Come costruire un personaggio credibile

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Prediligere le caratteristiche materiali o psicologiche?

L’errore più comune, quando si comincia a progettare un personaggio, è iniziare col chiedersi cosa egli pensa. Nel ricco e imbolsito occidente siamo tutti figli di Freud. La schizofrenia della società postmoderna (in cui vegetiamo) ci spinge a ignorare il dato materiale; ad esso preferiamo quello rarefatto dell’identità psicologica. In una scheda personaggio, di quelle precostituite, che ho avuto fra le mani per qualche tempo, del personaggio mi si chiedeva la personalità. La personalità? Proprio così: la Personalità!

Personalità è un vocabolo che deriva dal tardo latino personalĭtas, il quale, a sua volta, deriva da personalis: personale. Esso indica qualcosa di caratteristico di una singola persona. In campo psicologico sta a indicare quella determinata struttura mentale che, sviluppatasi attraverso «dinamiche formative e influenze sociali»[1] combinate con fattori genetici, l’individuo riconosce come propria e attraverso di essa esprime se stesso secondo il suo modo di interagire con l’ambiente, stabilire le proprie priorità e regolare il proprio comportamento. Facile, no? Adesso, nei commenti, vorrei che mi descriveste in due-tre righe la vostra personalità. Se non ci riuscite con voi stessi, come pensate di cavarvela con un personaggio che neanche conoscete?

Partire dal dato effimero[2] rende il personaggio volubile. Se esso non è definito, sarà instabile. Significa che continuerà a evolversi; ma non con l’evolversi della storia, come sarebbe in realtà gradito, piuttosto senza o al di là del vostro controllo. Se i vostri personaggi non fanno ciò che vi aspettate da loro; se continuano a prendere direzioni diverse da quelle che gli avete indicato, la causa sta proprio della vacuità con cui li avete progettati. Meglio arpionarli alla pagina con i dati materiali. Sarà poi la storia, cioè la trama, a stabilire la loro evoluzione psicologica. Questo, però, non riguarderà più il personaggio inteso nella sua “singolarità”, ma la sua collocazione all’interno di un contesto predefinito.

Vediamo, dunque, quali sono i dati materiali che più ci interessano quando decidiamo di progettare un personaggio.

Contesto storico-geografico

Se fossimo nati negli USA piuttosto che nel Vietnam all’inizio degli anni settanta qualche differenza per noi l’avrebbe fatta. Tutto il resto è quasi una conseguenza. La prima cosa da stabilire, quindi, è dove sia nato il vostro personaggio; perché anche i personaggi nascono.

“Il luogo in cui nasciamo e cresciamo ci rende ciò che siamo.”

I personaggi, se sono ben progettati, hanno un passato ben prima che cominci la loro storia sulle nostre pagine. Harry Potter è nato a Londra, credo, più o meno nella nostra contemporaneità. Se fosse nato in Egitto al tempo dei faraoni sarebbe stato diverso, a partire dal nome che porta. Tutto ciò che viene dopo è una conseguenza del luogo e del tempo in cui si stabiliscono i natali del personaggio.

Contesto sociale

Restando ai natali, del vostro personaggio è bene chiedersi in quale contesto sociale sia nato e cresciuto. La sua famiglia di provenienza è ricca? povera? Un covo di squali capitalisti o di rivoluzionari rossi? Borghese? Proletaria? Aristocratica? La gente attorno a lui è piena di soldi o è povera? Hanno la puzza sotto il naso o sono bifolchi? Che disponibilità finanziaria hanno? Capite da soli quanto tutto questo faccia una grandissima differenza. Harry Potter è cresciuto nello sgabuzzino di una famiglia acquisita, quella degli zii, piccolo-borghese tipica della periferia londinese. Questo sì, che ha dei risvolti psicologici importanti per il personaggio; molto più che chiedersi di esso la sua personalità.

Occupazione genitoriale

Di conseguenza è bene chiedersi, con un minimo di coerenza, che lavoro facciano o facevano i genitori del personaggio. Anche i personaggi avranno avuto dei genitori, no? E allora essi, i genitori, avranno avuto un’occupazione. Anche se non rientra nel romanzo che state progettando, questo è un dato importante per la formazione della «struttura mentale» del vostro personaggio. Il padre è un politico e la madre una casalinga? Il padre è un poliziotto e la madre un’assistente sociale? Lo capite da voi che le due cose fanno una certa differenza. I genitori ce li ha entrambi? Se uno o entrambi sono morti, che età aveva il vostro personaggio quando è successo? I genitori di Harry Potter sono entrambi morti poco dopo la sua nascita. Entrambi erano maghi. Dai romanzi di J. K. Rowling mi pare non si evinca la loro professione (cosa facevano tutto il tempo il padre e la madre di Harry Potter dopo essersi diplomati a Hogwarts e prima di morire ammazzati?), ma sono abbastanza sicuro che l’autrice saprebbe rispondere. Di loro sappiamo però che erano molto ricchi. La disponibilità finanziaria, una volta che è riuscito a sottrarsi alle grinfie dei parenti, per Harry ha fatto una certa differenza.

Occupazione del personaggio

Passiamo al personaggio: quando non è costretto a correre per le pagine, cosa fa tutto il tempo il vostro personaggio? Forse insegna archeologia in una prestigiosa università americana? Oppure scrive; e ogni volta che decide di dedicarsi a un romanzo si isola in uno sperduto alberghetto del Colorado. È un famoso broker di Wall Street? Opera al pronto soccorso del General Hospital? Insomma: prima che l’avventura inizi, come occupava il tempo il vostro personaggio? Da questo dipende tutto il resto.

Disponibilità finanziaria

Letteralmente: quanti soldi ha in banca il vostro personaggio? Col romanzo questo dato non c’entra nulla? Non importa, c’entra col vostro personaggio. È importante sapere se è ricco o povero. Se è povero: quanto povero? Se è ricco: quanto ricco? Vive da solo? Sta a casa dei genitori? È in affitto? Non arriva a fine mese? Può permettersi un attico a Manhattan? Vive nel castello di famiglia? Guida una porsche o una station wagon? Gira il mondo in barca? è sua? Rispondere a queste domande delinea il mondo e il modo in cui il personaggio agirà nel romanzo.

“Prima che «quel particolare evento che fa scattare la storia» abbia luogo dovete avere una precisa conoscenza del mondo del personaggio.”

Lavoro, eredità o fortuna?

I soldi di cui dispone il vostro personaggio come li ha avuti? E se non ne ha: perché non ne ha? La sorella della mia ex, che bontà sua è decisamente ricca, era solita dire: «In questo mondo i soldi si ereditano, si vincono o si rubano». Intendeva dire che l’unico modo per farne tanti è ereditarli, vincerli o rubarli. Col duro lavoro è raro arricchirsi. Quando si dice: «piove sempre sul bagnato», s’intende che per fare soldi devi averne. La storia di un piccolo impiegato di banca che col duro lavoro, il rigore professionale e l’accortezza nel risparmio riesce a mettere da parte una fortuna non regge. Quel povero impiegato di banca può diventare ricco in un solo modo: fottendo il prossimo. Torniamo alla domanda: come li ha avuti i soldi il vostro personaggio? Li ha ereditati? li ha vinti a Las Vegas? li ha rubati? E se non li ha, perché non li ha? La sua famiglia è stata vittima di un tracollo finanziario? Li ha investiti malamente e poco alla volta si è trovato con l’acqua alla gola? La vostra è forse la storia di un personaggio che sì, nasce in una famiglia agiata o decisamente ricca, ma essendo stupido ha investito male l’eredità (magari giocando d’azzardo) e adesso fa di tutto per tamponare le falle? Una corsa contro i creditori, mentre il mondo agiato in cui è cresciuto si sgretola attorno a lui…

Svaghi, manierismi e abitudini

Quanto non corre per le pagine del romanzo e non lavora, come occupa il tempo il vostro personaggio? Va mai in ferie? E se sì, che fa nei giorni di riposo? Ha qualche hobby? Tifa per qualche squadra? Gli piace il giardinaggio? Serve, come volontario, alla mensa dei poveri? E ancora: fa mai colazione? cosa mangia a colazione? Ha delle abitudini alimentari? Mangia solo uova alla coque? Odia il pesce? È vegano? Sta facendo o vorrebbe fare una dieta? È un alcolizzato? Si fa di crack? qualche spinello ogni tanto? Fuma? Quanto fuma? Preferisce le sigarette, i sigari o la pipa? Non riesce a trattenere la sua libido? Se è uomo: gli piacciono gli uomini? Se è donna: gli piacciono le donne? Se è etero: gli piacciono molto giovani o molto vecchie? Che genere di locali frequenta nel tempo libero? È uno di quelli che va al centro commerciale la domenica mattina per fare colazione? Oppure si sbronza nei peggiori bar di Caracas fino all’alba? Ha qualche tic nervoso? a cosa è dovuto? Possiede un cane? Odia i cani? Sa suonare il pianoforte? il sax? Ha qualche passione? Colma la casa di fiori? È tatuato? E via dicendo…

Personalità

Solo a questo punto siete legittimati a chiedervi quale sia la “personalità” del vostro personaggio, intendendo con essa il modo in cui egli agirà di fronte agli eventi delle storia. Ad esempio, se è nato in una famiglia borghese di alto lignaggio e il papà al suo diciottesimo compleanno gli ha comprato una porsche: egli che relazione ha con i soldi? odia i soldi della sua famiglia? Preferisce voltare le spalle all’eredità e vivere come un hippie? Oppure è grato per la fortuna che gli è toccata e ne vorrebbe ancora di più? Ecco che adesso porsi domande sulla personalità del vostro personaggio comincia ad avere un senso.

Io mi fermo qui. I punti su cui per questa via potremmo continuare ragionare sono ancora molti, ma credo che così impostata la questione possiate procedere benissimo da soli. Come si può notare non abbiamo in alcun modo accennato all’aspetto fisico. Un motivo c’è: per creare pathos col lettore è molto più importante descrivere la situazione, i desideri e le aspirazioni del personaggio che non il colore dei suoi capelli. E poi la descrizione fisica molto spesso si evince dal contesto e diventa importante descriverla solo quando stride: un nero in Russia o un bianco nel Congo. Altrimenti è meglio lasciare che il lettore se lo immagini un po’ come gli pare. In fondo, se avete letto con attenzione questo post, rispondendo magari a qualcuna delle domande, vi sarete fatti un’idea dell’aspetto fisico del vostro personaggio senza che ad esso avessimo accennato in alcun modo.

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Note

[1] Vocabolario Treccani

[2] Effimero significa «di breve durata»; per estensione, qui lo si intende «di poco conto»

107 Comments on “Come costruire un personaggio credibile”

  1. La mia personalità: sono una persona che crede nell’impegno e nella fatica, nulla arriva gratis, tento di essere coerente e onesta in un mondo che spesso non lo è, ma ogni tanto mi lascio andare e colgo l’attimo.
    Chissà se ho dato un’idea della mia personalità. Bello il tuo articolo, mentre leggevo pensavo ad alcuni miei personaggi, ai loro genitori, all’ambiente in cui vivono e a quello che sono diventati crescendo.

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    • E come si è formata questa tua personalità? a cosa è dovuto il fatto che credi nell’impegno e non nel caso? Tutto riporta sempre al dato materiale, a qualche esperienza vissuta.

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  2. Tutte questelezioni su come creare personaggi credibili e poi i lettori si innamorano di quelli incredibili 😛 (lo so, ho giocato con le parole, ma su un blog letterario puoi concedermelo, no? 😉 )

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  3. Mi domando come mai oggigiorno sui blog letterari si usino tutti questi termini caratteristici dell’ingegneria: progettare, costruire; perchè non usare, invece, termini più legati al mondo dell’arte? Schizzare, sbozzare, disegnare (anche se il falso amico inglese potrebbe trarre in inganno), modellare, plasmare, dipingere, pennellare…
    Ma se proprio vuoi trascinarmi nel mio campo, quello della progettazione, appunto, allora ti ribalto il ragionamento.
    Quando si inizia a progettare un aereo si parte dalle prestazioni: velocità di crociera, quota, numero di passeggeri, ecc., la sua personalità, se vogliamo. E in base a queste caratteristiche poi se ne definiranno le dimensioni, il tipo di motori, la superficie alare, i materiali, la struttura, ecc.
    Se parti al contrario, se ad esempio inizi dal diametro della fusoliera o dal numero di ordinate rischi di trovarti con un aereo che non fa quello per cui avevi iniziato il progetto.
    Certo che di fronte ad un aereo che già vola posso analizzarlo in modo descrittivo e poi in base a ciò definirne le prestazioni.
    Con un personaggio a mio parere è lo stesso. Se ti serve un serial killer sai che deve essere psicopatico, ad esempio, ossessionato dal colore bianco (che non è un colore, ma va bene lo stesso 😛 ) o dal numero sette e in base a ciò andrai a ritroso decidendo che è ossessionato dal bianco perchè il padre llevava e macellava gli agnelli o che è ossessionato dal sete perchè la sorellina è morta in modo tragico il sette luglio, ecc.
    Se procedi in modo “descrittivo” rischi alla fine di trovarti con un comune borghese di nessun interesse o comunque con un personaggio sbagliato che non fa quel che serve nella storia. Tanto varrebbe intervistare il primo passante per la strada e costrurgli attorrno un personaggio e una storia (che sarebbe comunque una sfida interessante 😉 )

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    • Molto giusto, infatti anche nel campo narrativo la prima cosa da chiedersi è: “Cosa deve succedere prima perché si verifichi ciò che voglio che succeda dopo?” Di conseguenza il personaggio dell’investigatore deve avere determinate caratteristiche, diverse da quelle dello scienziato pazzo. Ma questo post si intitola: “Come costruire un personaggio credibile”, non “Come costruire un personaggio funzionale”… ma ti ringrazio per l’idea, la svilupperò in un futuro post. 😉

      Per quanto riguarda i termini tecnici, in un mondo in cui l’evoluzione scientifica – e il suo prodotto più caratteristico: la tecnologia – la fanno da padroni, il lettore si trova molto più a suo agio con termini quali costruire, progettare, realizzare, programmare e via dicendo, piuttosto che con termini appartenenti a un mondo ancora artigianale come abbozzare, modellare, plasmare, eccetera.

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  4. Io non credo di poter esprimere un’opinione professionale, perché ho scritto racconti, ho completato tre romanzi, ma non ho pubblicato nulla.
    Io credo che non esista la verità. Un’unica verità su come si costruisce un personaggio, così come vogliono farci credere molti manuali di scrittura. Credo che più interessante del come si fa dei manuali, sia il consiglio di sottobanco dello scrittore best seller. Quando King ti dice lui come procede o quando Michael Connelly spiega l’importanza di inserire in un personaggio il dettaglio narrante.
    Perché a conti fatti, in un romanzo di 300/400 pagine, le teorie dei manuali sono chiacchiere. È l’esperienza diretta che plasma la bravura dello scrittore. Perché a pagina 30 e a pagina 280 il personaggio è cambiato e nessuna scheda può venirti a salvare ricordandoti che ha sofferto di unghia incarnita se il personaggio non è più coerente. In tal senso è molto importante il ruolo dell’editor che con un occhio esterno può inquadrare meglio l’arco di evoluzione.

    A volte per scrivere un personaggio bisogna sapere tutto. Altre volte bisogna sapere poco. Non è la quantità di informazioni che determina la qualità.

    Se leggiamo La Strada di Cormac Mccarthy, vediamo come del protagonista non sappiamo praticamente nulla. Sappiamo che ha un figlio e a stento lo scrittore ci informa che era sposato e la moglie si è sparata un colpo in testa con uno degli ultimi proiettili rimasti. Mccarthy sapeva che lavoro faceva il suo personaggio prima della fine del mondo? Se aveva una amante o aveva fatto la chemio? Secondo me l’autore nemmeno si è posto queste domande. Perché la poetica della narrazione non lo richiedevano. Non sappiamo se era un ingegnere o un imbranato impiegato d’ufficio, perché Mccarthy riesce a mostrarci un personaggio che ha imparato a sapersela cavare. Che per necessità è diventato spietato. Viceversa, al punto opposto troviamo Stoner. Di lui, Williams, ci dice tutto. Genitori, condizioni economiche, parentele sue e della moglie. Ma è un tutto funzionale. Nessuna informazione di troppo. Quel tipo di romanzo richiede questa dinamica del personaggio.
    E condivido il pensiero di Grilloz. Secondo me spesso, non sempre, è più opportuno partire dalla funzione del personaggio, che dalle caratteristiche sparate un po’ a caso. La funzione di un boss mafioso richiede un background specifico. Il che non significa che deve appartenere a un’infanzia spietata, come ci dimostra Puzo con Michael Corleone, nel Padrino. Il boss può essere anche sentimentale, finanche religioso a modo suo. Ma le caratteristiche devono risaltare a seconda dell’effetto interpretativo che si vuole ottenere.
    Ok, ho esternato il pensiero settimanale, me ne ritorno nelle catacombe oscure. 😛

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    • Grazie per il tuo commento Marco, ma non lo condivido. Il fatto che McCarthy non ci dica nulla o quasi sul passato del suo personaggio non significa che non si sia posto il problema: è il lettore a non sapere, la storia evidentemente non lo richiede, ma quello che sa o non sa l’autore tu, lettore, non puoi saperlo. E non sarei affatto stupito se, chiedendoglielo, McCarthy risponderebbe di conoscere tutto di quel personaggio; magari quel personaggio è “se stesso” e quindi non ha avuto nemmeno bisogno di “progettarlo”.

      “A volte per scrivere un personaggio bisogna sapere tutto. Altre volte bisogna sapere poco. Non è la quantità di informazioni che determina la qualità” – ok, questa frase suona bene, ma cosa significa in realtà? Per parlare di un personaggio che non sia “me stesso” io di quel personaggio devo sapere più cose possibili. Progettare un personaggio solamente funzionale alla storia – la storia richiede che un francobollo sia l’indizio chiave quindi il detective deve avere una folle passione per i francobolli – crea dei personaggi piatti e delle storie che funzionano bene come meccanismi, ma senza lasciarti altro. Inoltre per quanto puoi parlare di un personaggio di cui non conosci nulla?

      Non so… non condivido.

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      • Credo che abbiate ragione entrambi. proprio perché le variabili sono tante, forse troppe da incasellare. Alcune regole sembrano fatte apposta per essere aggirate, ignorate se non addirittura capovolte. Alcuni personaggi nascono da soli, con il minimo impegno dell’autore, altri non vengono alla luce nemmeno con tutta la fatica del parto. La storia spesso fa la differenza anche sui protagonisti, possiamo avere storie realistiche e personaggi quasi surreali. Insomma discuterne apre questioni infinite e interessanti.

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      • Chiaramente parlo della mia esperienza e quindi capirai che è molto breve. Inoltre io mi approccio alla scrittura con molta umiltà, con la consapevolezza che occorre imparare sempre. Anche un autore best seller non dovrebbe mai sentirsi arrivato.
        Premesso questo ti spiego quel che volevo dire.
        Tu dici: “per creare pathos col lettore è molto più importante descrivere la situazione, i desideri e le aspirazioni del personaggio”.
        Questa è una verità sacrosanta, la dicono gli scrittori, la troviamo nei manuali, ma il punto vero di questa affermazione è: ma come si fa?
        Come si rende sulla carta tutto ciò? Uno scrittore può inserire questi elementi, ma per quanto sforzo possa compiere non saprà mai se il lettore potrà recepire o meno il personaggio.

        Scrivere un romanzo è un impresa veramente ardua. A meno che lo si faccia superficialmente, occorre tenere conto della trama, dei punti di svolta, dei personaggi tutti: dai protagonisti, ai secondari, alle comparse; lo stile, il ritmo di tutto il romanzo e di ciascun capitolo, le congruenze, la ricerca e mille altri impicci.

        Quindi di fronte a un tale sforzo, occorre anche tener conto di non svolgere lavoro inutile.
        Quel che conta è la resa finale e non il come si è giunti. La mia editor ad esempio mi ha detto che ho saputo caratterizzare bene i personaggi, almeno quelli minori, i protagonisti richiedono sempre maggiore attenzione. Eppure i miei personaggi secondari sono nati sostanzialmente di getto, senza pianificarli troppo. Perché? Perché li sentivo dentro. Di loro percepivo il suono, la voce, quel che volevo/vano esprimere.
        L’amico del protagonista è un pescatore che si chiama Peppe Ignazio. Di cui nessuno, compreso lui stesso sa se il suo cognome sia Peppe o Ignazio. Ha una moglie molto gelosa, che quando vede il suo uomo ritardare per il pranzo lo va a cercare sull’isola temendo che qualche avvenente turista possa fargli perdere la testa. Quando lo trova se lo riporta a casa e lo picchia. E lui, pescatore grande e grosso, è felice che sua moglie lo suoni perché significa che ancora lo ama. Personaggio semplice, lineare, abbozzato. E’ coraggioso, generoso verso gli amici e sempre disponibile. Il personaggio funziona, ma non ho pianificato nulla di lui. Non so chi sia suo padre ( probabilmente un pescatore), sua madre e dove abita con esattezza. Semplicemente non mi pongo il problema perché il personaggio svolge già la sua funzione. Lo percepisco per istinto, lo conosco, per tutto il romanzo è coerente col suo ruolo. Svela anche parti di sé, come il piangere come un bambino se il suo più caro amico rischia di morire. Perché mai dovrei pormi domande che non servono. La qualità del personaggio secondario è già resa con quello che mostra.

        Oppure il mio protagonista, in principio, lo avevo delineato secondo alcune caratteristiche. Ma man mano che scrivevo mi sono reso conto che il personaggio mi diceva altro. Le situazioni lo portavano a reagire in maniera diversa di come immaginavo. Il suo carattere si modificava capitolo dopo capitolo e io non ho potuto far altro che rivedere le mie intenzioni iniziali e in seconda stesura modificare le parti obsolete del suo carattere nei capitoli iniziali.
        Con questo io non voglio dire che non occorra pianificare. Voglio dire che pianificare pedissequamente tutto perché lo dicono i manuali di scrittura è anche sbagliato. Perché non permette all’autore di sentire i personaggi e la storia secondo i suoi istinti.

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        • Vedi che confermi quello che stavo dicendo? Il fatto che non ti sia posto domande su quei personaggi, che pur abbozzati di getto (come tutti i miei peraltro) sono venuti fuori ugualmente concreti, non significa che tu non ti sia posto interrogativi sulla loro esistenza al di fuori delle pagine del romanzo; semplicemente l’hai fatto inconsapevolmente. Magari li portavi nel cuore da anni. Magari li hai visti con i tuoi occhi, persone vere e proprie, e poi li hai dimenticati. Ma dentro di te sono rimaste come immagini nebulose per poi convergere in un personaggio. E via dicendo.

          E’ chiaro che se devo scrivere un post in cui raccomando al mio lettore/aspirante scrittore come costruire un personaggio concreto devo io stesso essere concreto nei consigli, ti pare? Poi l’istinto può giocare un ruolo fondamentale. Oppure no. Magari tu sei uno scrittore che ha bisogno di vita vissuta per scrivere, qualcun altro invece inventa tutto progettando su carta. Anche in questo non esistono regole.

          Poi perché continui a citare i manuali di scrittura commentando il mio post? Io non sono un “manuale di scrittura”. Ciò che consiglio riguarda quello che più o meno ho visto funzionare/non funzionare con me. 🙂

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      • Tempo fa la Rowling se ne è uscita dicendo che Silente era gay (http://www.finzionimagazine.it/news/attualita-news/perche-silente-e-gay-jk-rowling-risponde-su-twitter/)
        Ora io non ho letto tutti gli Harry Potter, ma fin dove sono arrivato le inclinazioni sessuali di Albus non giocano un ruolo dominante. La domanda che mi posi quando lessi la notizia fu (ammettendo che la Rowling non abbia fatto la sparata per qualche titolo di giornale) se questo dato abbia in qualche modo (visto che l’autrice ne era a conoscenza e il lettore no) guidato il protagonista in alcune scelte o alcune azioni o alcuni comportamenti.

        Resta però un fatto, visto che di progettazione stiamo parlando: l’economia dell’insieme: se un elemento non rientra nella storia, e il suo influsso sul personaggio non ha nessuna implicazione nella storia, serve davvero conoscerlo?

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    • Forse McCarthy non si è chiesto quelle cose, ma appunto, come dice Salvatore, non possiamo saperlo. Sappiamo però dai suoi ricordi che era sposato, finché tutto non è andato a farsi benedire. Se la cava, certo, ma in quelle circostanze non può fare diversamente. Fa di tutto per salvare il figlio, quindi è un padre responsabile. Un altro lo avrebbe abbandonato o venduto.

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      • McCarthy ha uno stile molto asciutto, è nelle caratteristiche della sua scrittura fornire al lettore solo l’essenziale. Questo però non vuol dire che dietro non ci sia una costruzione accurata. Noi non lo vediamo, e forse McCarthy non ne ha bisogno perché alcuni riferimenti li ha “dentro di sé”; ma sarei pronto a scommettere che consciamente o inconsciamente tutti i grandi autori conoscono i propri personaggi più di quanto dicano al lettore.

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  5. Io a volte ci parlo con i miei personaggi anche perchè sono simpatici.
    Solo nell’ultimo personaggio creato per scrivere “Redenzione” cerco di non parlarci, anche perchè è un tipo, cinico, antipatico,violento e pericoloso, in poche parole meglio non averne a che fare.

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  6. Oggi è proprio giornata. Prima ascoltavo il video di Stefania che parlava esattamente di come raccontare senza spiegare. Ecco anche per i personaggi… Mi viene in mente Zafron e i suoi personaggi sfumati dove l’immaginazione del lettore gioca il suo ruolo migliore. E poi mi viene in mente mia figlia che cerca sempre l’antieroe perché più intrigante (comincio ad avere un certo prurito di preoccupazione a riguardo, ma è un altro discorso) e più interessante, ammette che le lascia più spazio per azione e originalità: in definitiva un cattivo ha sempre un asso nella manica.
    In effetti però un personaggio credibile dietro ha tutto questo lavoro che hai elencato, uno dei famosi lavori di preparazione che precedono la stesura del romanzo. Impegnativo non c’è dubbio, ma chiarisce le idee principalmente a chi scrive.

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    • In alcuni casi la progettazione non c’è affatto, perché quel personaggio è come se lo conoscessi benissimo e da sempre. Viene, come dicono Marco e Maurizio, spontaneo parlarne. Ma se così non è, meglio progettare basandosi su dati materiali.

      Quando da piccolo guardavo Tom & Jerry o Wile E. Coyote & Road Runner, io tifavo sempre per Tom e per Wile. Credo valga per tutti. Erano il prototipo dell’antieroe.

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  7. Ha una pagina Facebook, compra tre per due, che ne pensa del bosone? Chiaverebbe la Merkel, passa a Wind, si specchia nelle vetrine? Poi al capitolo due muore, la moglie lo cornifica, si scopre gay, l’offerta di 3 era più vantaggiosa…

    Perché costruire un personaggio quando puoi distruggerlo?

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  8. Io sono dell’idea che sapere il più possibile su un personaggio sia la strada migliore da percorrere. Ovviamente non va messo tutto quello che lo scrittore impara e definisce di quel personaggio all’interno della storia.

    Da lettori sappiamo che quello che ci attira maggiormente è la possibilità che si cela nel non-detto. Però in effetti non decidere niente niente, e scrivere solo di getto, può creare personaggi deboli, che lasciano il tempo che trovano.

    Per esempio l’altro giorno stavo rileggendo un capitolo di una raccolta di saggi di Umberto Eco, dove lo scrittore analizza il personaggio, il mondo narrativo e la struttura dei romanzi di Fleming. Un’analisi davvero interessante. Fa capire fino in fondo come siano stati selezionati determinati dettagli per creare il personaggio di James Bond, escludendo in modo netto e ragionato tutta una serie di altre possibilità.

    Bond, James Bond, sarebbe stato altrettanto credibile se lo scrittore si fosse limitato a descriverne l’aspetto fisico…?

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  9. Secondo me bisogna sapere tutto sui propri personaggi, tutto, ma raccontare solo lo stretto indispensabile, non c’è nulla di più noioso dello spiegone sulla triste infanzia del personaggio se non c’è bisogno che questa sia spiattellata. Se ha avuto una triste infanzia questa trasparirà e le reazioni del personaggi ci sembreranno tanto più vere tanto più l’autore è consapevole di lui. E la credibilità di un personaggio non ha molto a che vedere con la sua plausibilità. La credibilità dipende unicamente da quanto l’autore lo conosce e dal contesto in cui l’ha inserito, per cui Batman può essere perfettamente credibile se ben pensato e ben inserito nel suo contesto, anche se nella realtà non è plausibile. Del resto anche il mio plausibilissimo vicino di casa mal raccontato risulterebbe poco credibile.

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    • Sono perfettamente d’accordo. L’autore deve porsi ogni tipo di domanda sul proprio personaggio, poi filtra quelle utili, da inserire nel romanzo/racconto, e tiene da parte le altre. Anche se in realtà potremmo dire che tutte le informazioni sono utili, anche quelle inutili ai fini della trama; visto che comunque influiscono sulla “personalità” del personaggio e sulle sue scelte.

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  10. Non so proprio descrivere la mia personalità, come non so descrivere quella degli altri. Però sono d’accordo sul creare una scheda partendo da quei punti. Dico sempre che il passato del personaggio è importante. Negli ultimi due romanzi letti, sulla Seconda Guerra Mondiale, gli autori hanno parlato delle famiglie dei personaggi – in quei casi era necessario. Quindi quei personaggi erano ciò che erano in funzione di come avevano vissuto.

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  11. Grazie, Pietro. Alle tue vorrei aggiungere una mia osservazione, che forse non è passata in modo sufficientemente chiaro: un personaggio è credibile quando l’autore lo rende concreto. Per rendere concreto un personaggio esso deve assomigliare a un essere umano, cioè deve avere: un passato, delle ambizioni, delle relazioni, delle passioni, dei difetti e dei pregi. Il personaggio di suo è a tutti gli effetti un simulacro. Ora, per renderlo concreto, e quindi credibile, l’unica chance che l’autore ha è di conoscere del personaggio più informazioni possibili, comprese quelle che non entreranno nella narrazione perché non direttamente attinenti con la trama. Tutto qui. A presto.

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  12. Ciao Salvatore, scusa l’intrusione nel tuo blog (posso darti del tu? Del lei? Del… voi?)
    L’articolo è molto interessante e sono d’accordo al 100% con te e con Tenar. Tutto deve essere al servizio della trama, a mio avviso, inclusi i personaggi.

    Per es. se dovessi creare il protagonista per una storia di… “dimagrimento” (nuovo genere letterario!) probabilmente il nostro eroe dovrebbe essere grasso, pigro, ghiotto o con problemi alla tiroide (sì, magari 😛 ). Certo, potremmo fare che è di buon cuore ma segretamente innamorato di un’idea positiva di sé, oppure che è un feticista dei piedi, ma… perché? A noi serve solo un ciccione pigro, il resto sono note di colore a mio avviso senza senso e che anzi rischiano di deviare la direzione della storia o confondere il lettore. Ovviamente sto semplificando, ma è per rendere l’idea.

    E poi sono d’accordo sul fatto che l’autore debba sapere tutto sul personaggio e filtrare solo ciò che serve. Del resto, l’identità traspare automaticamente in base al modo in cui il personaggio reagisce agli eventi posti dalla storia e agisce per il raggiungimento dell’obiettivo del plot. Non bisogna forzare nulla, secondo me: se conosci l’individuo che stai muovendo, si comporterà di conseguenza senza il bisogno di spiegare o fare nulla di alieno alla trama.

    Molte persone pensano invece che si debba iniziare dai personaggi, sviscerarli su carta, porli in un contesto e farli muovere come pare a loro. La direzione che prenderà la trama dipenderà dallo sviluppo autonomo di quei personaggi. Un’idea assurda, secondo me, perché rischia di portare a una storia disomogenea, intermittente e priva di scopo.

    Ciao!

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    • Ciao Palombaro, benvenuto nel mio blog. Nessuna intrusione, mi fa piacere il tuo commento. Non saprei dire da cosa parta uno scrittore, se prima dal personaggio o dalla trama. Non credo esistano regole in tal senso. A volte osservi una persona sul tram, cominci a immaginare come debba essere la sua vita e finisci col ritrovarti per le mani una storia… Dipende, insomma. Le cose certe, però, sono due: l’autore deve conoscere bene i propri personaggi (meglio quelli principali, un po’ meno i gregari); l’autore deve inserire nella storia solo quelle informazioni che sono direttamente legate al procedere della trama. Le altre, tutte quelle informazioni che restano fuori, non sono inutili: influiscono comunque nelle azioni e nelle scelte del personaggio, che se si comporterà in un certo modo certamente ci sarà una ragione. Hai peraltro ragione ad affermare che il personaggio non dovrebbe divagare, bighellonando in giro per le pagine, ma attenersi strettamente alla trama. Questa relazione per me è ovvia, visto che la trama non è altro che la vita e l’agire del personaggio stesso posto in determinate situazioni.

      A proposito di dimagrimento, mi hai fatto venire in mente che molti anni fa scrissi questo racconto: Culo grasso.

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      • “A volte osservi una persona sul tram, cominci a immaginare come debba essere la sua vita e finisci col ritrovarti per le mani una storia… “
        Pensa che volevo scriverciuna raccolta di racconti 😛 (poi vince sempre la pigrezza 😀 )

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      • È proprio quello che intendo: basare la trama del proprio romanzo sul “bighellonaggio” esistenziale del protagonista per me non ha alcun senso. Ma quanto la trama plasma il personaggio, e quanto il personaggio plasma la trama?

        Ricollegandomi alla prima parte del tuo commento, secondo me dipende dal modo in cui si costruisce una storia: se hai una forte premessa e una forte idea di partenza, creerai il personaggio adatto a realizzarle. Al contrario, se l’idea di partenza è un personaggio che t’intriga particolarmente, dovrai costruire ostacoli e situazioni tali da permettergli di esprimersi e trasformarsi. Ma resta un punto: se parti dal personaggio, non hai un punto di arrivo in quanto t’interessa il personaggio così com’è.

        Culo grasso, un nome una garanzia! Lo leggerò il prima possibile 🙂

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        • “Ma quanto la trama plasma il personaggio, e quanto il personaggio plasma la trama?” – è un po’ la storia dell’uovo e della gallina: chi è nato prima? Un personaggio non fa una storia (infatti ne servono almeno due), ma una storia senza personaggi non può esiste. Alla fine anch’io penso che partire dal personaggio sia meno proficuo e più complicato. D’altra parte lo stesso King in On writing suggerisce di prendere un personaggio e porlo in una situazione “estrema” per vedere come reagisce, e da questo nasce la storia. Punti di vista…

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  13. ragazzi, suvvia… c’è gente che crede alla vita dopo la morte, agli alieni, all’autismo da vaccini, all’esistenza di dio, alla buona fede di Draghi, Monti o Junker, all’austerità espansiva, all’esistenza fisica di migliaia di parole astratte! alla luce di tutto ciò non dovrebbe essere difficile rendere “credibile” un personaggio.
    : ))))
    d’altro canto la selezione naturale nell’arco dei millenni ci ha portato fin qui: il cervello umano è *fatto* di parole (dovrebbe essere affidato al SERT) nonché evolutivamente predisposto a credere alle proprie e altrui narrazioni. se partendo da tali premesse finiamo per creare un personaggio “non credibile” è solo perché non sappiamo scrivere e trascrivere. più che il “chi è”, “cosa pensa” o “cosa fa” il personaggio, magari è più importante come lo racconto? dice il saggio: si può essere credibili mentendo, come pure dire la verità e non essere creduti. in proposito la legge di Parker (o qualcosa del genere) sentenzia che la credibilità non ha niente a che vedere con la verità, ma con l’essere persuasivi.
    : )

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    • In fondo è tutta retorica: è questo che stai suggerendo, giusto? Hai ragione: credibilità e verità non sono strettamente correlate. Il mio odiato mentore era solito dire: “Uno scrittore non dice la verità, parla della verità”. A volte mentire è il modo migliore per comunicare una verità difficile da trasmettere. Tuttavia, nonostante apprezzi il tuo commento, rendere il proprio personaggio – qualsiasi personaggio – credibile non pare essere una cosa semplice per la maggior parte degli (aspiranti) scrittori. Il motivo è semplice, che poi è il filo conduttore del mio post: per rendere un personaggio credibile, questo deve essere concreto. E come si rende concreto un personaggio? Rendendolo umano, cioè dotato di un passato, di alcune aspirazioni, di difetti e di pregi e una spruzzata di passioni, magari anche contraddittorie fra loro. A te sembrerà banale, a molti altri no. Io mi rivolgo a tutti. 😉

      Benvenuto nel mio blog.

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        • Credo tu abbia sbagliato commento a cui rispondere… XD

          … ad ogni modo: infatti entrambi parlano di solitudine. Ma, se non ricordo male, il Robinson di Cast Away si costruisce il suo “Venerdì” (mentre nel romanzo era un personaggio vero e proprio), Wilson; mentre in Moon a un certo punto il protagonista deve vedersela con i suoi cloni, e comunque c’è sempre il robottino che gli fa da domestico. Due personaggi in entrambi i casi… Almeno due personaggi.

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          • eh, ho fatto rispondi dalla mail, prenditela con wordpress 😛
            Io consideravo i cloni come stesso personaggio e una noce di cocco come una noce di cocco 😀 (non ho citato Robinson apposta per evitare lìobiezione su Venerdì anche se forse Defoe non gli attribuiva la dignità di personaggio)
            Comunque secondo me una storia con un solo personaggio è possibile (prendila come una sfida se vuoi 😛 )

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            • No, non lo è. Senza il personaggio di Venerdì o, se preferisci, di Wilson il film o il romanzo non sarebbero possibili: se devi parlare di solitudine devi prima mettere il personaggio in mezzo ad altri personaggi e poi isolarlo (o viceversa); infatti sia nel film che nel romanzo ci sono un mucchio di personaggi, se ci pensi bene. In Moon i cloni non possono essere lo stesso personaggio, poiché agiscono autonomamente e hanno obbiettivi diversi. E anche il robottino è un personaggio.

              La regola d’oro (e finora non mi pare sia mai stata smentita) è che per fare un romanzo (o un film) servono almeno due storie e almeno due personaggi.

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  14. @Salvatore che mi chiede “In fondo è tutta retorica: è questo che stai suggerendo, giusto?” beh, in realtà il mio commento era semi-serio (io sono semi-serio, siamo tutti semi, in famiglia).
    : )))
    comunque in parte dici bene: assai spesso il neuromarketing da “corso di scrittura” più o meno creativa finisce per suonarmi molto retorico. e se tieni conto che già in partenza io sono un po’ suonato di mio, ecco che la frittata è fatta.
    : )
    però voleva anche suggerire una cosa diversa e cioè che per un personaggio è più importante essere *affascinante* che credibile. i lettori, mediamente, si immedesimano benissimo in personaggi incredibili ma affascinanti (mentre, per contro, se ne sbattono dei personaggi credibili ma noiosi). in tal senso – ricorro a un paragone cinematografico – è più importante che dietro la telecamera ci sia Fellini piuttosto che la telecamera sia ultraHD o che si indaghi in modo preciso/documentaristico il mondo e il personaggio.
    “rendere umano” un personaggio (come giustamente scrivi) può sembrare importante, ma attenzione – dirò una cosa che può sembrare strana ma non lo è – qualunque personaggio che vive una storia è umano. quindi? quindi un buon personaggio *è* una storia originale raccontata in modo affascinante.
    un abbraccio e grazie per lo spunto di ulteriore riflessione.

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      • O almeno, dato che i miei personaggi sono quasi tutti storici, si tratta di raccogliere su di loro il maggior numero di informazioni possibili; dove non ce ne sono abbastanza, cerco di immaginarne di credibili. Per precisare il mio commento di sopra – scrivevo mentre stavo per uscire, scusa il ritardo nelle precisazioni – io tendo a dire al lettore almeno una parte di quelle informazioni proprio perché solo così si possono spiegare i pensieri che li hanno portati ad agire così: forse sono avvantaggiato dal conoscere più questi aspetti dei personaggi che il loro esatto carattere, quindi tendo a costruire quella parte sulle loro azioni e su eventuali frasi che so abbiano detto. Per esempio, il cap. E.J. Smith, che fu al comando del Titanic, aveva dichiarato, sei anni prima del tragico viaggio, che non poteva immaginare un incidente capace di far affondare una nave a fronte di tanto progresso nella cantieristica. Da una frase del genere si può dedurre molto.

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        • Secondo me, ma credo sia un suggerimento un po’ abusato, più che comunicare al lettore una parte di quelle informazioni essenziali che gli serviranno per inquadrare nel giusto modo l’atteggiamento del personaggio, è meglio mostrargliele. Nell’esempio da te fatto, per rimanere in tema, invece che giocarti quell’informazione in modo così poco efficiente è molto meglio inserirla all’interno di una scena e fargliela dire direttamente al personaggio. Lascia che siano i personaggi stessi a parlare per sé. Se poi non fosse possibile da un punto di vista cronologico, giusto per non ricorrere ogni minuto all’abusato flashback, fai in modo che sia un personaggio secondario a spifferare delle “maldicenze” sul capitano… 😉

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          • Effettivamente pensavo a qualcosa del genere – non sono ancora arrivato a inserire quell’informazione in particolare. In una parte del romanzo ho provato una forma mista: cioè magari il personaggio dice qualcosa di sé o di un altro ma, dato che coloro con cui parla conoscono già il contesto, non esplicita tutto; in quel caso la voce narrante aggiunge dell’altro senza dilungarsi troppo, altrimenti sembra un documentario. Secondo te può funzionare?

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  15. Bravo. Confesso di aver cominciato a leggere l’articolo con una vena polemica che covava in me. Quel discorso di lasciar perdere la personalità non mi andava proprio giù. Leggevo e pensavo: giusto, bisogna farle queste cose, bisogna sapere tutto di un personaggio, anche quelle cose che non diremo o faremo intendere mai, ma… cavolo alla fine la personalità è la cosa più importante. Poi sono arrivato in fondo e il discorso torna. Non volevi escluderla, solo dire che la personalità deve avere delle fondamenta e quelle fondamenta hai voluto descrivere. E sono con te. Unica nota, man mano che si acquista esperienza viene sempre più spesso, e con naturalezza, l’esigenza di scegliere prima alcuni tratti del personaggio, che riguardano proprio la personalità, e poi costruire tutto il resto tenendo conto di quella esigenza. Un processo un pochino più difficile e che è fatto di aggiustamenti, avanti e indietro, modificando in parte le cause e in parte gli effetti, per piegarli al nostro obiettivo.

    Poi capita pure che ci si innamori di un personaggio e lo si pensi al di là della storia. Io non sono molto bravo, credo, nel dare spessore ai personaggi, e tendo, un po’ per scelta, un po’ per preferenza, a lasciare un po’ di spazio all’immaginazione del lettore. Ma ultimamente mi trovo a coccolarmi un personaggio più di quanto abbia mai fatto, la sto vestendo di tutto punto, cose che come dicevo probabilmente non userò direttamente, ma che ai miei occhi la rendono sempre più concreta. Forse, tecnicamente, non la descriverò minuziosamente, ma so esattamente come è fatta, ogni singolo centimetro, ogni particolare, e quando finalmente ne scriverò non sarà impossibile farla trapelare, che la descriva o meno. E in questo caso anche la personalità, il carattere, gli umori, le pene, fanno parte integrante e anzi sono la cosa più importante da definire e ricordare.

    E, scherzando ma non troppo, se i personaggi non te li porti a letto qualche mese, vuol dire che non sei pronto a parlarne.

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    • Esatto: l’una è la conseguenza delle altre. I nostri personaggi nascono già “formati”, cioè come dei robot che non sono mai nati, cresciuti, ecc. come capita a ogni essere umano, ma quando entrano in scena sono già pienamente formati secondo la forma che devono avere per la storia. Ed esattamente come dei robot non possiedono alcun background pregresso su se stessi e il proprio mondo. Prova a immaginare un capitan uncino che è già nato capitan uncino: cos’ha da dire su se stesso o sul mondo? Nulla! Perché non ha vissuto; è già nato così. Questo è un errore imperdonabile. Un robot senza alcun file è un oggetto d’arredamento. Noi dobbiamo inserire quei file, anche quelli che non sono direttamene essenziali per la storia. Così da rendere il nostra manichino un perfetto simulacro dell’essere umano. E non fare l’errore di pensare che un personaggio con una forma diversa da quella umana, come ad esempio un robot o un dinosauro o un peluche, non abbia caratteristiche umane. Sono tutti dei simulacri umani, anche quando imitano qualcos’altro.

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