Realtà Vs Interpretazione

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La lastra di ghiaccio kantiana

Una delle domande fondamentali che da sempre l’uomo si pone è: «Cosa possiamo conoscere veramente?» Potremmo quasi riassumere l’intera storia dell’umanità in una valutazione, via via cangiante nel corso dei secoli, del rapporto tra essa e la Verità. Cos’è allora la verità? Per alcuni, una cosa che non esiste. Ognuno ha le proprie verità – plurale; alcune perfino in contraddizione fra loro: questo è il nostro secolo. Per altri la verità è trascendenza, è rapporto con Dio che la detiene; in quanto tale, la verità non è alla portata dell’uomo e solo Dio, il nostro rapporto con Lui, se ne può fare garante. Per altri ancora la verità sta in provetta. Essa è il frutto di congetture elaborate e poi verificate sperimentalmente. Anche questa idea ha stimolato, e ancora stimola, il pensiero dell’uomo moderno. Parlando di noi contemporanei, abbiamo due tipi diversi di verità: quella inoppugnabile che ci deriva dalla scienza; quella mutevole della quotidianità, in cui tutto è vero e quindi nulla lo è.

Torniamo però alla questione principale: cosa possiamo conoscere veramente? Cos’è così tangibile da rappresentare esso stesso una prova inoppugnabile della realtà? Se tutto è interpretabile, come facciamo a distinguere la realtà dalla sua interpretazione? Ebbene, una delle prime cose che in genere si fanno per dipanare questa matassa particolarmente aggrovigliata è distinguere tra essere e conoscere: se una cosa non la conosciamo o non abbiamo i concetti per elaborarla esiste comunque oppure no? Per essere più chiari: tutto ciò che non rientra nella sfera conoscitiva dell’uomo esiste lo stesso oppure a esso è preclusa l’esistenza? Provo a essere ancora più chiaro: in un mondo in cui ancora non si è stati sulla luna, in cui non si è ancora avuto modo di osservare il nostro satellite anche solo con un cannocchiale, che su questo oggetto ci siano montagne alte 4000 metri è una realtà indipendente dalla nostra osservazione, dalla nostra conoscenza e dalla nostra capacità di concettualizzare i termini luna montagna e metri oppure no? Queste montagne, anche se non sappiamo nulla della loro esistenza, esistono o non esistono? A istinto ci verrebbe da dire: «Sì, certo». In fondo chissà quanti oggetti ci sono lassù, nel cielo, che non conosciamo e che eppure esistono comunque. Ma quando questa consapevolezza la mettiamo alla prova della quotidianità, allora le cose cambiano. Per noi contemporanei solo la scienza ci può dire se sulla luna ci siano o meno delle montagne alte 4000 metri; tutto ciò che la scienza non ci può dire, semplicemente non esiste: non ancora almeno. Questa è la variante numero uno; poi c’è la numero due: che sulla luna esistano o meno montagne alte 4000 metri l’unica cosa che importa, e quindi l’unica verità, è quanto questo influenzi la nostra sfera di consapevolezza: non molto in effetti.

Viviamo una realtà contraddittoria. In cui perfino il bene e il male non si riconoscono più. Chi è il male, l’uomo che entra in casa tua per rapinarti o tu che ti difendi con “successo”? Al riguardo abbiamo le idee confuse. Da un lato questo è un bene, ché la rigidità di certa educazione ha fatto più danni che altro; ma da un altro lato… ciò ci rende incerti perfino sulla nostra stessa identità: chi siamo noi? E possibile dare una definizione univoca e precisa di noi? Nel postmoderno tutto muta continuamente, perfino la nostra identità. Seguiamo le mode per averla un’identità, ma l’unica verità è che ogni giorno sia diverso da quello precedente e da quello successivo. Mutiamo come mutano le mode; le mode mutano come mutiamo noi. E non per seguire il flusso delle stagioni – altrimenti non mi spiegherei certi capi portati in pieno inverno – ma al di fuori di qualsiasi ciclo razionale perché, se tutto è vero nulla lo è, per cui posso andarmene in giro in bermuda a gennaio senza che nessuno possa muovermi alcuna critica, anche solo di stupidità.

Stiamo vivendo? stiamo sognando? cos’è la realtà? esiste la realtà? e come facciamo a provarlo, che esiste? Magari stiamo tutti quanti sognando per produrre energia elettrica per una razza aliena che ci ha sconfitti e conquistati… (Matrix). Magari la vita, così come la conosciamo noi, è solo una rappresentazione teatrale di un essere superiore; noi siamo le marionette (Theatrum Orbis Terrarum). Come facciamo a sapere se quello che stiamo toccando è reale? Domande che mettono i brividi…

La lastra di ghiaccio di Kant – il quale non ha mai parlato di una lastra di ghiaccio, ci tengo a precisarlo – ci viene in soccorso. Per Kant la verità, cioè la nostra conoscenza di essa e quindi della realtà, dipende dai «nostri schemi concettuali» (semplifico). Possiamo conoscere solo quello che possiamo concettualizzare. Tanto che «le intuizioni senza concetti sono cieche». Per Kant, per avere una qualsiasi esperienza serve un concetto. La domanda che allora ci poniamo è: «Se non possedessimo il concetto di “scivolare su una lastra di ghiaccio”, scivoleremmo comunque su di essa oppure no?» Questo marca quella sottile linea che separa la realtà dalla sua interpretazione.

Se Kant avesse ragione, allora la realtà può essere costruita. Ciò spiega concetti postmoderni quali le convinzioni che ci permettono di essere qualunque cosa si voglia. Domani ti svegli e, se vuoi essere uno scrittore, voilà… sei uno scrittore. Ma perché non un astronauta, allora? o un parroco? un cavaliere medievale, una renna o Napoleone? Non è tutto pazzesco? Qual è la soluzione a tutto questo? Non lo so, ma credo che cominciare a distinguere cosa sia reale da cosa una sua interpretazione sia il primo passo nella direzione di un generale sanaménto.

E voi, cari follower, cosa vorreste essere domani?

78 Comments on “Realtà Vs Interpretazione”

  1. Troppe domande. Ma che hai mangiato pane e Marzullo?
    Kant, che ricordi di filosofia. Credo di aver sfinito la professoressa. Non la capivo filosofia. Poi con il tempo impari a capirla.
    Io sono meno filosofa e più pratica alla mia età. Conosciamo ciò che studiamo. Siamo ciò che costruiamo. Costruiamo con ciò che studiamo. Domani vorrei essere migliore.

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  2. Sto scegliendo una delle possibilità di essere. Quella di andare sulla Luna pur non essendo astronauta e pur non avendo modo di usare un astronave.Ma l’immaginazione mi porta lì e oltre.Dalla Luna scrivo,dipingo,coloro costellazioni.Poi,balzo sulla Terra con un salto solo.Posso.E’ realtà,in questa mente tutto è vero.Pensa provo anche l’emozione di felicità estrema e la paura del salto. Sento sempre più vicina la forza di gravità della Terra.Ora sono qui,a scriverti.Questa è la mia realtà.

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      • Grazie. La mia è immaginazione,si, ma è la mia interpretazione della realtà. Non me lo so spiegare meglio se non con una semplice frase…Immagino ed è realtà.Non immagino ed è realtà.

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        • Capisco quello che intendi ma non credo che tu viva davvero in una realtà immaginaria, anche se ti immedesimi. Una cosa del genere sarebbe da manicomio. Qui invece parliamo di una cosa diversa: parliamo di quell’interpretazione della realtà che porta agli estremismi, alle guerre sante, alle jihad (ma per stare più terra terra, ai cagnolini col cappottino e ai tuttologi da social).

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  3. Il problema, caro Anfuso, è che è impossibile un pensiero inluminista dopo Heisemberg, dopo cioè che la scienza ha abdicato al suo ruolo di darci tutte le risposte, affermando, anzi, dimostrando scientificamente e matematicamente, che certe risposte proprio non le si possono trovare, che certi problemi proprio non si possono risolvere, che per quanto ci sforziamo la realtà, la verità, se vuoi, non la potremo mai conoscere fino in fondo, anzi, più ci sforziamo di misurarla più la aleriamo rendendo la misura stessa vana.
    Non sarebbe forse meglio, quindi, rinunciare alla verità e accontentarsi del tangibile?

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  4. Penso che il problema di fondo sia la convivenza di realtà e interpretazione. Perché, in realtà (!), la realtà è mutevole oltre che soggettiva e ogni volta che siamo giunti a darne un’interpretazione essa è già mutata e la nostra interpretazione diventa parziale.
    Non c’è soluzione o, forse, l’unica soluzione è accettare la limitatezza di ogni teoria e l’impossibilità a conoscere fino in fondo la realtà. Ma tutto ciò alla fine è anche un bel vantaggio, perché ci porta alla continua riscoperta. Altrimenti dopo millenni di storia sapremmo già tutto e non avremmo motivo di esistere.
    Infatti il mio motto è proprio: dubito ergo sum.

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    • Il problema di fondo è distinguere la realtà dall’interpretazione. C’è la realtà che, anche se mutevole, è bella solida: lì, davanti a noi. E poi c’è l’interpretazione, che cambia come cambia il vento, le stagioni, l’opinione su facebook. Come si fanno a distinguere? Be’ un tempo a porre una domanda del genere la gente avrebbe seriamente preso in considerazione l’opportunità di un internamento. La realtà è la realtà. Ma oggi è diverso…

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  5. In tutto questo bel intreccio di discorso manca solo una cosa. L’uomo ha inventato il linguaggio e dato un nome a tutto, convinto che conoscere risolvesse… Ora con la fisica quantistica si è pure accorto di modificare la realtà. La percezione a pancia è l’unica che non sbaglia, ma sempre di meno se ne fa esercizio.

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  6. In campo letterario lo scrittore sfugge alla realtà per addentrarsi nella “realtà” che sta creando. Se vuoi anche per sfuggire alla sua di “realtà”. Presumo. Non sono una scrittice, posso solo immaginare che sia così.

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    • No, è una cosa diversa. In campo letterario lo scrittore inventa di proposito una bella menzogna (la storia) per parlare di una verità altrimenti difficile da raggiungere. Ma è un altro campo.

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      • Mentre scrive – lo scrittore- secondo me- sfugge dalla realtà e crea una nuova storia. Inventa, certo. Ecco perché non è reale, a meno che non si tratta di una storia reale. Ci ho pensato a volte a raccontare qualcosa di vissuto realmente. Poi mi blocco.

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  7. La realtà probabilmente esiste e forse è inconoscibile. Può esserci una descrizione condivisa della realtà e basata su prove e indizi. Il fatto che la scienza dica che alcune risposte non si possono trovare non implica che tutte le risposte siano false. Ma la mia mente è di stampo post illuminista e forse anche per questo non esisto.

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    • Cara Antonella, il tuo blog continua a mangiarsi i miei commenti. Ne ho appena inserito uno ma di esso non c’è alcuna traccia. È questa, pur in mancanza di prove, è una dannatissima realtà! è_é

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    • Come dice il saggio: la risposta è dentro di te ma è quella sbagliata.
      A parte gli scherzi la scienza non da risposte false, ma può dare solo risposte parziali (questo è ciò che ci ha detto Heisenberg) e che se ieri un tale Newton ha messo insieme una teoria matematicamente perfetta oggi arriva un certo Einstein che ti dice che sì, quella teoria va bene, ma solo se resti a velocità relativamente basse, perchè se ti avvicini alla velocità della luce cambia tutto e non è detto che domani non arrivi qualcuno che ribalti di nuovo le carte in tavola. Non possiamo che essee post illuministi, la scienza non ha tutte le risposte, l’unica cosa che ci fornisce è il metodo.

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  8. Secondo me siamo tutti dentro al nostro personalissimo “The Truman show” e a decidere come farci interpretare e vivere la realtà sono cinque o sei uomini potenti, che nessuno conoscerà mai e che indirizzano le vite delle formiche come noi.

    Qualcuno ci vuol scrivere un romanzo? 😉

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  9. Scrive Antonino Poppi, professore ordinario di filosofia morale nell’università di Padova nel libro “La verità” (casa editrice La Scuola): “Un discorso sulla verità è risultato sempre difficile a motivo dei suoi incerti confini, dovuti alla quasi infinita polisemia del termine, per cui ogni epoca, ogni sistema filosofico, e al limite ogni testa, come si usa dire, ne hanno fornito un proprio concetto, una propria versione. La nozione tradizionale vede la verità come adeguazione, o conformità, dell’intelligenza alla realtà obiettiva delle cose. In tale rapporto è implicata l’essenza stessa della verità, di cui conviene porre in evidenza le condizioni di possibilità: l’intelligibilità dell’essere e l’intenzionalità della ragione. La diversa intelligenza o connotazione semantica dei due termini di questa sua struttura relazionale (intellectus et res), il prevalere di uno sull’altro fino a una reciproca inclusione o esclusione, la loro messa in crisi sino alla totale negazione hanno segnato il percorso sinuoso della verità da Parmenide ai nostri giorni”. E ancora: “Parlare oggi della verità appare un discorso obsoleto, fuori stagione, che suscita nell’interlocutore un sentimento immediato di difesa come dinanzi a qualcosa che sa di dogmatico e di repressivo, oppure il proverbiale atteggiamento pilatesco di scetticismo e di commiserazione; insomma, il solo nome della verità sembra inquietare lo spirito dei contemporanei, sollevando echi di diffidenza o di disperazione”.

    Caro Salvatore, complimenti per l’articolo. Quando l’ho letto ho subito pensato ai miei studi filosofici (ai tempi dell’università quando ero giovane). Ricordavo perfettamente di avere un libro tra la mia biblioteca sul tema della verità e ho voluto condividere con te e i tuoi lettori qualche brevissimo stralcio. Non me ne abbiate. Buona ricerca a tutti.

    Che cosa si potrebbe pensare di più naturale per l’uomo che una ricerca appassionata del vero?

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    • E’ un po’ come per il discorso sulla bellezza che facevamo qualche post fa: impossibile definire con precisione assoluta. Grazie per aver condiviso con noi, Giuseppe. 🙂

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  10. Filosofico discorso: la verità esiste o non esiste, ma se esiste è reale o è interpretata?
    Essere o non essere? Si chiedeva Amleto. Avere o essere? Si chiedeva Erich Fromm (libro prestato, mai più ritornato). Giusto ma la domanda era: cosa vorrei essere domani? Vorrei essere una che vive di rendita per poter essere quello che mi pare secondo la mia verità 🙂

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  11. Forse l’uomo non è fatto per conoscere la verità, ma per interpretarla, limitatamente alla propria realtà e perfino alla propria immaginazione che, per quanto fervida, non conduce a tutte le risposte e nemmeno a tutte le domande. È bellissimo, però, essere sempre curiosi.

    Domani vorrei essere tante cose, quando (e se) riuscirò a diventarne almeno una, ve lo racconterò 🙂

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  12. Guarda, personalmente credo che la vita sia già abbastanza complicata essendo ognuno sé e null’altro da sé, come impone il principio d’identità aristotelico; a parte questo, siamo di fronte ad un problema affascinante, di quelli che possono condurre alla pazzia. Il primo che si pose il problema fu Cartesio, che si costrinse a dimostrare l’esistenza reale di tutto a partire da sé stesso, la sola cosa di cui potesse essere certo. A quel punto comincia la lotta tra empiristi da una parte – non si può sapere nulla se non l’esperienza, ma essa è mutevole, ergo non si può sapere nulla – e razionalisti dall’altra – la ragione e la scienza permettono di conoscere tutto. Poi arriva Kant, che come hai detto escogita la soluzione di mediazione tra i fenomeni che possiamo conoscere e “la cosa in sé” che ci è preclusa.
    Noi, secondo me, non siamo ad una nuova frontiera della riflessione filosofica: semplicemente non abbiamo niente da fare, come Cartesio ai suoi tempi. 😉

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