Scrivi ciò che ti piace leggere


Thomas Mann

…quando la scrittura è catartica

Scrivere romanzi è come andare al ristorante: alcuni dopo aver ordinato hanno sempre la sensazione di aver scelto le portate sbagliate; altri, invece, semplicemente si limitano a scegliere ciò che gli piace senza porsi il problema. Al ristorante io rientro nella seconda tipologia e, diversamente dalla mia compagna, non ho mai la sensazione di aver fatto pessime scelte. Nella scrittura di romanzi, ma non di racconti, invece non è così. Forse è per questo che ho abbandonato la stesura di ben sette (otto…) manoscritti, quasi sempre a metà dell’opera?

Scrivere per se stessi

Non credevo di poter mai davvero comprendere il significato di questo comandamento, non prima almeno di aver letto La morte a Venezia. La lettura è uno strumento indispensabile a uno scrittore, ma non per copiare le storie, gli stili o i trucchi degli altri autori, quanto invece per capire cosa sia la scrittura per loro.

Si nota quando uno scrittore scrive ciò che gli piacerebbe leggere. In un certo senso, anche se l’argomento non ti interessa, li rispetti di più e li leggi fino in fondo. Scrivere per se stessi significa scegliere le storie in base ai propri gusti, sondando ciò che si ha dentro, piuttosto che attraverso scelte mirate di marketing.

Nell’industria il marketing è tutto e se un prodotto non supera determinati prerequisiti di interesse di pubblico, per quanto geniale o utile, non verrà mai prodotto. Nella letteratura funziona esattamente all’opposto: dimentichiamoci dello scrittore, delle case editrici, del mercato, del fatto che il libro sia un prodotto, e concentriamoci solo sulla storia che vorremmo davvero raccontare. Se non verrà mai letta da nessuno sarà davvero stato tempo sprecato? Io credo di no.

Sette manoscritti per un autore

Nonostante ritenga tuttora che le storie contenute nei sette manoscritti fossero geniali e apprezzabili da un vasto mercato di lettori, non le avevo scelte in base ai gusti personali, ma deviato dalle mie conoscenze di vendita. Scrivevo per i motivi sbagliati, forse. Scrivevo per essere letto, per avere successo e, se li avessi compiuti, chissà? Ma scrivere è mestiere duro, come recitare. Si recita a comando, ma riesce bene solo se si sente una certa affinità con il personaggio.

Il romanzo su cui mi sto concentrando adesso, nasce da premesse del tutto diverse. Era più un gioco, inizialmente pensato come racconto lungo più che come romanzo vero e proprio, e non avevo su di esso alcun tipo di aspettative. L’ho pensato e progettato così come piaceva a me, senza preoccuparmi di chi dovesse poi leggerlo. Per questo la scelta di ambientarlo, ad esempio, negli Stati Uniti, nonostante sia altamente sconsigliato da tutti i guru del caso. «Che fai, ambienti un’altra storia in America? Non ne siamo già pieni? Lascia perdere, ragazzo mio, ambientala dove sei nato piuttosto, almeno conosci il posto».

Invece è in America che l’ho ambientata e questo perché per me quella storia deve stare lì. Verrò criticato? Non importa, si viene criticati per un sacco di cose, a volte anche se si fanno le scelte considerate “giuste”. Con questo romanzo, nato per gioco, ho intenzione di seguire semplicemente i miei gusti, lasciando perdere i vari diktat sull’argomento scrittura. Voglio scrivere una storia che alla fine soddisfi me, non i lettori, i critici o i vari blogger improvvisati. Voglio scrivere una storia che piaccia a me, a me soltanto. E questo è un problema…

Nascosto agli altri

Uno dei motivi per cui si sceglie di narrare una storia diversa da quella che si vorrebbe leggere è la paura di scoprirsi. In La morte a Venezia, Thomas Mann svela senza alcun dubbio il suo lato omosessuale e questo nonostante avesse una moglie e sei figli. La morte a Venezia è stato scritto nel 1912, un’epoca in cui l’omosessualità era discriminatoria più di oggi. Si è forse fatto dei problemi per questo? Sì, forse sì, ma lo ha scritto lo stesso. Lo ha scritto come piaceva a lui. Eppure sarebbe bastato far invaghire il protagonista di una ragazzina – come in Lolita – anziché di un ragazzino, e il romanzo sarebbe stato identico. L’autore avrebbe potuto continuare a celare la propria natura e il romanzo non sarebbe cambiato di una virgola. Ma sarebbe riuscito a scriverlo? Avrebbe avuto la stessa resa emozionale?

Lo ammetto, anch’io ho un po’ paura a svelare troppo di me attraverso i miei scritti e non sto parlando di dati biografici, quelli li dispenso senza pormi problemi, quanto invece di ciò che alberga nel mio intimo. Ho forse qualcosa da nascondere? Non saprei. Diversamente da Thomas Mann, non ho tendenze omosessuali. Ma forse le mie paure sono anche frutto di incomprensione, incomprensione verso se stessi. Ad esempio, siete sicuri di conoscervi davvero? Forse avete mentito a voi stessi fino a oggi.

Scrivere significa fare i conti con se stessi svelandone il risultato ai lettori e questo fa paura. Paura di cosa?

Il lettore come giudice

E se mi giudicassero? La paura d’essere guardati con sussiego credo sia la peggiore della nostra epoca, perfino più della morte. Non si spiegherebbero altrimenti i suicidi di tante ragazzine dopo che le loro pose nude sono finite in rete. Ognuno di noi ha scheletri nell’armadio. Le persone comuni possono scegliere di vivere ignorandoli, non uno scrittore però. Uno scrittore deve mettersi i gioco e tirare fuori tutto. Avete fatto caso che la maggior parte dei grandi autori sono degli alcolizzati?

Tuttavia io non ho giudicato male Thomas Mann per questo. Anzi, lo stimo e se non fosse stato così onesto non avrei mai finito di leggere il suo romanzo, scritto in uno stile troppo distante dai gusti moderni. La morte a Venezia, scritto nel 1912, epoca in cui l’omosessualità era un reato, è considerata una delle opere più riuscite del suo autore. Questo, nella stessa epoca in cui è stato scritto. Davvero il lettore è un giudice? Forse il giudice più severo siamo noi stessi.

Riprenderò questo argomento in un’altro post, quando l’avrò compreso un po’ meglio. Nel frattempo, ditemi: voi ne avete di scheletri nell’armadio? Avete paura di tirarli fuori, o scegliete dal menù semplicemente quello che vi va davvero?

16 Comments on “Scrivi ciò che ti piace leggere”

  1. Il principio “scrivi ciò che ti piacerebbe leggere” è quello che mi ha fregata, in quanto a me piace leggere le storie complicate con tanti personaggi ed evoluzioni psicologiche profonde, le storie che mostrano un richiamo anche socio-culturale… quindi mi sono data la zappa sui piedi da sola, mettendomi in un progetto davvero difficile ma che – per fortuna mia – sta andando avanti.
    è vero che spesso si ha paura di scoprirsi. Quando ho iniziato a scrivere il romanzo (e forse ancora adesso) avevo inserito nella storia un sacco di elementi superflui, che non mi facevano vibrare il cuore. Poi un amico mi ha domandato “ma cosa ti interessa davvero raccontare?” e lì ho individuato il fulcro della mia trama, che di conseguenza ha portato ad un titolo ed una suddivisione in quattro parti. Non che questo mi abbia semplificato la vita, anzi …proprio ieri dicevo a Beppe “ma non verrà un romanzo troppo lungo?” e lui, prontamente: al massimo ci fai una trilogia… andiamo bene 😀
    In ogni caso ho imparato a lasciar perdere tutti quegli elementi “paraculo” che servono solo ad accattivarsi il lettore, perché se non mi coinvolgono viene a mancare la passione, e la storia procede lenta e piatta.

    P.S. Com’è “il cardellino”? Vorrei leggerlo ma sono ancora un po’ indecisa.

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    • Al momento l’ho lasciato da parte. Ho troppa roba arretrata da leggere. Ad esempio sto cercando di finire 1Q84. Poi ho un breve saggio, a cui sono già arrivato più o meno a metà. Insomma, Il cardellino dovrà aspettare l’anno nuovo… 😉

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  2. Non credo sia una buona cosa dimenticarci di tutto quello che dici. Ok che non è tempo buttato, perché in fondo sempre esercizio di scrittura hai fatto.

    Ma se hai l’obiettivo di pubblicare e vendere, allora non puoi non considerare certi aspetti.

    Se la tua storia deve stare in America, allora va bene. Ma è sbagliato farlo solo per comodità e moda.

    Ho letto La morte a Venezia e non m’è piaciuto. L’ho trovato noioso.

    Come disse qualcuno, comunque, le idee dei personaggi non rispecchiano necessariamente quelle dell’autore. Quindi non possiamo sapere se ciò che leggiamo sia davvero ciò che pensa l’autore.

    Come hai capito, a me non piace svelare troppo di me. Ho un’alta considerazione della vita privata e ne sono molto geloso. Il lettore, se mai pubblicherò qualcosa, dovrà accontentarsi di quello che voglio svelare. Altrimenti può leggere altri autori.

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    • Sulle tendenze omosessuali di Thomas Mann, se è a questo che ti riferisci, c’è tutta una letteratura che ne parla. Letteratura che mi sono andato a leggere dopo aver finito il romanzo proprio per capire meglio la questione.
      Il romanzo in sé non è piaciuto neanche a me, ma credo sia scontato, ha uno stile davvero troppo datato rispetto ai nostri gusti. Inoltre, com’era d’uso un tempo, pone più l’accento sui sentimenti e le sensazioni che non sulle azioni che le generano. Noi oggi siamo abituati a narrare fatti, grazie anche alla narrativa americana, in Europa però, a quei tempi, non era così e questo vale anche nel cinema.
      Secondo me, quando si scrive la prima bozza, bisogna dimenticarsi di tutto il resto invece. Si scrive per se stessi e quello che esclusivamente piace. Poi in revisione, come dice il King, si aprono le porte e si riscrive per far leggere la storia al lettore.
      Ho riflettuto parecchio sull’ambientazione del mio romanzo. Ad esempio mi sono domandato se era possibile ambientare la stessa storia qui, in Italia; se ambientarla in Italia avrebbe o meno cambiato la storia. La risposta è: sì, può essere ambientato in Italia senza che la storia in sé ne risulti eccessivamente difettata. Allora mi sono domandato: ok, se l’ambientassi in Italia mi andrebbe ancora di scriverla? La risposta è stata: no. Per me l’ambientazione giusta è negli States. Non è un fatto di moda, non ho mai ambientato nulla negli USA. Però è un fatto di gusti, questo sì. Secondo i miei gusti, quella storia deve stare là, e visto che la storia la scrivo io… 😉

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  3. La scelta che faccio al ristorante, sicura o dubbiosa, la faccio da cliente. Scelgo la storia da leggere e mangiare con gli occhi. Una volta letta ne conoscerò il sapore e potrò dire se mi ha soddisfatto.
    Ma leggere sta a scrivere come mangiare sta a cucinare.
    Scrivere ciò che ci piacerebbe leggere è un auspicio, purtroppo non è detto che ne siamo in grado. Forse dobbiamo “solo” cercare di essere soddisfatti di quel che scriviamo, dobbiamo mettere in conto che anche se sappiamo scrivere bene non è detto che riusciremo a raggiungere le vette della nostra soddisfazione personale, pur avendo successo con quel che ci viene bene.
    Quanto a svuotare gli armadi… Non so. Credo che scrivere di ciò in cui crediamo ci dia una spinta in più, si tratta in fondo di esprimere il nostro essere. Che poi questo debba coincidere necessariamente con una confessione, no, questo non lo credo. Ho scheletri nel mio armadio di cui mi vergogno profondamente e credo che non ci sarà modo di farmeli togliere da lì

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    • Certo, il risultato è indipendente dalle intenzioni. Ci si può solo provare. Tuttavia ci sono scrittori che scelgono le storie in base ai gusti del proprio pubblico. Io non voglio fare questo. Quello che voglio fare è raccontare storie che piacciano a me. Potrebbero non piacere a nessun’altro, ma se invece così non fosse, il lettore non potrebbe che beneficiare di una spinta in più, come dici giustamente tu.
      La domanda è: i tuoi scheletri influenzano la tua scrittura? Indipendentemente dalla volontà di volerli tirare fuori.

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      • La domanda posta in questi termini mi piace di più. Per quel che ho scritto no, ma non lo escludo a priori. Ma se lo scrittore è bravo come dice Daniele sarà difficile che ci si accorga che il suo è un punto di vista personale, ma non è quello il punto, giusto? Non siamo pettegoli da gossip. Quindi resta il mio pensiero precedente: se questo dà al lettore un senso di veridicità e crea empatia allora ben venga.

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  4. Bel post.

    Quando iniziai a scrivere lo feci con questo pensiero, vorrei scrivere una storia che mi piacerebbe leggere.
    Certo i primi racconti e romanzi furono disseminati di catastrofi, sfighe e morti, “pesanti e depressive” furono i migliori commenti ricevuti, ma fa parte di me, perciò bisogna evolversi e trarre il giusto insegnamento dal passato.
    Secondo me, poi è sbagliatissimo creare una storia basandosi sul mercato, su ciò che vende di più, altrimenti si rischia un flop colossale.

    Noi siamo i primi lettori di noi stessi.

    Troppo romantica? Forse.
    Troppo ingenua? Probabile

    Mai tapparsi le ali, o spendere il nostro prezioso tempo in storie che non ci piacciono, scritte con motivazioni sbagliate.

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  5. Sono allo stesso tempo terrorizzata e costretta a scoprirmi quando scrivo. Lo ammetto, ho un lato molto vanitoso e non piacere mette in crisi l’identità in cui mi sono sempre identificata – eppure se tento di nascondermi durante la scrittura produco testi opachi, insipidi, di cui sono la prima insoddisfatta. Secondo me leggere i libri di un autore non vuol dire conoscerlo davvero come persona, come molti invece credono, ma solo avere un’idea del suo mondo interiore. Sono un po’ spaventata da quello che scrivo tenendo presente il mio mondo interiore: i risultati sono sempre migliori, ma a volte ho difficoltà ad accettare quello che scrivo, perchè non sempre sono in pace con quello che ho dentro.

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    • Credo sia proprio questa la grande difficoltà della scrittura, eppure non si può evitare di scoprirsi almeno un po’. Come ben dici, se non ci mettiamo in gioco quello che scriviamo risulta opaco. Mostrarsi non è una scelta facile da fare.

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  6. Mi è piaciuto molto questo post, al punto da farmi venir voglia di leggere “Morte a Venezia”, che mi ha sempre fatto un po’ paura…
    Io sono dell’idea che valga la pena di scrivere solo ciò che vorremmo leggere e storie di cui siamo follemente innamorati. L’idea di pubblicare deve seguire e non precedere quella di scrivere. Del tipo “mi piace così tanto questa storia che la scrivo e poi voglio che in tanti la leggano, quindi va pubblicata!” Non “voglio fare lo scrittore, quindi scrivo qualcosa che potrebbe essere pubblicato” (che atteggiamento triste!).
    Poi poni la questione dello svelamento di sé: questa è davvero spinosa.
    Anch’io, come Daniele, tendo a raccontare poco di me, o, almeno, a mettere un sacco di filtri. Tanto che, se sono una donna trentenne felicemente sposata, prediligo protagonisti maschili celibi. Ho paura nel maneggiare protagonisti femminili (in storie lunghe) proprio perché non voglio raccontare me o creare l’associazione me=la protagonista. Sto cercando di lavorare su questo (adesso ho per le mani un personaggio femminile che mi piace), ma è ancora un problema aperto…

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    • Grazie Tenar. 🙂
      Come dicevo, non è facile svelarsi. Non solo attraverso la scelta dei personaggi, ma anche attraverso la scelta della storia. Svela molto, la storia, di noi.
      Secondo me è sbagliato scrivere pensando alla pubblicazione, almeno di primo acchito.

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