La funzione degli Archetipi

Dracula

Le regole del gioco

In letteratura l’archetipo è un modello da seguire, inteso come “primo esemplare” di una certa “cosa” da usare come metro e come guida per altre costruzioni simili. Il vampiro di Bram Stoker, Dracula, è forse il primo archetipo del suo genere e quando si scrivono altre storie sui vampiri o si introduce il personaggio del vampiro è inevitabile il confronto con esso. I personaggi però non sono gli unici ad avere degli archetipi, anche i romanzi hanno i loro.

In passato abbiamo già parlato del romanzo greco. Parlandone abbiamo visto come quel genere di romanzi – il termine romanzo è improprio perché molto più recente, ma con esso vogliamo solo indicare uno scritto in prosa che si distacca in modo netto dai poemi, che all’epoca andavano per la maggiore – fosse costruito sempre in un determinato modo: due giovani, belli e casti s’incontrano a una festa o fiera o cerimonia per la prima volta, dopo un colpo d’occhio, che basta a far scattare fra i due la scintilla dell’amore, entrambi sono assolutamente consapevoli di non voler vivere un solo secondo di più separati; ma, perché c’è sempre un ma, eventi esterni (il rapimento di lei, una guerra, la pestilenza, la rivalità fra le rispettive famiglie…) eventi esterni impediscono ai due di convolare a nozze. La storia che segue è un concatenarsi di avventure che hanno il solo scopo di riunirli. Quando ciò finalmente avviene, il lieto fine è d’obbligo: i due ragazzi, che sono ancora belli, giovani e casti esattamente come la prima volta che si sono incontrati, finalmente si sposano e il romanzo termina, solitamente, con un bel matrimonio.

Per quanto la storia d’amore tra i due protagonisti sia nel romanzo greco solo una scusa per quello che in realtà è un romanzo d’avventura, ritroviamo in esso l’archetipo del più moderno romanzo rosa. Il romanzo rosa è forse il genere dotato della struttura più semplice da architettare e, allo stesso tempo, il più difficile da scrivere. È difficile sia perché il rischio di cedere ai cliché è dietro l’angolo sia perché i sentimenti che si vogliono smuovere nel lettore sono così ancestrali che, se l’autore fa un buon lavoro, possono effettivamente scuoterlo fin nelle sue fondamenta emotive ma, se l’autore sbaglia qualcosa, la delusione del lettore è così cocente da farlo diventare addirittura violento. Mi fu raccontato l’episodio di una scrittrice che volle scrivere un romanzo di genere rosa i cui protagonisti non erano i giovani e illibati ragazzi al primo amore che le lettrici erano abituate ad aspettarsi, ma entrambi quarantenni già con un divorzio alle spalle. Alla presentazione del libro le massaie presenti all’evento fecero notare il proprio… disappunto.

Gli elementi archetipi del romanzo rosa sono più o meno questi:

  1. I due protagonisti devono essere in qualche modo “puri”, che oggi come oggi non significa “casti” ma comunque devono contenere elementi di purezza;
  2. L’uomo deve avere una posizione sociale superiore alla donna. Provate a invertire questo fattore e scoprirete quanto poco funziona. Perfino in 50 sfumature di grigio, che è un romanzo erotico e non rosa ma che segue regole molto simili, se il fustigato fosse un “ragazzino” e l’imprenditore sadico una “donna”, il romanzo non avrebbe mai avuto il successo che sappiamo. Pochi autori osano invertire questa posizione, ma in tutti possiamo sempre ritrovare un elemento che fa sì che l’uomo abbia qualcosa da insegnare alla donna o che possa in qualche modo “salvarla” (anche in senso lato) e via dicendo – questa è una regola importante;
  3. I fattori che impediscono la felicità dei due innamorati sono sempre esterni;
  4. Il lieto fine è d’obbligo!

Parlando di lieto fine, vorrei soffermarmi su quello che considero un aneddoto interessante. Dunque, nel romanzo greco, quando i due innamorati finalmente si ritrovano, entrambi – non importa quanto tempo sia passato né quante avventure abbiano vissuto – entrambi sono ancora giovani, belli e casti esattamente come in quel fatidico primo incontro. Ora, se non ricordo male, si fa precedere l’opera di Omero di circa duecento anni la prima Olimpiade (potrei sbagliarmi, non sono andato a verificare, ma mi pare che ne accenni Cicerone nel De re pubblica) e la prima Olimpiade precede la fondazione di Roma di una trentina circa: Roma, per tradizione, viene fondata all’epoca della settima Olimpiade. Per consuetudine datiamo la sua fondazione nel 753-54 a.C. Quindi l’opera di Omero precede la nascita del Cristo di quasi un millennio. Perché tiro in ballo Omero?

Quando Ulisse parte da Itaca per combattere nella guerra di Troia con tutti gli altri eminenti greci, lui e Penelope sono già sposati e hanno anche un figlio, Telemaco. Quando, nell’Odissea, Ulisse riprende la via di casa, Omero fa quello che più o meno ci si aspetta in un genere molto meno nobile quale il romanzo greco: lo fa peregrinare per il Mediterraneo avventura dopo avventura con lo scopo di tornare a casa per ricongiungersi con la propria sposa. Se l’Odissea non fosse un poema ma un romanzo, e se a scriverla non fosse stato Omero ma un qualsiasi altro autore, noi nel finale avremmo avuto un Ulisse ancora gagliardo e in perfetta forma che, sconfiggendo i Proci, si sarebbe ricongiunto a una Penelope ancora giovane e bella. Poiché Omero era una mente geniale, l’Ulisse che finalmente torna a Itaca è così invecchiato che solo Argo, il cane ormai vetusto, lo riconosce come il proprio padrone. Penelope non è più giovane e i Proci non mirano alla sua bellezza ma alla sua posizione sociale. Telemaco è già un adulto, anche se ancora troppo giovane per affrontare i nemici in casa propria da solo. Ulisse è sì, ancora così gagliardo da tendere il proprio arco, ma Omero non fa l’errore di non mostrare i segni che il tempo e le avventure hanno lasciato su di lui. Omero, cioè, fa qualcosa di rivoluzionario: dà allo scorrere del tempo un ruolo. Ecco perché ancora oggi leggiamo l’Odissea ma non sapremmo citare nemmeno uno dei romanzi greci che in effetti sono esistiti ma che solo in pochissimi casi sono giunti fino a noi. Omero fa qualcosa di estremamente moderno quasi mille anni prima della crocifissione di Gesù. Dovremo aspettare quasi un altro paio di millenni e approdare a Shakespeare per ritrovare la stessa genialità modernizzante applicata alla letteratura (Romeo e Giulietta non vi dice nulla? … due giovani innamorati divisi dalla rivalità delle rispettive famiglie).

Ora, il motivo per cui vi racconto tutto questo non è di consigliarvi l’attinenza agli archetipi, ma la loro profonda conoscenza. Il ruolo dell’autore, infatti, è proprio quello di stravolgere gli archetipi, ma lo si può fare solo conoscendoli. Faccio un ultimo esempio: nel genere giallo l’elemento cardine è scoprire chi sia l’assassino. Questo elemento per ragioni di forza maggiore è solitamente collocato al fondo del romanzo. Qualcuno, a un certo punto, ha pensato di stravolgere le regole del gioco dislocandolo al suo inizio. Così il fine del romano giallo non è più conoscere l’identità dell’assassino, ma scoprire come facciano gli investigatori a “beccarlo” e di questo stupirsi. Ogni volta che stravolgiamo le regole del gioco dobbiamo avere la consapevolezza di ciò che stiamo facendo; farlo significa smuovere emozioni nel lettore, creare un effetto, e questo non può essere relegato alla semplice casualità.

53 Comments on “La funzione degli Archetipi”

  1. Ti sei messo a studiare il romanzo rosa? (prima o poi ne leggerò uno 😉 )
    “Qualcuno, a un certo punto, ha pensato di stravolgere le regole del gioco dislocandolo al suo inizio. Così il fine del romano giallo non è più conoscere l’identità dell’assassino, ma scoprire come facciano gli investigatori a “beccarlo” e di questo stupirsi.”
    Questo era l’archetipo di ogni episodio del tenente Colombo (l’avrai visto qualche volta, no? 😛 )

    P.S. interessante il problema di datazione delle opere omeriche, anche se non strettamente legata al tema del post, così ho gugolato (come facevamo prima?) e ho trovato questo:
    “Secondo uno studio effettuato di concerto tra i biologi dell’Università di Reading in Inghilterra, i genetisti dell’Università del New Jersey e i linguisti dell’Università di Santa Fe nel Nuovo Messico, l’Iliade sarebbe stata scritta nel 762 a.C. con un margine di errore di 50 anni, all’incirca durante il periodo di fondazione di Roma. È stato possibile studiare l’evoluzione genetica della parola dall’ittita fino al greco omerico attraverso l’utilizzo di uno strumento linguistico, detto Lista di Swadesh. Si tratterebbe di un approccio di tipo quantitativo, piuttosto che storico, che collegherebbe in maniera sorprendente l’evoluzione delle parole al campo della genetica e della biologia.”
    Cosa non si inventano gli scienziati 😀

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    • Andrò a verificare nel De re pubblica, che comunque non è per forza una fonte più attendibile dei genetisti dell’Università di Pizzo Calabro ( 😛 ), ad ogni modo mi interesso della struttura di tutti i romanzi; prendo d’esempio quello rosa solo perché è il più semplice da illustrare. Di “rosa” ne ho letti un paio, i migliori in assoluto sono quelli di Nicholas Sparks.

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  2. Articolo interessante. L’archetipo, però, può essere avvicinato anche da altri punti di vista, soprattutto filosofico-psicanalitici, e sempre in funzione utile per la scrittura. Se ti interessa, ho approfondito all’indirizzo https://fabriziovalenza.net/2017/02/17/larchetipo/
    Sarebbe bello avere un tuo parere.
    Per quanto riguarda la modernizzazione “temporale”, prima di Shakespeare potremmo considerare Dante, che nella Divina Commedia inserisce l’incursione del tempo nelle vicende umane proprio tramite la sua estremizzazione, l’eternità. Inferno, Purgatorio e Paradiso non sono altro che la “dimostrazione” eternizzante delle scelte temporali. Il giudizio morale contenuto nella Commedia non deve far perdere di vista che quel capolavoro è un’opera che parla del tempo proprio di Dante e delle scelte dei suoi protagonisti e dei loro effetti – visti sub specie aeternitatis – sulla civiltà in cui vivevano.

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  3. L’altra volta ho detto al mio protagonista: «Non puoi fare questa cosa. Se tu sei un archetipo, comportati da archetipo.»
    «Archetipo a chi?» mi ha risposto. «Io sono una personaggio reale. Vivo, soffro e che a te piaccia o no, dal momento che scrivi di me non sono più una roba tua. E se in questo mondo di matti globali il vero archetipo della società fossi tu, caro scrittore?»

    Il mio personaggio mi ha messo in crisi. Ecco lo scotto dello scrittore moderno. Come per l’educazione dei figli. Una volta quando il figlio si comportava male, bastava uno scapaccione del padre e tutto si metteva a posto. Invece ora gli psicologi dicono che occorre il dialogo. Il genitore prova a dialogare e il figlio risponde con uno scapaccione al padre.
    Lo stesso siamo noi scribacchini di oggi. Lo scrittore antico schiaffava i personaggi sulla pagina senza troppi scrupoli: «Se devi morire muori senza lagnarti!.»
    Oggi lo scrittore deve essere attento all’arco del personaggio, curare la psicologia del protagonista considerando l’incidenza anche degli ipotetici traumi infantili, comprendere le sfumature esistenziali e mille altri fru fru… ecco l’origine della crisi dello scrittore moderno. 😛

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  4. Ecco così mi piaci! Concordo. Oggi scrivere è un mestiere che rischia di cadere nel vuoto se non ci si aggiunge la sfacciataggine di stravolgere gli archetipi. L’esempio che fai del giallo è forse quello che colpisce di più. Ho letto moltissimi libri in cui non è importante scoprire l’assassino, ma le tecniche degli investigatori… non so a questo proposito se sia il cinema ad avere istigato la novità o il contrario. Però è sublime in questo modo il lettore è in mano all’autore e accetta di stare al gioco: legge e si lascia portare dove la sua penna desidera.

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  5. Bell’articolo! Ammetto che sapevo poco o nulla del romanzo greco. Sono un pezzo d’asino.

    Non sono il tipo da romanzo rosa (e nemmeno da giallo, se per questo) ma mi torna spesso il capriccio di scriverne uno “a modo mio”. Quello che affermi è la preoccupazione che mi ferma ogni volta: non sarebbe gradito.

    Non solo le aspettative sono alte, nel genere, ma le persone che leggono quella roba odiano il cambiamento. Massaie zelote che farebbero impallidire l’ISIS! E io sono uno a cui piace osare, dal punto di vista narrativo… mi vengono in mente storie romantiche da trasformare “bell’e buono” in tempeste horror, splatter, new weird. Mi piace spiazzare il lettore, ma capisco che quello non sia il target più adatto.

    Esiste una soluzione a questo problema? 😦

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    • Io, invece, credo che vogliano essere stupite. Fidati. 😉
      Io, fossi in te, lo scriverei, Palombaro.
      P.s. il nome già la dice lunga. Inabissarsi in nuove esplorazioni. Le massaie ringrazieranno.

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      • Mmh… le lettrici di romanzi rosa sono le più accanite. Vogliono sempre la stessa cosa fatta nello stesso modo. Vogliono che l’incantesimo della storia romantica si riproduca nello stesso modo di quella prima volta che le aveva tanto emozionate. A essere spietati si potrebbe creare una struttura pre-confezionata e poi cambiare di volta in volta solo l’identità dei protagonisti… 😛

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    • Del romanzo greco ne avevo già parlato in precedenza. Se ti interessa approfondire, nell’articolo trovi il link. Per quanto riguarda i generi, come dicevo nel post si può stravolgere l’archetipo se si è consapevoli di quello che si sta facendo. Anzi, per il lettore potrebbe essere persino un’esperienza interessante. Solo che bisogna ragionare bene, motivarli questi cambiamenti. Tutto è possibile, e non c’è nulla di meglio di un archetipo ribaltato nel modo giusto. Se però il modo non è quello giusto…

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  6. Il lieto fine è d’obbligo!

    Ho letto storie, qualcuna scritta, ma vabbè io non valgo come esempio, che il finale è tutt’altro che “happy end”.
    Non è detto.
    La storia deve terminare, ma non sta scritto che per forza bene.
    Se vuoi rassicurare il lettore, altrimenti no.

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      • Meglio di così come poteva finire? 😛 (ammetto di aver visto solo il film però…)
        Comunque non bisogna confondere il romanzo sentimentale col romanzo rosa che ne è una sottocategoria.

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        • Vuol dire che andremo a studiare anche lo sottocategorie.
          Resto sempre convinta che una storia di qualunque genere,possa finire male.
          Nel “rosa” le regole sono che ci sia un lieto fine, perché nelle favole non è così la struttura?
          Vuol dire che mi appello alla sottocategoria e faccio rimanere sola la protagonista dopo che hanno cercato di stare insieme per tutto il romanzo.
          Invece l’uomo più forte in tutti i sensi, soprattutto economicamente è uno stereotipo.
          Se io voglio far innamorare una signora che ha un villaggio turistico, ad esempio, ben avviato e si innamora dell’animatore?
          Sarebbe un peccato non farglielo fare.

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  7. Gli archetipi li avevo studiati quando ho tradotto la Tavola Periodica dello Storytelling dall’inglese, anche se sotto la parola archetipi sono stati messe delle tipologie di personaggi e il resto dei modelli è chiamato “tropo”.
    Sul romanzo rosa, sono contenta di avere altri motivi per dire che Outlander di Diana Gabaldon non lo è (su questo punto si apre continuamente una diatriba all’ultimo sangue che le massaie sono docili agnellini): lei è sposata con un altro, 200 anni avanti; lui è vergine ma con mooooolto sacrificio; è uno stalliere con una condanna a morte pendente, un pessimo partito, mentre lei è una guaritrice / infermiera / dottore; passano i romanzi a salvarsi l’un l’altro; il lieto fine…eh! credo che all’epoca dopo il secondo libro ci sia stato un ammutinamento e solo sapere che era già in scrittura il terzo ha calmato gli animi. Sappi che citerò il tuo articolo alla prossima discussione 😉
    Sulle 50 sfumature di grigio: leggendo tutta la serie, si scopre poi (scusate lo spoiler) che lei domina lui (e leggendo Grey è uno spasso sentire i monologhi interni di lui, un pesce lesso cotto a puntino), che lei salva lui dai ricordi di un’infanzia disastrosa, e che lui è stato “iniziato” dall’amica di sua madre (ergo proprio l’imprenditrice che fustigava il giovanotto). Però sono d’accordo: in questo tipo di romanzi è difficile trovare un lui brutto e povero. Sarebbe ora di sovvertire questo archetipo?

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    • Questa è un’informazione interessante, che non conoscevo. Dubito, però, che se i ruoli fossero stati invertiti già dal primo romanzo il successo sarebbe stato altrettanto eclatante. Al terzo… ci sta. Ormai hai fidelizzato il lettore/lettrice e puoi propinargli qualsiasi cosa sia coerente col contesto. Il ribaltamento, anche per movimentare le acque di una storia già sondata, è un abile artificio.

      Se ti capita di averla ancora, mi gireresti la traduzione di quella tavola che citi?

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      • Eh, attenzione: già sul primo romanzo delle 50 sfumature parlano dell’amica di sua madre. Non solo: già lì ti fanno capire che lui è così perché ha subito abusi nell’infanzia, facendo scattare un grandisssssssssimo archetipo. La sindrome da crocerossina. 😉

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            • ….a dire il vero si scrive anche erotico (sto preparando un post chilometrico al riguardo 😉 )
              E comunque, come ho già raccontato non ricordo dove, sicuramente sul blog…le 50 sfumature le ho lette dopo che mia madre mi ha quasi diseredato per avergliele regalate (si è fermata a pagina 21…donna d’altri tempi)….e mio padre che non legge nulla manco sotto tortura stretta ha letto tutta la saga in 3 settimane!! (si beh, a casa mia uno normale non c’è, manco il gatto… 😛 )
              Comunque, tolte le parti erotiche (secondo me qualcuna scritta anche male, tipo che se sono in due, sono quattro braccia e il conto a volte non tornava, manco Grey fosse il Buddha), è una bella storia romantica. Il rosso poi è il meglio riuscito, l’inseguimento a bordo della R8 me lo sono proprio gustato, vedremo come lo renderanno al cinema. Dal punto di vista dello stile: il primo sembra acerbo, preso pari pari da wattpad; gli altri due mi suonano scritti ed editati professionalmente.

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              • Mi sei apparso sorpreso. Una donna che legge è pericolosa, che scrive non te lo dico nemmeno.
                Se poi quest’ultima lo fa pure bene… non è il mio caso. Troppi bravi in giro. Io non so niente, quel che so è poco. Non vorrei dire “baggianate”. Tutto serve per confrontarsi, tuttavia.
                Nel dubbio, leggo.

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  8. Mentre leggevo il tuo post pensavo al mio ultimo romanzo per capire se rispettavo gli archetipi, lui non è ricco però neanche un poveraccio, lei non è povera ma vive del proprio lavoro, però sono entrambi belli e questo è un archetipo di tutto rispetto…
    L’Odissea è una storia eterna perché è una perfetta metafora del viaggio della vita, della nostalgia della propria terra e poi quando Ulisse fa vibrare l’arco, beh, sarà anche vecchio ma provoca un’emozione fortissima e anche un po’ erotica.

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  9. L’archetipo va usato con consapevolezza, come il burro nei biscotti. Tutti lo sanno che troppo fa male, ma senza non sono biscotti. E se poi lo sostituisci con l’olio di palma è pure peggio.

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  10. Stessi elementi archetipi de I promessi sposi 🙂
    Ma anche di varie favole, come Biancaneve, Cenerentola, ecc.

    Non sono informato sugli archetipi – volevo anche scriverci un post, anche se dievrso dal tuo – è una lacuna che mi porto dietro da parecchio.

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    • Immagino di sì. Sui Promessi sposi non mi pronuncio – ci sono troppi intenditori pronti a contarti le virgole se lo fai – sulle favole so poco: non le ho mai sopportate. 😛

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  11. La questione degli archetipi è di grande interesse, soprattutto perché consente di ridimensionare un po’ il mito romantico dell’ispirazione subitanea e irresistibile: uno può anche essere un genio assoluto, ma nessuno al mondo fa letteratura vera senza prima confrontarsi con gli archetipi, i modelli, la tradizione che lo precede. Lo stesso Dante, opportunamente citato nei commenti precedenti, si rifà a tutta la letteratura che conosce, spesso alludendo o citando; per fare un solo esempio, in ‘Purgatorio’ XXX,48 Dante vede Beatrice che arriva su un carro in coda a una processione, ecc. ecc., una visione magnifica che commenta dicendo a Virgilio (prima di accorgersi che il poeta se n’è già tornato nel Limbo): “conosco i segni de l’antica fiamma”. È un meraviglioso omaggio allo stesso Virgilio (‘Eneide’ IV,23 “…Adgnosco veteris vestigia flammae”), una traduzione non solo perfetta ma persino della stessa lunghezza: accidentalmente, infatti, la porzione di verso virgiliano che Dante riprende è già in latino di undici sillabe.

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