Accenti

Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

La volta scorsa abbiamo visto la divisione sillabica. Oggi parleremo di uno degli argomenti più spinosi per gli aspiranti scrittori: gli accenti.

L’accento parlato

Avete mai ascoltato un cinese parlare? Di tanto in tanto ci sono dei picchi musicali… Quello è il loro accento. Infatti, in lingue diverse dall’italiano, come ad esempio il cinese, ma anche il greco antico e il latino arcaico, le sillabe si differenziano tra loro per la diversa altezza melodica. In italiano l’accento melodico non ha rilevanza fonologica.

«Col termine di accento espiatorio (o dinamico) si indica il rilievo assunto nella catena parlata da una sillaba rispetto alle altre, attraverso un generale accrescimento della forza espiatoria, peraltro non ancora chiarito nei suoi precisi meccanismi fisiologici.» [Bertinetto].

In italiano l’accento si può trovare: sull’ultima sillaba (tronche: è, partirà); sulla penultima (piane, la maggior parte delle parole italiane ricade in questa categoria: andare); sulla terzultima (sdrucciole: mettere); sulla quartultima (bisdrucciole: considerano), sulla quintultima (trisdrucciole: comunicamelo); sulla sestultima (quadrisdrucciole: fabbrichiamocelo).

Trisdrucciole e quadrisdrucciole sono possibili solo con voci verbali che includano enclitiche; cioè con parole, come i monosillabi, che non possiedono accento e si appoggiano su quella che la precede. Le bisdrucciole, oltre che con le enclitiche, sono per la maggior parte presenti nella 6° persona dell’indicativo e del congiuntivo di verbi aventi l’infinito di almeno quattro sillabe: meritano, telegrafano, precipitino.

L’accento ha sede fissa in lingue come: il ceco, lo slovacco, l’ungherese, il finnico, dove cade sempre sulla prima sillaba; nel polacco, dove cade sempre sulla penultima; nel francese, dove cade sempre sull’ultima. Ha una sede preferenziale su lingue come: l’inglese, il tedesco, l’olandese e la maggior parte delle lingue germaniche, dove cade di preferenza sulla prima sillaba; nell’ebraico e nel persiano, dove cade di preferenza sull’ultima sillaba. In italiano, invece, ma anche nello spagnolo, l’albanese, l’arabo, il greco, il russo e molte altre lingue nel mondo, l’accento cade su sillabe diverse.

In molti casi, infatti, è la posizione dell’accento a distinguere due omografi, cioè due parole graficamente identiche ma con significato diverso:

«io non àltero i fatti»

«di animo altèro»

«nell’àmbito del giornalismo»

«un risultato ambìto»

«il cómpito di italiano»

«un ragazzo compìto»

«che cosa desìderi

«i tuoi desidèri sono ordini»

«il nèttare delle api»

«nettàre l’insalata»

«pàgano bene?»

«il mondo pagàno»

«i prìncipi del Piemonte»

«i princìpi morali»

«vengo sùbito»

«ho subìto un’ingiustizia»

Si può andare avanti ancora a lungo, ma ci fermiamo qua.

Come prevedere la posizione dell’accento?

In italiano, lo sappiano, l’accento è libero. Per di più, in forma scritta, viene indicato solo raramente (vedremo più avanti in quali casi). Quindi come si può, leggendolo, capire dove dovrebbe cadere? Alcune norme pratiche, in base ad esempio al suffisso o alla terminazione della parola, ci sono. Vediamole:

  1. Sono piani i bisillabi uscenti in vocale senza accento grafico: cane, menta, ecc.
  2. Sono piani i vocaboli di tre o più sillabe in cui la vocale della penultima sillaba è seguita da due o più consonanti la seconda delle quali non è né lr: bellezza, recente, coperta, inchiostro, ecc.
  3. Sono sdruccioli i sostantivi in –agine, –aggine, –igine, –iggine (indagine, propaggine, origine, lentiggine) e in –edine, –udine (salsedine, latitudine).
  4. Sono sdruccioli gli aggettivi e i sostantivi in –abile (accettabile), –evole (pregevole), –ibile (possibile), –aceo (erbaceo), –ico (automatico), –ognolo (verdognolo), –oide (alcaloide).
  5. Sono sdruccioli i composti dotti con secondo elemento greco in: –cefalo (microcefalo), –crate (autocrate), –crono (sincrono), –dromo (ippodromo), –fago (sarcofago), –filo (zoofilo), –fobo (xenofobo), –fono (telefono), –gamo (poligamo), –geno (elettrogeno), –gono (poligono), –grafo (dattilografo), –logo (archeologo), –mane (melomane), –metro (termometro), –nomo (economo), –sofo (filosofo), –stato (aerostato), –tesi (ipotesi), –ttero (chirottero).
  6. Sono sdruccioli i composti con secondo elemento latino in: –fero (mammifero), –fugo (callifugo), –pede (bipede), –sono (unisono), –viro (triumviro), –voro (carnivoro).

L’accento grafico

L’ortografia italiana prevede l’obbligo di segnare l’accento in un numero limitato di casi. Ad esempio, sui polisillabi tronchi come quaggiù, sentirà, ecc., anche quando composti da monosillabi che normalmente lo rifiuterebbero. L’esempio tipico è ventitré, composto da tre che non richiede l’accento.

È assolutamente obbligatorio in quei monosillabi che rischierebbero di confondersi con omografi:

ché, di perché che, in tutti gli altri usi
, di dare («mi dà noia») da, preposizione («vengo da te»)
è, verbo e, congiunzione
, avverbio («resta là») la, articolo («la casa»)
, avverbio («vengo lì») li, pronome («belli i gatti, li amo»)
, congiunzione («non mangio né carne, né pesce») ne, pronome («di carne ne mangio poca»)
, pronome tonico («lo porta sempre con sé») se, pronome atono («se ne vanta») o congiunzione («se ti va, ci andremo»)
, avverbio («lo voglio, sì») si, pronome («come si dice?»)
, bevanda te, pronome («se fossi in te, lo denuncerei»)

È antiquato, ma l’accento si segna anche sul monosillabo nelle due accezioni di fede e fece. Nell’editoria moderna, segnala il Serianni, si tende in questo caso a ricorrere all’apostrofo: fe’. Alcuni solo nel caso del verbo, altri in entrambi i casi.

È superfluo indicare l’accento sull’avverbio , per distinguerlo dalla preposizione, poiché il contesto risolve ogni dubbio; e su , per distinguerlo dalla nota musicale, visto che la confusione fra i due sarebbe piuttosto improbabile.

«Senza reale utilità la regola di non accentare quando seguito da stesso o medesimo, giacché non potrebbe venire confuso con la congiunzione, poiché è preferibile non introdurre inutili eccezioni e scrivere sé stesso, sé medesimo, come si scriverebbe il isolato. Tuttavia, va osservato che la grafia se stesso è attualmente preponderante» [Serianni]. Al riguardo, io preferisco fare economia su un accento inutile e scrivere: se stesso.

L’accento grafico è obbligatorio sui monosillabi con due grafemi vocalici, come: chiù, ciò, già, giù, più, può, scià e sugli arcaici diè (diede) e piè (piede), anch’essi, come , scritti spesso con l’apostrofo.

All’interno della parola l’accento è facoltativo e «da usare con discrezione» [Serianni]. Può servire a distinguere gli omografi (dài verbo, dai preposizione articolata; dànno verbo, danno sostantivo; ecc.). In genere si impiega per precisare una pronuncia dubbia o alterata rispetto al linguaggio comune, come in poesia: «profondo nel verzier sospira il cùculo» [Carducci, Canto di marzo].

Per quanto riguarda la forma dell’accento grafico, cioè acuto «ˊ» (dal basso verso l’alto, da sinistra a destra) o grave «ˋ» (dall’alto verso il basso, da destra a sinistra), lo schema più raccomandabile è quello di Camilli-Fiorelli 1965, ossia: sempre grave nei casi in cui non si può distinguere tra diversi gradi di apertura (à, ì, ù) e acuto o grave a seconda che si vogliano indicare /e/, /o/ oppure /ɛ/, /ɔ/: perché, caffè, córso, portò. Da notare che ó è possibile solo all’interno di parola, perché le ò accentate finali sono sempre aperte.

Un altro sistema accentuativo oggi in uso prevede l’accento acuto per tutte le vocali chiuse (í, é, ú, ó) e il grave per tutte le aperte (à, è, ò).

Infine, d’impiego limitato e facoltativo l’accento circonflesso «ˆ», che preferisco non approfondire per non confondere le idee. Diciamo che non sbagliereste a non mettere accento lì dove si potrebbe inserire questo semi-grafemo.

Curiosità

Una sillaba priva di accento è detta atona. Una sillaba dotata di accento, che sia in fine o in mezzo di parola, è detta tonica. Atono e tonico significano quindi, rispettivamente: debole e energico. Va da sé che un accento, sia grafico, sia verbale, è sempre tonico.

Conclusioni

Che siano sdrucciole o tronche, l’accento è sempre un argomento scivoloso. Può essere acuto o grave; grafico o verbale; circonflesso o piano… quello che è certo è che bisogna saperlo usare. Poiché questi mini-ripassi sono solo dei riassunti, si consiglia sempre la consultazione di una buona grammatica per approfondire l’argomento.

Nel prossimo mini-ripasso parleremo di Maiuscole: come e quando è opportuno, obbligatorio o sconsigliato usarle?

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Note:

Il testo di riferimento è: Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET universitaria, 2006.

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15 Comments on “L’accento”

  1. Quando scrivevo a mano, non mi preoccupavo degli accenti acuti o gravi e i vari “perché”, “sé” oppure “là”, “dà” presentavano segnetti a caso; da quando ho cominciato a scrivere al computer, mi sono dovuta allenare a segnare gli accenti giusti, anche perché quelli errati sono opportunamente individuati. Continuo solo a mantenere una difficoltà: il nome del tipo di accento; lo ammetto, non ricordo mai se in quel dato caso si chiama grave o acuto. È grave? 😉

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  2. Con gli accenti ho spesso delle perplessità e non sempre il mio vecchio libro di grammatica è immediato da consultare! Quindi nonostante il tuo sia un riassunto ne farò tesoro…
    Adesso posso risolvere in velocità tutti i dubbi, grazie maestro 😉

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    • Nel contesto in cui è inserito, significa: che non è vincolato a un’unica sede sillabica, ma si sposta di posizione. Gli spostamenti naturalmente hanno delle ragioni e non sono casuali.

      Anch’io lo trovo fastidioso in mezzo a una parola, oltre che antiquato. Tanto la caduta dell’accento lo riconosci dal contesto, non serve secondo me indicarlo. Infatti in italiano non è previsto: cioè, non è obbligatorio.

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