Salone Internazionale del Libro 2017: il ruggito della Mole

Fahrenheit

Scatto sì, ma d’orgoglio

È capitato a tutti almeno una volta nella vita di prendere una decisione d’impulso, istintiva, viscerale, magari con fare un po’ sborone, quasi smargiasso, pensando d’essere dalla parte della ragione, per poi vedere le sorti ribaltate rispetto a come ce l’eravamo immaginate. È questo che deve aver pensato Federico Motta la mattina del 18 maggio 2017, quando le code davanti ai botteghini del Lingotto Fiere in occasione del Salone Internazionale del Libro di Torino (di Torino!), diventavano prima una serpaia disordinata, poi una fiumana indistinta, quindi un’oceano sterminato di voci, volti, colori.

Poco prima delle dieci, ora di avvio delle danze, le persone in attesa davanti all’entrata erano così tante che per attraversare le file bisognava armarsi di un paio di scagnozzi apripista come quel Makao che guarda le spalle del “povero” Macron. E non erano mica tutti studenti delle elementari o delle medie; anzi, rispetto all’anno scorso il loro numero mi è parso addirittura sfoltito. Per farmi accreditare il pass al botteghino della stampa ho dovuto fare una fila di un’ora, quando nel 2016 invece erano bastati pochi istanti. Di cosa si è trattato? Perché tanta gente è affluita dai luoghi più improbabili della penisola al piazzale mezzanino del Lingotto? Cosa c’era quest’anno di diverso?

Una cosa, una sopra tutte: il ruggito della Mole! Lo scatto d’orgoglio fu fatale ai detrattori della manifestazione torinese. Mai come quest’anno mi sono sentito fiero di fare parte di una comunità di lettori/scrittori/editori che credono in un valore ancora fondante: l’onestà. Onestà non significa che una fiera non possa cambiare sede, ci mancherebbe. Si può discutere anche di come mal gestiti siano stati gli ultimi anni del Salone. Una soluzione andava trovata. Semmai è il modo in cui si fanno le cose a fare la differenza; e il modo del presidente dell’AIE non dev’essere piaciuto proprio a nessuno. Una domanda s’impone sopra le altre: ne valeva la pena?

«[…] questa folla mi ripaga di tutta la stanchezza» ha dichiarato Nicola Lagioia, direttore della manifestazione libraria di quest’anno.

Allora sì, possiamo dire che ne è valsa la pena. Perché anche se a Milano le cose non sono andate benissimo da un punto di vista dell’affluenza, a Torino il pungolo della Mondazzoli, come è stata chiamata, e della Associazione Italiana Editori ha fatto invece un gran bene. Se ne sentiva il bisogno, in effetti. È tuttavia un peccato che l’italianità ci spinga sempre a reagire, a mostrare ciò che sappiamo fare solo nei momenti di crisi. Questa è forse una caratteristica, magari anche positiva per certi versi, di cui non riusciremo mai a liberarci. Allora tanto vale sfruttarla. E Nicola Lagioia l’ha indubbiamente fatto.

In pochi avrebbero voluto essere al suo posto quest’anno, prima che i numeri ribaltassero le aspettative e ridessero fiato ai polmoni. Adesso, chi si è tirato indietro, starà sicuramente (rosicando) pensando che in fondo non ci voleva poi molto a fare le cose bene; che dopo quello che era successo, le polemiche, le indagini, ecc., l’afflusso ininterrotto e roboante di gente era scontato. Ma voi, cari follower, che per fortuna siete dotati di un’intelligenza ben superiore alla media, sapete meglio di me che le cose non stanno così. Il merito, quando qualcosa funziona (ma anche quando non funziona), non può essere attribuito a una sola persona; ma il coraggio di prendere in mano una manifestazione scottante come si presentava agli esordi quella del libro di Torino… be’, lì il merito va riconosciuto.

Al Salone quest’anno ci sono state molte cose positive e, com’è normale, qualcuna negativa. Tra le negative possiamo didascalicamente citare la scarsa organizzazione nel dare informazioni quando, in coda davanti alle casse, non si era sicuri di dove andare. Nessuno in maglietta arancione da fermare nel piazzale. Cartelli giganteschi che dicevano tutto ma sembrava non dicessero niente. Ciò mi è parso il sintomo che in pochi si aspettavano una reazione tanto corale. Tuttavia superate le prime incertezze, e a dir la verità senza attendere nemmeno troppo, le cose sono scivolate lisce. Tanti stand; tanti editori; tanti appuntamenti; tanti libri; tanta gente. Questi li potete inserire, a vostra scelta, tra le cose positive o negative: dipende dai vostri gusti. Io, ad esempio, preferisco un giovedì semi-deserto, come è sempre stato, così da girare gli stand con calma. Mentre questa volta, al primo giorno di fiera, da alcuni editori non sono nemmeno riuscito a entrare: tanta era la calca.

Ho fatto incontri interessanti, con autori ed editori: tutti mi sono sembrati molto disponibili ed entusiasti. C’è stata tanta innovazione, tanta voglia di dimostrare qualcosa, tanta creatività; da parte di tutti. Un editore, Exòrma, si è perfino inventato un cartello per cercare nuovi autori (la foto, assieme alle altre, è al fondo dell’articolo) che recitava: «A noi piacciono soprattutto quegli autori che si sono assunti la responsabilità di scrivere “il libro sbagliato” e la letteratura “inutile”, che decidano di non sottostare al vincolo della “storia” a tutti i costi e di scrollarsi di dosso la preoccupazione del “come va a finire”: questa collana vuole rintracciarli e ospitarli. Ai coltivatori di parole ci rivolgiamo, ai delinquenti (in senso etimologico), ai quali diamo alcuni possibili spunti, parziali, estensibili, forse sovrabbondanti e illimitati, strampalati, certamente provvisori. Avremmo bisogno quindi di… (pesca)», al cui lato campeggiava un boccione di vetro da pesce rosso gigantesco con dentro tanti bigliettini ripiegati. Io ho estratto: “Come faccio a sapere che quando chiudo gli occhi non divento un fiume?”.

E poi vorrei ancora ricordare, e approfittarne per salutarla, l’autrice Tamara Deroma che, con il suo ciclo (in senso letterario) L’alba dell’Apocalisse, ci tiene a precisare che tutti i suoi lettori sono unisex, visto che prima faceva il “programmatore” benché donna. In un mondo in cui le donne diventano sindaca o ministra, mi sembrava una cosa notevole da riportare; e quelli di Ellin Selae, il cui bimestrale è una rivista letteraria d’altri tempi ma con lo sguardo rivolto al futuro e una sorpresa artistica a ogni nuovo numero. E poi tanti, tanti altri che non posso elencare per esigenze di spazio; ma tantissimi.

Benché un’immensa biblioteca, con tanto di obelisco libresco piazzato al centro, abbia preso il posto degli stand vuoti di Mondadori, Rizzoli, Einaudi¹… la loro presenza a questa fiera ci è comunque mancata. La lettura, i libri, le manifestazioni dedicate alla cultura dovrebbero essere un momento di aggregazione, non di separazione. Abbiamo eretto un muro di libri tra Torino e Milano: a che pro? ha fatto il bene di qualcuno? Sì, forse di Torino e degli organizzatori del Salone che finalmente si sono dati una svegliata, ma in fondo no: ha fatto male. Perché marchi così importanti non possono mancare a una fiera tanto prestigiosa quale quella di Torino. Sicuri del loro ripensamento, ci aspettiamo di rivederli il prossimo anno.

E spero di incontrare finalmente anche voi, cari follower, al Salone del 2018. Tutto il resto, numeri, incassi, vendite, biglietti… cifre, è solo speculazione.

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Note

La foto in alto è stata gentilmente rubata a La Stampa

¹ Quelli di Einaudi avevano un banco vendita, frutto di una lunga, estenuante trattativa con la dirigenza Mondadori, così piccolo – dicono – che personalmente nemmeno li ho notati.

94 Comments on “Salone Internazionale del Libro 2017: il ruggito della Mole”

  1. Non sono mai stata al Salone di Torino, mi piacerebbe tanto, magari l’anno prossimo potrei venire. Nel caso ci diamo un appuntamento io, te, Grilloz e tutti i lettori del tuo blog!

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  2. L’anno prossimo farò di tutto per esserci. E poi chissà, non scarterei nemmeno l’idea d’andare al salone come espositore. Se l’anno prossimo mantenessero i prezzi bassi come quest’anno, 8 metri quadri a mille euro tutto incluso (cioè compreso lo stand), potrebbe essere appetibile per creare una presenza di scrittori indipendenti. Io con altri due o tre autori potremmo tranquillamente dividerci le spese senza andare in bancarotta. Ho parecchie idee in merito. Idee che a molti barbagiuffi conservatori dell’editoria non piaceranno. E se le idee innovative non piacciono, vuol dire che c’è parecchio da divertirsi. 😉

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  3. Sembrava un articolo cosi’ serio, poi e’ arrivato il “con il suo ciclo (in senso letterario)” e li’ mi hai steso! 😀
    Bel post, grazie per aver condiviso la tua esperienza (e fatto provare un po’ di bonaria invidia)… un giorno avro’ il piacere di visitare il Salone anch’io, e’ nella mia lista da anni!

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  4. Il Salone è piaciuto tanto anche a me, anche se sono entrata senza accredito e non mi si è filato nessuno di importante, o sono io che ne resto a distanza. Però ho trovato moltissimi stand davvero coreografici e attraenti, come alcuni editori di cui mi sono improvvisamente innamorata. Proprio bella l’aria che si respirava, grande Torino.

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  5. Mai stata al Salone (più volte tentato di organizzare) e sebbene avevo comodo quello di Milano, la voce grossa ha dato fastidio pure a me.
    E grazie di averci segnalato Tamara Deroma, un altro programmatore che scrive (no, non penso a me, ne conosco davvero altri che -davvero- scrivono), a discapito di chi dice che usare il lato logico del cervello occlude quello creativo….
    E sarà per il prossimo Salone? Lo dico ogni anno, accidenti!

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      • Avevo provato ad organizzarmi in treno…ma cavoli: solo Trenitalia (Italo non riesce ad avere tutta la linea Torino-Venezia), solo due treni diretti (senza cambio Milano) in giornata, per un totale di 6 ore di viaggio. MA con orari assurdi, alla fine sarei rimasta nel Salone tipo solo 3 ore!! Come portarmi a Gardaland e dirmi che ho un solo giro in giostra!! :/

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        • Il punto, però, secondo me non è fare la gita in giornata; farsi, tutta la settimana no, ma quasi. Soprattutto con gli eventi serali sparsi per la città. Per chi scrive o vuole farlo questo è un appuntamento da non mancare.

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  6. Io e mia moglie eravamo lì venerdì. Piaciuto tantissimo, mi sembrava di essere tornato alle prime edizioni. Anch’io ho avuto difficoltà all’ingresso, non capivo a quale fila accodarmi per il controllo bagagli. La mancanza delle big milanesi l’ho sentita un po’, più che altro avrebbero potuto portare qualche autore interessante da incontrare.
    È stato complicato accreditarsi come blogger/giornalista?

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    • Complicato no. E’ stato più complicato capire quale fila dovessero fare i giornalisti/blogger per il controllo bagagli. Una volta passato quell’ostacolo è stata una discesa. Però per l’accredito ho atteso un’ora, in coda assieme a Giampaolo Ormezzano e altri giornalisti quotati. Solo uno ha tentato di saltare la fila. 🙂

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  7. Non hai idea di quanto mi bruci e mi roda non essere riuscito ad andare al salone di Torino. Mi devo accontentare dei vostri racconti.

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      • Mal comune eh? 😀 Per te poi, ancora peggio, germania Italia… un vero casino. Io non riesco a staccare tra famiglia e lavoro. Non sono mai invidioso di nessuno, tendenzialmente me ne frego, ma non nego che leggendo dei molti amici veri e virtuali che ci sono andati… qualche sacramento l’ho tirato giù

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              • Beh che vuol dire, anche la Sicilia è terra straniera. Ci avete costretti voi Sabaudi a chiamarci italiani. Se l’identità italiana si vuol far risalire all’impero romano, noi a quei tempi eravamo una provincia dell’impero. Anzi, Cicerone dice che fummo la prima provincia ad essere istituita.
                Ancora fino a poco tempo fa, non era raro sentire dire da qualcuno che partiva per andare a Roma o a Milano: vado in Italia.
                Ma il discorso più clamoroso in tal senso lo fece il generale Roatta nel 1943. Fu mandato dal nord da Mussolini per difendere la battigia della Sicilia centimetro per centimetro dalla probabile invasione anglo-americana e lui fece stampare dei geniali cartelli in cui c’era scritto: “Noi italiani e Voi siciliani” impediremo l’occupazione straniera…
                Al che molti siciliani dissero: ah siamo ancora una provincia dell’impero. E allora da provinciali accogliamo festosi gli inglesi e gli americani e la battigia centimetro per centimetro se la difendono gli italiani con i tedeschi.

                Pertanto, anche se io non sono uno stupidotto revisionista dell’annessione, storicamente, ancora un po’ stranieri lo siamo. 😛

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                  • Non ne conoscevo l’esistenza neanch’io. Per fortuna a Catania c’è il Museo dello Sbarco in Sicilia, con reperti dell’epoca bellici e ricostruzioni storiche, veramente ben fatto.

                    E lì, è esposto anche il manifesto originale di questa eresia. Noi italiani e voi siciliani. 😀

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                    • Dai lo ammetto, sono isolazionista sono tre ore la mattina, poi per il resto non mi sento europeo, ma essere umano sul pianeta terra. 😉

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                    • Io a quell’ora una capitina su Trappist-1 la farei. La colpa è degli ingegneri aeronautici che ancora non hanno inventato il motore a curvatura. Nel 2050 mi toccherà farmi ibernare per almeno due secoli in attesa che riescano a realizzare questi benedetti viaggi interstellari. 😛

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                    • Ma quale motore a curvatura. Motore a improbabilità semmai e nel dubbio don’t panic and carry a towel 😉

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                • Su questo argomento, se la fortuna e la grazia divina mi assistono, entro due anni preparerò una bella sorpresa. Editori permettendo.

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                  • E io sono molto curioso sulla sorpresa. Proprio due anni due? Uno sconticino sull’attesa no?
                    Editori permettendo? Certo che permettono. E se non permettono l’Anfuso ti convertirà al self, vedrai. 😛

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                    • È faticoso documentarsi, un romanzo ad ambientazione storica con una prospettiva diversa rispetto a quello che a scuola ci hanno raccontato come risorgimento. Io dico guerra di occupazione. Premetto che non sono di parte non avendo nemmeno alla lontana discendenze del sud.

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                    • Mi stuzzica parecchio questo tuo interesse. Mi domando perché un ligure abbia la voglia e lo stimolo di scavare questa parte di storia. A poco a poco mi piacerà coglierne le motivazioni, quindi sappi che ti punzecchierò.
                      Per il resto io non sono per nulla reazionario. Basta conoscere la storia per comprendere come i Borboni erano uno dei peggiori regimi del tempo. E fra l’altro, i siciliani reazionari di oggi, non sanno nemmeno perché supportano l’idea borbonica. Semplicemente perché i Borboni avevano soggiogato il Regno di Sicilia e i siciliani erano in ribellione continua. Tanto è vero che Ferdinando II era soprannominato il re bomba. Aveva bombardato Messina per domare la ribellione e per cercare di placare i siciliani aveva dovuto concedere una costituzione apposita per la Sicilia. Oltre che a promettere che avrebbe spostato la corte a Palermo, promessa non mantenuta.
                      I siciliani di oggi che inneggiano i Borboni, fanno rivoltare nella tomba i siciliani che si ribellavano a quel regime spietato.
                      E in più, il tema che i neo-borbonici escono come scandalo, ovvero che il 60/70% dell’oro per il nuovo Regno D’Italia proveniva dal sud, e quindi siamo stati derubati, non considerano la realtà delle cose. Quell’oro non era mica del popolo. Era dei Borboni che per secoli avevano accumulato riserve auree. Non apparteneva al popolo. Il popolo versava in condizioni di estrema povertà. E i Borboni nemmeno si sognavano di investire quelle risorse per lo sviluppo.
                      Il Regno Sabaudo era fortemente indebitato perché Cavour aveva avviato enormi piani di sviluppo e investimento per il nord. Grazie a lui nasce una imprenditoria industriale che farà la fortuna del settentrione. Ferdinando l’unico investimento che aveva compiuto era stata la prima ferrovia al mondo. La Napoli Portici. Ovvero il collegamento fra la sua reggia in capitale e la casa di campagna.
                      Non siamo stati derubati di niente. Al massimo l’abbiamo sempre presa nel dietro da tutti.

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