Avverbi qualificativi
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Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori
Lo scorso lunedì abbiamo introdotto gli avverbi, dandone una definizione generale e distinguendoli in semplici, composti, derivati e locuzioni avverbiali. Oggi proviamo a classificarli sulla base del significato che introducono nella frase. Gli avverbi infatti sono dei modificatori di significato, sulla base di questo possono essere classificati in: avverbi qualificativi; avverbi di tempo; avverbi di luogo; avverbi di quantità; avverbi di giudizio, affermazione e negazione; avverbi interrogativi e esclamativi; avverbi presentativi. Cominciamo dal primo.
Avverbi qualificativi
Chiamati anche avverbi di modo, essi specificano le modalità in cui si compie un’azione. Adoperati con questa funzione sono in primo luogo alcuni avverbi in -mente: «fu umanissimamente ricevuto, e ne’ consigli domandati saviamente e amorevolmente consigliato» [Machiavelli], «Qualcuno si potrebbe innamorare di te solo a vedere la tua cucina? Chissà: forse il lettore, che era già favorevolmente predisposto» [Calvino]. Essi possono anche esprimere un particolare punto di vista dal quale viene considerato un evento: «la lettera dello studio Albertini tecnicamente veniva giudicata come il tentativo di chi non era riuscito ad accompagnare il rialzo» [La Repubblica del 25.5.1986 cit. in Serianni, Grammatica italiana].
Gli avverbi in -oni, che abbiamo già analizzato a proposito degli avverbi derivati, sono tutti qualificativi. Essi si adoperano per descrivere la posizione del corpo umano: «se ne stava a cavalcioni sul muretto», «con le gambe a penzoloni, dal davanzale della sua finestra osservava il mondo al di là di essa», ecc.
«Sono, inoltre, forme di particolare espressività, perché non indicano mai una posizione o andatura equilibrata ed abituale (come il camminare o il sedersi), ma tutta una serie di posture e movimenti in vario modo “irregolari”».[1]
Ne citiamo alcuni: bocconi, carponi, ginocchioni, gomitoni, ciondoloni, dondoloni, penzoloni, balzettoni, saltelloni, struscioni, strofinoni, sdruccioloni, rotoloni, rovescioni, a tastoni, a tentoni: «la macchina fatale s’avanzava balzelloni, e serpeggiando» [Manzoni], «gettandosi ginocchioni per terra, abbracciava i ginocchi di quella donnina misteriosa» [Collodi], «cadde rovescio col capo penzoloni» [Praga].
Di norma un avverbio qualificativo è formato da un aggettivo singolare maschile trattato come avverbio. Eccone gli usi più diffusi:
- In unione col verbo dando vita a una delle numerose frasi cristallizzate della nostra lingua: parlare chiaro, andare forte, lavorare sodo, tenere duro, ecc.
«L’aggettivo avverbiale sembrerebbe in espansione nella lingua d’oggi, sotto la pressione della lingua della pubblicità, da cui vengono continuamente inviti a vestire giovane, bere genuino, e via dicendo».[2]
- Altri aggettivi in funzione avverbiale qualificativa compaiono nelle partiture musicali, quali: adagio, allegro, andante, ecc.
Tra questi e il corrispondente aggettivo qualche volta non vi è identità di significato: parlare forte e parlare fortemente significano due cose diverse: ʻad alta voceʼ il primo, ʻcon calore e animositàʼ il secondo.
Tra le locuzioni avverbiali, quelle con valore qualificativo sono, ad esempio, sul serio («Ma sa che suo papà è innamorato pazzo della Chanteuse del Cabaret? – Ma dice sul serio? Papà innamorato?» [Pirandello]), in solitudine e in silenzio («cerca di immaginare tutte queste cose come le sentinelle qualcuno che potesse concentrarsi a guardare il giardino Zen in solitudine e in silenzio» [Calvino]). Ci limitiamo a questi pochi esempi, ma potremmo procedere – come suggerisce il Serianni nella sua grammatica – affiancando a sul serio ad esempio per davvero; con in solitudine e in silenzio, in pace; e via dicendo.
Altri tipi di locuzioni avverbiali sono:
- Espressioni ellittiche formate con la preposizione articolata alla seguita da un aggettivo femminile: alla moda, alla svelta, ecc. Caratteristico l’impiego con aggettivo etnico: alla francese, ecc.; altre volte con un richiamo a un personaggio famoso: alla Maradona; a un tipo di cottura: alla brace, al sangue; o al condimento: al pesto.
- Con raddoppiamento della preposizione a: a faccia a faccia, a corpo a corpo; necessaria secondo la tradizione anche se oggi sempre più spesso si adoperano così: faccia a faccia, corpo a corpo: «per un istante stettero faccia a faccia, curvi, attaccati alla poltrona» [Moravia].
«La fortuna del sintagma con una sola a, che dipende dal modello francese tête à tête, coup à coup, è anche dovuta a ragioni di carattere funzionale: innanzitutto al frequente uso sostantivato (“c’è stato un corpo a corpo selvaggio” […]); poi alla reinterpretazione della preposizione a tra due sostantivi come su (colpo a colpo = colpo su colpo) e al significato generale di ʻche si sovrappone, che corrisponde a, che segue subitoʼ (testa a testa, ruota a ruota) con uno sviluppo semantico cui forse non è estranea l’influenza del tipo inglese cheek to cheek».[3]
- Locuzioni avverbiali che ad esempio si leggono sui listini delle automobili o nelle fatture commerciali: chiavi in mano, tutto compreso, ecc.
- Tutto ciò che di stereotipato si può rispondere alla domanda «Come va?»: a gonfie vele, da cani, abbastanza bene, non c’è male, d’incanto, magnificamente, splendidamente, ecc.
- Espressioni stereotipate tipo: si tira avanti, finché dura, da poveri vecchi, come Dio vuole, ecc.
Conclusioni
Quindi, com’è andato questo mini ripasso? Abbastanza bene? Niente male? C’è di meglio? Così così? Che vi sia piaciuto o meno, la prossima volta affronteremo gli avverbi di tempo. Ci si becca.
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Note
[1] Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET 2006
[2] Bruno Migliorini, Saggi sulla lingua del Novecento, Sansoni 1963
[3] Cit. Luca Serianni
Piccola nota di orgoglio linguistico 😀
La terminologia sulle partiture musicali è in italiano ovunque. Fra l’altro vi ricordate Condoleeza Rice, in realtà il padre, appasionato di musica, l’avrebbe voluta chiamare Condolcezza (termine usato nelle partiture appunto) ma all’anagrafe sbagliarono a trascrivere la c.
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Non lo sapevo, grazie Grilloz.
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Dovresti vivere un po’ all’estero anche tu, vedi quante cose si imparano? 😉
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Ci vivrei, se non fosse che all’estero ci stanno gli esteri. E io sono troppo sociopatico per sopportare pure loro; mi bastano già gli italiani.
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Vuoi mettere? Gli esteri li puoi ignorare facendo finta (ma anche no) di non capire 😛
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Sempre interessante. A me ad esempio non piacciono gli avverbi in -oni. Sfido chiunque a tentare di difendere “struscioni” o “rovescioni” davanti a un editor e uscirne vivo. 🙂
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Magari trovi invece proprio l’editor a cui piace quello stile lì. In fondo andava di moda due o tre decenni fa. 😛
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Sì, infatti sa di vecchio…
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Mi piacciono le locuzioni avverbiali e non sapevo si chiamassero così. Uso spesso gli avverbi in -mente ma poco quello in -oni.
Questa tua lezione la devo ripassare, oggi ho letto in fretta e si è fatto tardi…
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Ovviamente… 😛
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