «cucina a metano», «barca a vela» – il secondo nome determina sempre la forma o la materia di propulsione, funzionamento, ecc.; vale anche per i giochi: «giocare a carte», «a dama», «a stacchi», ecc.
  • Per designare una caratteristica o qualità particolare: «un processore ad alta velocità», «un coltello a serramanico», «una sega a nastro», «una pentola a vapore», e via dicendo.
  • Con valore distributivo: «a uno a uno», «a mucchi», «a decine nel corridoio», ecc.
  • Di limitazione: «a mio parere», «a mio avviso», per attenuare la perentorietà di un giudizio; «a soldi siamo messi maluccio» [Serianni], come uso colloquiale; «bravo a parole», con connotazione peggiorativa; «E s’anco pari alcuna / ti fosse al volto, agli atti, alla favella, / saria, così conforme, assai men bella» [Leopardi], per indicare una qualità fisica o morale ma di uso molto letterario.
  • Di prezzo e misura: «vendere a mille lire il chilo» [Serianni].

«L’uso di a per introdurre il complemento di qualità è molto diffuso nella lingua antica e letteraria, là dove oggi figurerebbe da».[3]

Ad esempio: «l’alta torre alla cima rovente» [Dante], «si distinguono ai ciuffi arruffati, ai cenci sfarzosi o anche a un certo non so che nel portamento e nel gesto» [Manzoni], «questi americani del 1929 si riconoscono tutti all’aria delusa di cani frustati, e ai denti d’oro» [Levi].

A, come anche molte altre preposizioni proprie, nell’incontro con un articolo può articolare. Le forme articolate sono: al, allo, alla, ai, agli, alle.

Conclusioni

Avrei voluto proporvi un articolo riepilogativo di tutte le preposizioni proprie, ma ogni volta c’era qualcosa da aggiungere (e in questo il Serianni non lesina) che pareva male lasciare nell’oblio. Alla fine quindi ho deciso di presentarvi otto diversi articoli, uno per ogni preposizione. La prossima volta, quindi, parleremo della preposizione da.

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Note

[1] Emilio De Felice, La preposizione italiana «a», 1958

[2] Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET 2006

[3] Cit. Serianni

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6 Comments on “Le preposizioni proprie: A”

    • Ma è la precisione di chi compila un’articolo con tutta calma, verificando le fonti e citando gli autori. Altro discorso sarebbe mettermi davvero a parlare di grammatica, magari pure in pubblico. Sono solo un appassionato… 🙂

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  2. Quante funzioni in una piccola lettera ‘a’ sarà perché è la prima dell’alfabeto? La lista delle preposizioni la sapevo a memoria e la ripetevo come una filastrocca, ho scoperto che la ricordo ancora, ha risvegliato in me ricordi di quando ero bambina…

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