Il profumo della speranza

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Quando Dame Elisabeth Olsen avvertiva su di sé i morsi della fame, una nuova giovane creatura veniva introdotta nella sua cripta – così era arrivata a definire il luogo in cui viveva segregata. Non aveva idea di come lui conoscesse il momento esatto in cui l’appetenza faceva la sua puntuale comparsa. Ma che ci riuscisse era un fatto.

Erano sempre giovani donne appena sbocciate: forme già adulte ma ancora acerbe. Apparivano completamente denudate; forse infreddolite, spaventate… certamente tremanti. Poteva avvertire l’odore della loro paura dal sepolcro in cui studiava gli antichi tomi: una sensazione inebriante, che non faceva altro che aumentarne il desiderio. Col tempo aveva imparato a trattenersi, a ritardare l’inevitabile. Non si accontentava più di nutrirsi del loro sangue; svuotarle come otri un tempo zeppi di vita. Aveva imparato a giocarci.

Nella cripta era impossibile calcolare lo scorrere delle ore. Ogni secondo sembrava identico al successivo e al precedente. Che fuori fosse giorno o notte, in quel luogo non faceva alcuna differenza. Non c’erano finestre a cui affacciarsi né usci da attraversare. Era una scatola di archi acuti, mattoni umidi, soffitti a botte, pavimenti di pietra levigati dal tempo e dal frusciare dei corpi delle vittime nel vano tentativo di sgusciare via da lei. Lo scorrere del tempo era scandito da quell’unica apparizione. Da quel corpo vibrante che attendeva la propria fine nell’andito, una sorta di lungo colonnato che collegava l’ingresso ormai crollato alle due sale nell’estremità opposta. L’unico passatempo, a parte i libri, con cui riempire un’esistenza altrimenti vuota.

Così Dame Elisabeth Olsen aveva preso l’abitudine di considerare ogni nuovo pasto un nuovo giorno. Non sapeva cosa le facesse supporre che ciò avvenisse una sola volta nell’arco della giornata. Per quanto ne sapeva potevano tranquillamente essere due: pranzo e cena. Ma quando si nutriva, quando svuotava quelle fanciulle della loro linfa vitale, si sentiva sazia per molto, molto tempo. Questa era la sensazione, e come tale l’accoglieva. Poi però la fame faceva ritorno. Prepotente. Irresistibile. E una nuova giovane donna compariva nel complesso.

***

Le luci delle fiaccole danzavano come lingue lascive sul corpo della ragazza. Ne aveva avvertito l’odore prima ancora di vederla; un odore diverso dal consueto. La paura ha molte forme e, così, molti odori. In genere era aspro e pungente, di uva rancida e bacche selvatiche. Questo sapeva di cannella e biancospino. Se ne stava sdraiata sul pavimento. Il busto tenuto eretto da una mano pigiata contro il suolo. L’altro braccio schiacciato contro il petto. Non per nascondere la nudità; per difendere il cuore. Forse l’anima. Con occhi sgranati la ragazza guardava attorno a sé quel nuovo mondo che l’accoglieva in seno, lasciandola prostrata e indifesa.

È un po’ come nascere, pensò Dame Olsen. Nudi. Indifesi. E così le era venuta l’idea. Merito di quel pensiero penetrante che l’aveva colta di sorpresa. Un’intuizione fortunata.

Ricordò la sua prima volta. No, non la prima. Una delle prime. La fame era tale che si era lanciata fuori dalla stanza e poi nel corridoio come un lupo bramoso. Una furia che calava sull’agnello sacrificale senza lasciarle il tempo di capire. E così le volte successive. Due canini affilati che penetravano lì dove il caso li conduceva: il collo, l’interno di una coscia, il palmo della mano quando la giovane era abbastanza lesta da alzarla davanti a sé. Pochi battiti, uno scalciare confuso e poi il silenzio. Tutto finito. La solitudine.

«C’è qualcuno?»

Dame Elisabeth Olsen lasciò andare i pensieri e si concentrò sulla nuova venuta. Giovane. Attraente. Fatta di carne e sangue. Con un cuore che batteva nel petto. Un colpo alla volta, cauto, anziché mille furiosi. Una creatura diversa dalle altre.

«Non temere», si sentì pronunciare Dame Olsen, dall’estremità opposta dell’ambulacro, «va tutto bene».

Le ombre l’avvolgevano come un lenzuolo, nascondendola quasi completamente alla vista della ragazza. Di lei la giovane poteva percepire solo una forma vagamente umana e una voce femminile come miele filante. Il corridoio era illuminato da torce solo nella zona in cui venivano introdotte le giovani. All’estremità opposta, separata nell’ambiente solo da una serie di colonne e di archi, vi era la prima stanza, o meglio, lo studio: una libreria colma di volumi, un tavolaccio antico e uno scranno dallo schienale alto, un candelabro d’argento a tre braccia le cui candele bruciavano di una luce innaturale. Sulle pareti, per chi avesse avuto la vista e anche il coraggio per riuscire a notarlo, vi erano scolpite forme demoniache: demoni dal volto umano dotati di piccole corna e denti aguzzi.

«Dove ci troviamo?» chiese la giovane, con un tono più acuto. Il fatto di non essere sola in quel posto lugubre dovette darle un barlume di speranza.

«Shh. Va tutto bene», ripeté Dame Olsen, come se stesse parlando a un bimbo, mentre con passo calmo, quasi in processione, si avvicinava alla vittima. «Va tutto bene».

La fame, quel demone furioso che le vorticava nel ventre e le fremeva nelle vene, non aveva su di lei la stessa presa di una volta. Non avvertiva più la spinta famelica ad avventarsi sulla vittima. Lo teneva a bada adesso.

«Voi chi siete?» chiese la giovane. Un dubbio dovette attraversarle la mente.

«Chi?» disse la vampira. Mentre avanzava alzò una mano e la fece scorrere lungo la superficie dei mattoni. «Forse intendevi dire cosa». Le dita si tramutarono in artigli e la carezza divenne uno stridere di lame.

Come sempre, la giovane cominciò a ritrarsi: spingendo con i piedi e scivolando sulle terga. Le pulsazioni aumentarono. L’odore cambiò aroma: da dolce ad acidulo. Il respiro ora affannoso impedì alla ragazza di urlare. Fu un bene per l’udito incredibilmente sensibile di Dame Olsen. Tutti i suoi sensi erano acuti. Riusciva ad avvertire lo zampettare di uno scarafaggio a metri di distanza. Poteva focalizzare la vista su di esso anche al buio. Sentirne l’odore nauseabondo. E con un unico elegante movimento, raggiungerlo e pinzarlo con due dita fino a stritolarlo. Sapeva muoversi con estrema rapidità se lo desiderava.

Non era questo il caso. Continuò con passo lento ad avvicinarsi alla ragazza, pronunciando: «shhh».

La giovane aveva raggiunto la parete opposta. Vi stava schiacciata con la schiena. Le gambe raccolte contro il petto. Le braccia strette attorno a esse. Lacrime saline rigavano il bel volto latteo. Ma lo sguardo, sgranato e spaventato, restava fisso su quella forma vagamente umana che a passo lento osservava avvicinarsi. A quel punto tutte smettevano di guardare e piegavano il collo a lato. Poi strizzavano le palpebre nella speranza di far sparire l’incubo. Lei no; lei fissava il proprio carnefice. Senza sfida, ma con risolutezza.

Questo, a Dame Olsen, dovette sembrare così incredibile che volle chiederle: «Qual è il tuo nome?»

Nel tam tam crescente del cuore della giovane si poté udire un vuoto, come una pausa nel respiro di chi trattiene il fiato.

«Ha… Hannah», balbettò la ragazza, con un attimo di esitazione.

«Hannah», ripeté la vampira scandendo il nome con cura, come per assaggiarlo. «Sei ebrea, Hannah?»

«S-sì».

Dame Olsen annuì fra sé. «I nomi ci dicono molte cose. Lo sai cosa significa il tuo?»

La giovane scosse la testa. Non aveva anche la forza di parlare. Il fiato le si mozzava in gola.

«Quando un uomo e una donna finalmente mettono al mondo una figlia che tardava a presentarsi molto spesso la chiamano Anna, o Hannah se ebrei. Significa ‛grazia’, quella concessa loro da Dio per la benedizione della maternità. Ma Hannah significa anche ‛pietà’. La pietà di un dio capriccioso che, guardando alla miseria dei suoi figli, finalmente si rende conto di quanto crudele sia stato con loro. Hannah…» Dame Olsen si accovacciò accanto alla giovane. Allungò la mano, la stessa che poco prima aveva scalfito la superficie grezza dei mattoni, e le accarezzò con estrema delicatezza una guancia: gli artigli non c’erano più. Al loro posto, una mano fragile. Una mano piccola, di donna. Una mano giovane e delicata.

La ragazza sgranò gli occhi; questa volta per lo stupore. Quella che aveva davanti, a pochi centimetri da sé, che le sfiorava con garbo una guancia, era tutt’altro che una creatura mostruosa. Una giovane donna, ecco cos’era, poco più grande di lei. Forse ventenne. Nuda anch’essa. Bella. Delicata. Che le sorrideva senza malizia. Dopo lo spavento dovette sembrarle una cosa così straordinaria a vedersi che prese a singhiozzare.

«Shhh», fece Dame Olsen, «Non piangere. Vedi? Non ce n’è motivo». E continuò ad accarezzarla. Una guancia, una spalla, una coscia… «Non ce n’è motivo».

Poco alla volta la giovane si schiuse alla promessa di salvezza che quelle carezze portavano con sé. Dame Olsen l’aiutò ad alzarsi. Reggendola per un braccio la condusse nella seconda stanza: anch’essa separata dal resto del complesso solo da archi e colonne di mattoni. Vi si accedeva da un lato dell’ambulacro, proprio a fianco allo studio. Era un salotto arredato come un’antica magione aristocratica: un caminetto spento, di marmo non più bianco; divani e poltrone antichi; tappeti e arazzi sgualciti; tavolini a tre gambe e statuine di bronzo… tutto di un gusto così raffinato da sembrare fuori luogo in un ambiente come quello. L’unica illuminazione era una coppia di candelabri a dodici braccia piazzati agli angoli opposti della sala.

Dame Olsen condusse la giovane sul divano e l’aiutò ad accomodarsi, poi vi si sedette a fianco. Le teneva una mano nella propria; con l’altra le accarezzava il volto. «Giovane piccola Hannah», ripeteva. «Shhh», ripeteva. Alternandoli.

«Lo sai perché sei qui, Hannah?» chiese Dame Olsen, quando si furono sistemate.

Hannah dovette pensarci un secondo, perché tardò a fare di sì con la testa. Aveva deciso di fidarsi. Di essere sincera con quell’aristocratica così gentile.

Anche Dame Olsen annui, in risposta. «… e lo sai perché sei ancora viva?»

Esitante, la giovane rispose: «No».

«Il tuo odore».

La risposta dovette sembrale così stravagante che la giovane corrucciò la fronte. «Il mio odore?»

Dame Olsen annuì. «Posso avvertire gli odori più tenui, perfino quelli impalpabili delle emozioni», le spiegò. «Il tuo è diverso da quello di ogni altra creatura mi sia stata portata. Cannella e biancospino. Non è l’odore della paura».

«Che odore è?» chiese d’impulso la giovane.

Noce moscata.  Adesso avvertiva noce moscata. «Non lo so. Dovrai dirmelo tu».

«Io? E come? Non so nulla di odori…»

«Non serve. Mi basta che chiacchieriamo un po’».

Anice. Adesso era anice. Questo lo conosceva: dubbio, sfiducia, incredulità.

«Parlami della tua famiglia», l’invitò la vampira.

Cannella! L’odore che avvertiva adesso era di cannella, ma niente biancospino.

«Siamo contadini, mia signora».

«E dove vivete?»

«A Solovka, sulle rive del Tibisco».

«Quattro casupole tra la Slovacchia, l’Ungheria e la Romania immagino…»

«E l’Ucraina, mia signora».

«È già Ucraina?»

Hannah annuì.

Dame Olsen si strinse nelle spalle. «I confini cambiano spesso. La Transcarpazia è stata per lungo tempo parte del regno d’Ungheria, poi cecoslovacca, quindi rumena. Che adesso sia una regione dell’Ucraina non mi sorprende affatto».

«Sapete un sacco di cose».

Dame Olsen guardò istintivamente verso lo studio. «Ho molto tempo da dedicare alla lettura. E in quanti siete?»

Di nuovo cannella. Solo cannella.

«Cinque, mia signora. Io, il papà e la mamma, e i miei due fratelli: Aaron e David».

«Ti mancano molto?»

Cannella! Fortissimamente cannella, tanto da farla starnutire.

«Sì, molto…»

Di quel passo avrebbe impiegato una vita a scoprire ciò che voleva sapere. Allungò l’indice della mano libera trasformandolo in un artiglio ricurvo, che poggiò sullo zigomo della giovane. Poi prese a percorrerne i lineamenti, premendo quanto bastava per farne avvertire la presenza ma senza scalfire la pelle. Non avrebbe resistito all’odore del sangue.

Hannah trattenne il fiato. Lo sguardo si piegò a inquadrare l’artiglio sulla propria mascella. Un paio di battiti più veloci. Ma si trattenne dall’esternare il proprio timore. L’odore di valeriana riempì le narici della vampira.

«Sei molto graziosa», disse allora Dame Olsen. Avvicinò le labbra a quelle carnose della giovane. Le sfiorò appena.

Violetta: curiosità, sorpresa.

Quindi tornò a premerle con maggiore intensità, e con pressione crescente le strappò un bacio appassionato.

Chiodi di garofano.

Allontanò il volto da quello della giovane e si sistemò meglio sul divano. Le lasciò andare anche la mano.

Lavanda: sollievo.

Prese a battere gli artigli sul telaio di legno del divano. «Sono ancora vivi?» le chiese di getto, cambiando completamente tono.

Hannah spalancò gli occhi. «Come?»

«Quando lui è venuto a prenderti. Li ha uccisi?»

Cannella e timo, con una punta di valeriana.

«Era notte, mia signora. Dormivano…»

«E lui? Com’è?»

Un odore così intenso di alghe e uova marce da lasciarla senza fiato.

«Spaventoso…»

Dame Olsen sbuffò d’impazienza. «Cosa devo fare con te?»

Biancospino.

«Vorrei tornare a casa…»

«Non puoi…»

Cipresso.

«… ma potresti restare qui con me».

Anice e valeriana.

Il volto di Hannah si aprì in un sorriso tirato. Lo sguardo saettava per la stanza.

«Lui…»

Alghe marce.

«Non preoccuparti di lui».

Biancospino.

«Non ci farà del male?»

«No».

Cannella e biancospino. Finalmente.

***

Il corpo della giovane giaceva ancora sul divano quando un’ombra si allungò nella sala e sopra di esso.

«Da quanto tempo sono qui?» chiese Dame Olsen mentre accarezzava quel giovane corpo ormai privo di vita.

«A sufficienza», rispose l’ombra.

Dame Olsen si voltò a osservarlo. Aveva una forma vagamente umana ma indefinita. Incorporea. Solo un’ombra. «Quanto tempo dovrò ancora restarci?»

«Sei pronta, adesso».

«Anch’io…» chiese, tornando a guardare il giovane corpo, «… ero come lei?»

L’ombra non rispose.

Mentre lasciava le spoglie ormai vuote del sepolcro, innalzandosi al di sopra dei mattoni umidi, degli archi acuti, dei soffitti a botte, trasportata dal suo padrone, le sue narici avvertirono nell’aria un delicato aroma di cannella e biancospino. Spinse lo sguardo verso il basso. Il corpo della giovane non era più steso sul divano. Se ne stava in piedi adesso, e fissava loro: un’ombra infilarsi come nero fumo negli interstizi del soffitto.

 

31 Comments on “Il profumo della speranza”

  1. Eccofinalmente il frutto di quella piccola consulenza linguistica 😉
    Ti sei dato al gotico?
    Ecco, forse lo si potrebbe spogliare un po’ di qualche piccolo stereotipo fantasy…
    Certo che lei potevi chiamarla Herzogin Katarina von Schwarzblut 😉

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    • In questo caso gli stereotipi sono voluti e necessari. Gli stereotipi permettono al lettore di muoversi con agio in un universo che conosce, come un paio di scarpe che indossi ormai da anni e che per questo hanno preso la forma dei tuoi piedi. Questo mi permette di introdurre qualcosa di nuovo, come ad esempio gli odori, senza fare giri troppo lunghi per spiegare al lettore in quale “universo” si trovi. Naturalmente questo discorso vale per i racconti da blog; ché se dovessimo invece scrivere romanzi, sull’opportunità di adoperare stereotipi ci rifletterei più a lungo.

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      • A livello generale ti do ragione, a livello personale sono alla ricerca di autori di genere che lascino da parte gli stereotipi di genere, mi piacerebbe tanto leggere un romanzo, ma anche solo un racconto, di fantascienza scritto come se “non fosse fantascienza”. Temo però che piacerebbe solo a me e che fallirebbe sul mercato 😀

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        • Probabilmente ne hai letta talmente tanta che adesso ti dà noia e genera frustrazione, quando invece chi legge narrativa fantastica è solitamente in cerca di “novità”, vuole essere stupito. E’ successo anche a me col fantasy, che non leggo più da molti anni. Prova a cambiare genere.

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  2. Oddio! Che onore che ho avuto. Curioso racconto.
    Sento odore di osare e di rinascita sa di…lillà. Un odore che mi evoca l’infanzia.

    La cannella l’associo a mia madre. Da piccola la annusavo di nascosto trovandola nel mobiletto in cucina. Non mi ricordo per cosa la usasse.
    Ogni profumo lo associamo a qualcuno o a una situazione. Un maglione dove c’è l’odore di una persona, una fraganza specifica ha potere su di noi. Di ricordi, di odori delle persone. Pensa a quello della pelle di un’altra persona. Un istinto animale che abbiamo.

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    • Vero! Tutte le mamme dicono di aver trovato sublime il profumo della pelle del proprio neonato, ci sono dietro milioni di anni di evoluzione. Dicono che le storie vanno incentrate su temi universali per avere successo, ecco che Salvatore ce ne ha dato un esempio. 🙂

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      • La pelle dei miei figli la sento di borotalco anche se neppure l’ho usato più di tanto.
        L’altro giorno volevo scrivere un racconto con questo titolo, quindi questo post mi cade a fagiuolo:
        Di che odore sa la pelle?

        Poi lo farò. Ora sono un filino occupata con altri progetti.

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  3. Molto bello. Non è da tutti scrivere per la prima volta in un genere e produrre un racconto così, guizzante e oscuro dall’inizio fino all’ultima parola. Io poi sono un appassionato di profumi, l’idea è grandiosa.

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    • Io ho accontano un progetto in cui la storia era incentrata in un determinato luogo e le spezie erano un tema importante. Ho smosso mari e monti per sapere su quel luogo che riveste notevole importanza visto che le spezie sono una risorsa lì, ma soprattutto non conoscendo nello specifico non saprei come mettere quei prodotti e avere tutta l’idea completa della storia. Mi sono arenata o inebriata dal profumo di quel posto, prima di poterlo annusare personalmente.

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      • A volte leggendo, mi immedesimo così tanto da avere allucinazioni odorose, il mio cervello produce la sensazione che sento quando quell’odore lo percepisco davvero. Sarò malato ma mi piace un sacco.

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  4. Allucinazioni odorose devi scriverlo assolutamente. Mi piace troppo queste visione legata alla vista (allucinazioni) e all’olfatto (odorose).
    Appropriati di questo titolo prima che te lo rubino. In giro c’è gente senza idee.
    Hai un esempio di un libro che ti ha provocato questa sensazione che non bizzarra.
    Anche nel racconto di Salvatore mi pareva di sentire quei profumi elencati.
    Altra curiosità e poi non rompo più, giuro.
    Appassionato di profumi in che senso? Mi riallaccio al tuo commento precedente, se non sono invadente.

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    • Un libro che mi ha intrigato è stato “Il profumo” di Suskind. È di qualche anno fa, non mi ha entusiasmato la scrittura e la versione italiana ha qualche refuso di troppo, ma su odori e profumi è quello che è arrivato più in là, l’idea di fondo non era male.
      Appassionato di profumi non nel senso delle fragranze commerciali, ma dei profumi naturali. Non ho un naso assoluto ma poco ci manca, li sento da decine di metri. 🙂
      Tornando a quelli commerciali, ci ho messo anni a scegliere il profumo per me. Adesso lo faccio arrivare direttamente dalla Francia. 🙂

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      • Grazie. La mia invadenza è terribile, ma se ho una curiosità devo chiedere sennò mi rimane il dubbio.
        Il profumo o aroma, forse è più appropriato, è legato anche al cibo o alle bevande. Annusiamo il caffè o un dolce prima di portarlo alla bocca.
        I profumi è un tema ampio.
        Hai un olfatto da cercatore di tartufi o da sommelier. Senza offesa. Non ti sto dando del “cane”. Ma da come dici hai un olfatto sviluppato.

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  5. Non è il mio gener preferito e dunque non posso fare paragoni, ma salgono le emozioni e la curiosità leggendo. Resta originale l’uso dei profumi associato alle azioni e anche piuttosto delicato ciò che in realtà poteva essere grottesco e violento. Direi che l’unica cosa che non mi piace è l’immagine sanguinolenta in copertina, ma se deve catturare l’attenzione…

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  6. Ah, io ci sguazzo benissimo in questo genere. Nonostante prediligo i vampiri vegetariani, dato che rimango sempre una ribelle rispetto agli stereotipi e alle leggende.
    Ma…la protagonista è parente delle famose gemelle Olsen? O stavi già pensando al casting? 😀
    Per quanto riguarda i profumi, un bel libro (però genere romance) è “Il sentiero dei profumi” di Cristina Caboni, dove però il principio è inverso: i profumi generano emozioni sulle persone che li indossano.

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  7. Un bellissimo racconto dal sapore noir e gotico. Leggendo questo racconto mi sono venuti in mente “Il Castello di Otranto” di Horace Walpole per il suo aspetto gotico e tanti romanzi thriller ambientati in sotterranei e catacombe, ultimo in ordine di lettura “Il collezionista di quadri perduti” di Fabio Delizzos, edito dalla Newton Compton. Per la questione dedli odori e dei profumi il film “Profumo. Storia di un assassino” del regista Tom Tikwer, trasposizione cinematografica del romanzo “Il profumo” di Patrick Suskind che non ho letto. Ancora complimenti: è stata una bella lettura.

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  8. Bel racconto, i vampiri hanno sempre un certo fascino maledetto. Gli odori possono trasmettere emozioni, ricordi, sogni, io li trovo davvero molto importanti.

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  9. Bello e interessante. Se ho ben capito il finale – i tuoi sono sempre meravigliosamente misteriosi e ambigui, il che è tutto valore aggiunto – c’è stata una specie di sostituzione; ma dove andrà la vampira rimane avvolto nell’oscurità che domina la cripta.

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