Post postmodernismo

emigrante

Uno spettro si aggira per l’Europa

– Ogni decostruzione senza ricostruzione è irresponsabilità

M. Ferraris

Ho passato gran parte della mia adolescenza in un luogo che io stesso avevo inventato. Era un posto bellissimo, in cui mi rifugiavo per sfuggire a una realtà con cui non riuscivo a confrontarmi. La mia, come tutte le infanzie, è stata piena di cose belle e di cose brutte; un’infanzia nella media per chi è nato in una famiglia proletaria del meridione immigrata — ben prima della mia nascita — al nord. Ed è da questa realtà che ho continuato a fuggire per gran parte della vita: a volte negandola, altre respingendola. Ma nessun luogo inventato riesce davvero a custodirti. Prima o poi è nella realtà che devi tornare, anche solo per fare quelle cose quotidiane, per soddisfare quei bisogni primari, a cui non puoi sottrarti se vuoi anche solo sopravvivere. Scegliere la realtà e affrontarla ha rappresentato per me proprio questo: la differenza tra sopravvivere — condizione relegata all’illusione — e vivere davvero.

Allo stesso modo, per difendersi dal proprio passato e per una diffusa sfiducia verso la ‘verità’, l’Europa ha cominciato a manipolare la propria realtà; e tutti noi abbiamo preso parte a un gioco sociale di cui non sono sicuro vorremmo davvero protrarre ancora a lungo le conseguenze. Il confronto con la realtà è difficile, ché la realtà su questo pianeta è per sua definizione crudele; ma necessario per ‘esistere’ anziché limitarsi a ‘esserci’. Questo gioco, questa realtà manipolata, si chiama postmoderno, i cui due dogmi sono:

«[…] che tutta la realtà sia socialmente costruita e infinitamente manipolabile, e che la verità sia una nozione inutile perché la solidarietà è più importante dell’oggettività».[1]

Ogni volta che a una serata con gli amici scegliamo la connessione social noi stiamo preferendo l’illusione alla realtà. Poco male, non è un gran danno; e anche gli amici virtuali possono essere amici veri. Più grave, invece, è continuare quel sottile gioco di illusione, nascondersi dietro quel trasparente velo di apparenza, che distingue la realtà cruda — e le decisioni difficili a cui essa ci pone — dalla finzione che la realtà sia da noi manipolabile[2]. Nessuno ha il controllo su niente.

I confini di questa realtà posticcia sono definiti da quell’idea secondo cui ai fatti si sostituiscono le interpretazioni. Non è solo una questione di prospettiva — o di soggettivismo: «il ‘soggetto’ non è niente di dato, è solo qualcosa di aggiunto con l’immaginazione»[3] — ma di bisogni, poiché sono proprio essi a interpretare il nostro mondo. L’illusione, la finzione, è creata dalla necessità. Questo per dire che il postmodernismo non è follia; esso risponde a una esigenza.

Che benefici ci porta negare la realtà? Beh, molti. Primo fra tutti quello di poterne costruire una giusta per noi, a nostra misura. Ma poiché è per noi che è costruita la realtà inventata, essa ha una validità circoscritta e limitata. Ognuno di noi sta vivendo entro confini onirici da cui non riusciamo a risvegliarci. E benché il sogno sia una condizione essenziale per l’uomo e la sua sopravvivenza, non poterne traghettare nella realtà le speranze trasforma questo velo di finzione in qualcosa di più simile a un incubo.

Che vantaggi ci porta accettare la realtà? Per quanto zeppa di problemi da affrontare da cui nessuna bacchetta magica può sostituirci, la realtà è il luogo in cui in questa vita siamo destinati. Esistere non significa semplicemente esserci, ma contribuire alla realtà stessa: farne parte. E per quanto i doni della fantasticazione siano immensamente allettanti, essi sono per loro stessa natura irreali, fittizi, inconsistenti. Alla fine della vostra vita che significato vorreste fosse dato alla vostra esistenza? Questa è essa stessa un’interpretazione. Poiché preoccuparsi di cosa apparirà è esattamente il preferire l’illusione dell’apparenza ai fatti che siamo realmente riusciti a concretizzare.

Cos’è la realtà? Definirla è più difficile che viverci. Nasciamo nella realtà ma passiamo il resto della vita a comprenderla. L’immagine più semplice che la mia mente limitata è riuscita a escogitare per farmene definire anche solo dei confini labili è questa: un bicchiere con dell’acqua può essere interpretato, a seconda del soggetto, come mezzo pieno o mezzo vuoto; ma nella realtà esso rimane comunque un bicchiere con dentro dell’acqua. Ecco, secondo le mie facoltà limitate, la differenza tra la realtà e l’illusione.

Accettare la realtà, per me, significa riscoprire le proprie radici. Tornare indietro e non limitarsi a interpretare il passato, che come ogni illusione può essere percepito come ‘bello’ o ‘brutto’, ma riscoprirlo con occhi nuovi; gli occhi di un neonato che guarda per la prima volta. Un neonato (a differenza del fanciullo o bambino) non si illude riguardo alla realtà, perché la sua necessità è di conoscerla[4]. Prima dell’interpretazione viene la conoscenza, e non parlo della conoscenza intesa in senso elitario; la conoscenza empirica, che si tocca con mano.

A tentoni dobbiamo tornare al nostro passato e riscoprirlo. Solo così potremo tentare di giudicarlo e di giudicarci fuori dal velo di interpretazioni che ne hanno dato coloro la cui esigenza era quella di fuggirne. Stare nella realtà significa essere presenti e non aver timore di affrontarla. Poi… nessuno di noi è infallibile; accertare questo, anziché giustificarci o illuderci, significa accettare la realtà.

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Note

[1] Maurizio Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, Laterza 2012
[2] Leggi: aggirabile.
[3] F. Nietzsche, Frammenti postumi, 1885
[4] È chiaro che anche un bambino interpreta la realtà in base ai propri sensi; diverso è interpretarla in base alle proprie esigenze. Ed è a questa sottile – ma neanche poi tanto – differenza che mi appello.

93 Comments on “Post postmodernismo”

  1. Riflessioni importantissime. Da una parte l’uomo non ha modo di salvarsi dalla soggettività: le percezioni possono variare come le interpretazioni e, in ogni caso, tutto quello che sappiamo del mondo che ci circonda non è che un flusso di corrente elettrica che va dagli organi di senso al cervello, mentre nulla mai sapremo veramente di quello che c’è fuori di noi – v. Cartesio, Kant, ultime teorie della fisica. Dall’altro lato, lo stesso Kant scriveva che l’uomo è fatto in modo tale da poter vedere certe cose – fenomeni – in una certa maniera, il che è uguale per tutti i membri della specie: quelle cose possono essere conosciute con sicurezza – e vediamo in lui una fiducia che l’uomo contemporaneo non può più permettersi. Poi, qualcuno ha deciso che allora tanto valeva eliminare la conoscenza: solo interpretazioni; ma questo è vero fino a un certo punto. Come dici anche tu, il punto è che non abbiamo il controllo su niente, ma ciò non può significare che non esista niente: siamo ancora ai tempi oscuri della caccia alle streghe, in cui ciò che non capiamo è sbagliato a prescindere? (E, per la cronaca, la caccia alle streghe è un fenomeno non assente prima, ma di certo tipico dei secoli XVI e XVII; alla faccia di chi, per indicare i tempi oscuri, parla del Medioevo, evidentemente senza conoscerlo).

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    • Sottoscrivo. E per quanto la realtà che osserviamo e in cui viviamo sia un prodotto dei nostri sensi è altrettanto vero che se ti do una martellata su un dito quella martellata per te è più che reale; altro che interpretazioni… Questo per dire che, stando terra terra, ci sono “cose” reali facilissime da distinguere dalle varie interpretazioni che se ne possono fare. E visto che le interpretazioni si sono rivelate non un scampolo di libertà dopo i regimi autoritari, ma un periodo oscuro di incertezza e inconoscenza, allora è meglio stare nella realtà. Questo rientra tra gli obbiettivi della mia poetica futura.

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      • Non solo, se ti do una martellata conosco (posso immaginare, prevedere) l’effetto che quella martellata produrrà su di te, in qualche modo penetro la tua soggettività, sento e compartecipo al tuo dolore. Su questo, penso, si basa l’empatia, ed è per l’empatia che ci tratteniamo, almeno alcuni, dall’infierire con una martellata sul ditto di altri. In quiche modo sentiamo parte di quell dolore. O sbaglio?

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        • Solo se ne abbiamo fatta un’esperienza diretta, credo. Infatti il neonato che gattona e a un certo punto piglia il giocattolo e te lo lancia addosso lo fa perché non sa che effetto produrrà. In un certo senso stare nella realtà significa anche sperimentarla, o no?

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  2. Questa mattina mi trovavo su un pianeta Boschetto Divino. Nonostante il nome rassicurante e nonostante il fatto che questo pianeta fosse un tempo un luogo bucolico, so che presto qui accadrà qualcosa di brutto, molto brutto.
    Poi il treno è arrivato a destinazione, sono sceso, c’era la neve, faceva freddo, e ho percorso il resto della strada a piedi.
    Insomma mi è toccata lasciare quella realtà fitizia, non create da me, però, e tornare alla realtà reale, nella quale scrivo un comment su un blog di un amico virtuale…
    OK, lo ammetto, fra tutti queste realtà fittizie, reali e virtuali mi sono un po’ perso. Mio malgrado sono sempre un ingegnere e per me il bicchiere contiene acqua per metà della sua capacità, anzi, conteneva perchè l’ho bevuta.
    Ma in concreto, stiamo superando il postmodernismo? e dove stiamo andando?

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  3. Ciao Salvatore, la questione dell'”Identità social” è un argomento affascinante su cui spesso mi sono trovata a riflettere e scrivere. La ragione per cui mi cimento con questo tema è l’esigenza di rispondere a una domanda: si può sopravvivere manipolando la realtà? Per manipolazione intendo esattamente la capacità di modificare a proprio uso e consumo ciò che abbiamo intorno, ciò che esiste (che potrebbe non essere reale), per rispondere a un bisogno di modificare ciò che non è consono al nostro sentire in quel dato momento. Non mi piace il modo in cui sono, sono stata, appaio e per modificare questa condizione opero una “manipolazione”, una “trasformazione” della materia del reale affinché io possa rappresentare a me stessa e agli altri una realtà differente, più sostenibile.
    La mia risposta alla suddetta domanda è un gigantesco no. Non tanto perché inganniamo noi stessi, ma perché ci impedisce di vivere nel presente. Cercando continuamente di rifare un passato impossibile da mutare e di costruire un futuro che si modelli meglio con i nostri bisogni del momento, perdiamo di vista il presente. Ci dimentichiamo di vivere oggi.
    La tua ricerca di verità e di aderenza ad essa è cosa saggia e molto significativa. Buon lavoro, di cuore

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    • Grazie Elena. Il tuo commento mi ha fatto venire in mente molti “aneddoti”: da chi va dal chirurgo plastico per modificare un tratto fisico la cui forma originale comunque non inibisce la sopravvivenza a chi vive in un proprio mondo e, ad esempio, non cresce mai restando sempre fanciullo. E via dicendo. Grazie per essere passata.

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  4. Ottime riflessioni, concordo. Se ne potrebbe parlare per giorni. Tornare alle origini, la visione acritica e obiettiva del bambino, il bicchiere con l’acqua che non voglio vedere come pieno o vuoto a metà, ma come un bicchiere con acqua: tutti segnali di un desiderio di scaricarsi dal cumulo di interpretazioni che stratifichiamo attorno alla realtà e la nascondono alla vista, oltre che appesantirla. Perché questo sia un percorso efficace deve passare prima di tutto da noi stessi, hai ragione, e poi si ripercuote sulla scrittura, senza sforzi. Saint-Exupéry diceva che una storia è perfetta non quando non c’è più nulla da aggiungere, ma quando non c’è più nulla da togliere.

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  5. In una serata fra amici, anche per educazione, il cellulare dovrebbe restare in tasca.
    A casa io lo metto in modalità aero alle 20 e lo riattivo 12 ore dopo.

    La realtà virtuale è solo illusione. Chi al cinema sente il bisogno di guardare lo smartphone è prima di tutto un maleducato e poi anche stupido, perché ha speso soldi e tempo per andare al cinema e non usufruisce del servizio.

    Anche io mi costruisco le mie realtà. In primo luogo faccio vita quasi monastica, perché non amo stare in mezzo alla gente e non mi piace la mia città (come nessuna città in generale), poi mi rifugio nei libri. Tutto più costruttivo di sciacquarsi il cervello davanti a uno schermo, del PC o del cellulare fa poca differenza.

    La storia del bicchiere d’acqua mezzo pieno o vuoto non la reggo più 😀
    A me sembra una gran boiata, sono la stessa cosa e non è detto che sia pessimista chi lo vede mezzo vuoto. Quindi concordo con te: è solo un bicchiere con dell’acqua dentro.

    A dirla tutta, comunque, non credo di aver capito il senso di questo post 😀

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    • Il senso del post è esprimere l’esigenza, credo manifesta e evidente intorno a noi nella contemporaneità, di superare il postmoderno e calarsi in un nuovo realismo. Smetterla di raccontarsi storie, che non centra nulla con la fantasticazione, e cominciare a guardare la realtà che hai davanti. Questo è l’obbiettivo che mi pongo in letteratura.

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  6. Cito: “Che benefici ci porta negare la realtà? Beh, molti. Primo fra tutti quello di poterne costruire una giusta per noi, a nostra misura.”
    Tutto questo è verissimo. E nel post-moderno, come Bauman (rip) ha evidenziato più volte, costruire una realtà individuale diventa possibile, grazie a costumi multi-sfaccettati che consentono a un individuo di essere uomo alla mattina, donna al pomeriggio e qualcosa di ancora diverso alla sera. Quindi, non solo si può costruire la propria realtà, ma si può anche modificare a proprio piacimento, a seconda dei propri bisogni (post-materialisti).

    Cosa significa accettare la realtà?
    Per me significa: “smettere di opporre resistenza”. Qui, più che la sociologia post-moderna, entrano in gioco le filosofie orientali. Una volta che la direzione è stata presa, e gli obbiettivi definiti, occorre continuare a camminare, ma senza accanimento. “L’erba cresce senza fretta”, mi dice sempre il mio maestro zen. Anche quando le cose sembrano andare male, si può continuare per la propria via, con il sorriso sulle labbra e la consapevolezza che si sta facendo del proprio meglio. In questo modo, le energie che abbiamo attivato sono libere di lavorare, senza alcuna forzatura.

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      • Ni… in realtà il concetto è più ampio. Ne avevamo parlato, se non sbaglio, a proposito del mio lavoro. Sì. Mi sembra sia stato con te: dicevo che se cerco di svegliarmi serena la mattina e di non passare la giornata incazzata non significa che io mi sia rassegnata a questa situazione, ma che ho smesso di opporre resistenza e ho deciso di affrontarla, pur senza smettere di lavorare per il cambiamento… 🙂

        P.S. A proposito di ansia da prestazione: nel post che pubblicherò stasera, c’è un link al vecchio guest-post che avevo pubblicato qui…

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  7. Quindi questo è un post sul “postmodernismo” o un post sul “post postmodernismo”? 😀
    Penso ci siano illusioni e illusioni. L’illusione che mi fa vagare anche ad occhi aperti in altri luoghi è la stessa che mi aiuta a recuperare le forze per combattere la misera realtà. Come in quel film con Whoopi Goldberg, dove una bambina che ha perso la madre dice “Adesso è in paradiso e mi guarda tutti i giorni”. Il papà ateo risponde: “Il paradiso non esiste, è un’invenzione dell’uomo, te l’ho spiegato vero?” E lei candidamente: “E che male c’è?”
    Peggiore è l’illusione dei social che fa preferire parlare con un telefono anziché con la persona che si ha davanti. Capita anche a me di preferire leggere le mail, di solito però alle cene che mi sono imposte, dopo aver acclarato che non ho punti di dialogo con i presenti (e nemmeno loro se ne fanno tanto cruccio). Diversamente, sotto Natale è successo ad una cena con amici, che hanno pure organizzato loro l’incontro, che fossero tutti impegnati su sozzap o a mostrarsi le stupidaggini che vi passano sui diversi canali (e son sempre quelle). Io il cellulare l’avevo silenziato, ma a un certo punto cosa faccio? Parlo col tovagliolo?? E’ stata una cena tristissima, ma qualcosa mi dice che non si ripeterà…..

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    • Fantasticare non è interpretare. Interpretare la realtà è prendere il dato finito e cominciare a guardarlo da talmente tanti punti di vista diversi fino a quando trovi quello che garba a te. Che detto così non è neanche tanto male, solo che se lo fai anche a livello sociale il risultato è quello che vediamo tutti i giorni.

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  8. Poni problemi importanti e anche di importante attualità. Il dibattito in generale sta prendendo questa china, non sei il solo che è arrivato a queste considerazioni. Io sono combattuto, forse perché sono più vecchio di te e ho vissuto più momenti di cambiamento e di scelte anche di tipo “culturale”. Questo equivale a conoscere la realtà direttamente e a essersi sentiti inseriti poi nel cosiddetto post moderno che analizzi in modo esemplare. Dicevo che sono combattuto perché la realtà ci ha regalato inganno e falsità. Ecco il punto di partenza, la realtà non è comunque verità, sia per il discorso della manipolazione, ma anche e forse soprattutto per il discorso della sua percezione mai univoca da parte nostra. Viviamo molte realtà diverse, la mancanza di presidi sociali, politici, culturali ci fanno vivere ognuno la propria realtà in modo distante e inefficiente. La realtà produce l’unico prodotto sempre presente nella società, la solitudine e la sensazione di inutilità. Ci hanno perfino chiamati “atomi” per definire la condizione umana attuale. Per questo non è soltanto una fuga dalla realtà l’utilizzo della fantasia in senso lato, dell’invenzione letteraria che può arrivare al surrealismo ecc. Addirittura mi sono spinto spesso a concepire che l’unica realtà possibile fosse quella mediata dalla fantasia, sicuramente prodotto di per sé reale e veritiero. Capisco però la necessità di influire, di ritrovare il senso dello scrivere e del vivere e capisco che forse siamo a una svolta importante anche nelle prossime produzioni letterarie. Sono d’accordo con te; la memoria è un fattore fondante di tutto questo, ma attenzione. La memoria non deve essere ritorno al passato, ma pretesto di elaborazione, dovremmo farla diventare esperienza, perché al pari della necessaria realtà c’è anche bisogno di futuro. Termine a cui da sempre è legato il concetto di speranza. Credo che anche questa discussione sia da considerare solo un inizio, forse dovremmo trovare i tempi e i luoghi per uscire da una parzialità che purtroppo è difficile da superare. Grazie comunque degli stimoli che riesci a creare.

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  9. Ho trovato il post molto bello e affascinante. Vorrei avere qualche riflessione profonda da aggiungere, ma, sarà la febbre, non mi viene. O forse, da tempo, ho scelto la via dello scavo, passare il passato a setaccio fino a che non si trova un osso scarnificato. Lo puoi interpretare, analizzare, gli puoi costruire un mondo d’ipotesi intorno. Ma la realtà rimane un osso scarnificato alla fine di un faticosissimo lavoro.
    L’archeologia, me ne rendo conto ogni volta che parlo con altri archeologi che fanno nella vita tutt’altro, in Italia più che un lavoro è una filosofia di vita.

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      • L’archeologo non rosicchia niente. Che è? Un moderno conte Ugolino?
        Il problema della realtà, dell’oggettività, è che si risolve in un’utopia.

        Partiamo dal benedetto bicchiere d’acqua.
        D’accordo, è solo un bicchiere. Un bicchiere che contiene solo acqua.
        E dove sta la funzionalità di quell’oggetto? Il suo scopo? L’azione che l’ha trasformato in un oggetto a cui noi diamo il nome di bicchiere?
        La realtà è tutta una convenzione.
        La scrittura stessa è una convenzione, assieme al linguaggio.
        Interpretare è solo un modo per fare ordine, non un modo di travisare quel che si vede, secondo me.

        Quell’osso che l’archeologo trova non è solo un osso: è il segno di un’azione del passato.
        Che poi l’archeologo provi per vent’anni a ipotizzare la sua provenienza… beh, questa è un’altra storia.

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        • L’osso è un osso ed è il segno di un’azione che spesso può essere ricostruita con buona approssimazione. La verità è come l’elettrone, la individui con una percentuale di approssimazione. Bisogna accettare che la realtà non sia là dove la cercavi, ma anche che l’opinione non possa equivalere a verità.
          Salvatore già lo sa, nel totale relativismo vedo l’avanzata dei nuovi barbari. E sarà per questo, suppongo, che mi piace scrivere gialli.

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            • Esatto. Siamo programmati per filtrare tutto.

              L’uomo è abituato a partire da ciò che conosce per comprendere la realtà.

              Il problema è quando parte da ciò che NON conosce e si convince di poter trarre conclusioni oggettive al pari di qualcun altro, qualcuno che ha fatto un’esperienza oggettiva di quel dato argomento.

              Che poi è un ritorno all’analfabetismo funzionale, o ai barbari di cui parli tu. 😉

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              • Non è solo questione di filtri, è una legge fisica: l’osservatore, per il solo fatto di osservare, influenza il fenomeno oservato. Poi come adattare la meccanica quantistica alla narrative è un altro paio di maniche 😉

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                  • Le mie conoscenze di fisica quantistica si fermano a quell poco che ci hanno insegnato al poli, e sono anche piuttosto arruginite 😛 Però mi era piaciuta. Oltre tutto la fisica quantistica ha pesanti ripercussioni sulla filosofia e quindi anche sul modo di raccontare, no?
                    Comunque la spiegazione matematica è complicate (molto) ma il concetto è semplice 😉

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                    • La cosa più straordinaria della meccanica quantistica è che ormai ci tocca studiarla bene. Tutte le teorie inspiegabili ormai le si fanno ricondurre ai poteri “magici” della meccanica quantistica.
                      La sincronicità dei quanti separati, lo spin, il principio di indeterminazione. Ogni aspetto serve per validare l’astrologia, la telepatia, Roll, il paranormale e tutto ciò che è inspiegabile e viene dato per vero.
                      Io ogni tanto me la studicchio, ma è ostica, caspita se è ostica.
                      E comunque io sono dalla parte di Einstein: Dio non gioca a dadi. Peccato che nemmeno Einstein è riuscito a spiegare perché Dio non gioca coi dadi. 😀

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                    • Mannaggia se è complicate 😛 però all’epoca l’avevo capita, avevo capito anche la relatività ristretta (e pensare che non farebbero parte dei normali programi di fisica per ingegneri, ma certi prof se ne infischiano dei programmi)
                      Comunque in quell caso il buon Albert aveva torto 😛

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                    • Cioè zio Albert aveva previsto le onde gravitazionali, di cui abbiamo avuto testimonianza solo di recente, e aveva torto col principio di indeterminazione. Questa cosa brucia, mannaggia.
                      Io comunque aspetto il prossimo nuovo genio che riesca a coniugare la relatività generale con la materia oscura e l’energia oscura.
                      Ecco, spero che il tizio nasca prima che io muoia. Morire senza aver compreso questa cosa mi farebbe arrabbiare con la morte. 😀

                      Anche perché io ho elaborato una mia teoria sulla materia oscura che è una figata pazzesca. Qualcosa di impensabile ma comunque possibile nei canoni della fisica. La spiegherò in una trilogia di fantascienza che mi fa sognare a occhi aperti solo guardando le stelle di notte. Spero che quando sarò pronto per scriverla, avrò un minimo di credito per potermi consultare con un importante fisico teorico. Fantascienza sì. Ma quanto più realistica possibile.

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                    • Io ormai faccio decisamente fatica a seguirli I progressi della fisica, mi fermo ai paradossi relativistici 😛
                      Però aspetto il tuo romanzone di fantascienza 😉 (anzi trilogia)

                      P.S. La miglior spiegazione sulle onde gravitazionali l’ho sentita da una scrittrice fantasy e mi ono domandato perchè non passi alla fantascienza 😛

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                    • Eh per la sequenza di romanzi che ho da scrivere, quello di fantascienza dovrebbe essere il nono/decimo. Quindi se riuscissi a scriverne uno l’anno, ne passeranno dieci. Zio Albert ci ha spiegato che il tempo è relativo, avessi pure l’astronave per dilatarlo sarebbe fantastico.

                      Curioso della scrittrice fantasy. A volte le soluzioni si trovano nelle idee più semplici. Einstein trovò l’incipit per la relatività da un autobus che si allontana dall’orologio di un campanile.
                      Se un passeggero sopra l’autobus guarda l’orologio sa l’ora di quell’istante. Ma se l’autobus viaggiasse alla velocità della luce, la luce riflessa dall’orologio non colpirebbe mai i suoi occhi viaggiando alla medesima velocità, quindi il tempo, alla velocità della luce, si ferma.
                      Da una semplice intuizione della realtà, veduta miliardi di volte da chiunque, lui intuì la più grande teoria della fisica.

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                    • Ok, una decina d’anni li posso aspettare 😛 ma datti da fare 😉
                      La scrittrice fantasy è anche fisica e ricercatrice, ma sicuramente la conosci, essendo la più nota scrittrice fantasy italiana 😉

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              • Allora la prima distinzione e tra essere e conoscere. Una cosa che non conosco o che non so definire può esistere? Se non sapessimo che sulla luna ci sono montagne alte 4000 metri o se non avessimo il concetto di montagna e di unità di misura quelle montagne esisterebbero comunque oppure no? Ne parliamo la prossima volta…

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  10. Ti ho letto stamattina ma riesco a commentare solo ora. Colpa delle tante realtà che ho vissuto tutto il giorno che davvero mi hanno permesso di essere persone diverse pur restando sempre io. Ho scritto, letto, mi sono confrontata, ho pensato, mi sono messa nei panni altrui e poi ho fatto il mio.
    In tutto questo due cose.
    I filosofi mi fanno venire mal di testa. Io vivo ascoltando ma agendo di cuore e istinto, e il bicchiere se nessuno ha sete lo bevo io.
    Mi pare tu abbia tratto ottime conclusioni. Le radici che ti richiamano sono un bellissimo segno che spero ti porti sempre di più.

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  11. La realtà non esiste. Tutto quel che ci circonda e noi vediamo è semplicemente percezione. Io in questo momento sono seduto davanti a un computer e la realtà che mi circonda, dal monitor, ai libri, non è una visione obiettiva di quel che esiste. Un altro, seduto al mio posto, vedrebbe e percepirebbe qualcosa di diverso. Perché quella che noi chiamiamo realtà, non è nient’altro che l’interpretazione della fisica che regola la materia, l’energia, il tempo, la gravità. A livello atomico, noi non tocchiamo gli oggetti, mai. Distinguiamo e diamo un nome alla realtà fisica per approssimazione.

    Ma se è già impossibile determinare una realtà fisica della materia, per noi umani è sul serio impossibile interpretare la realtà, perché l’uomo è astrazione. Sentimenti.

    Il monitor e i libri che sono attorno a me, non sono soltanto entità materiali, ma sono l’interpretazione inconscia del valore del singolo oggetto. La vicinanza di un determinato libro a me trasmette determinate infinitesime percezioni, mentre a te ne trasmetterebbe altre.

    Noi esseri senzienti siamo sorretti da un cuore che accelera o rallenta di fronte a un’emozione. La realtà si plasma e assume valore a seconda di quel che noi avvertiamo, di quel che abbiamo imparato, di quel che l’istinto ci trasmette al di là della verità oggettiva. Una stanza vuota è una stanza vuota. Eppure se quella stanza è un casolare antico e cadente immerso nella nebbia, in noi si esercita uno stato di paura; mentre se la stanza vuota è quella accanto alla nostra, se ne esercita un altro.

    Ciascuno di noi è volontà e bisogni. Un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto non sarà mai oggettivo. Perché l’inganno o l’autoinganno della realtà sono componenti basilari per la nostra sopravvivenza nel mondo.

    Noi sappiamo che gli antichi Greci costruivano i templi storti, così da risultare visivamente dritti.
    E quindi la realtà va piegata e forgiata a seconda dei nostri bisogni e sentimenti.
    Nascere e morire, sono due dati di fatto. Quel che sta nel mezzo non è nient’altro che la percezione approssimativa di quel che chiamiamo vita.

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    • Come dicevo poco più su: la prima distinzione è tra essere e conoscere. Una cosa che non conosco o che non so definire può esistere? Se non sapessimo che sulla luna ci sono montagne alte 4000 metri o se non avessimo il concetto di montagna e di unità di misura quelle montagne esisterebbero comunque oppure no? Supereremo questa mania dell’antirealismo!

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      • Fino a 200 anni fa, c’erano un mucchio di cose di cui non sapevamo l’esistenza. Oggi sappiamo che esistono oggetti anche senza averli visti con i nostri occhi. Eppure ci sono.
        Gli astronomi stanno cercando il nono pianeta del sistema solare. Nessuno l’ha visto. Eppure sappiamo che è bello grosso perché le orbite degli altri pianeti ne subiscono l’influenza gravitazionale. Questo non significa che può esistere qualsiasi cosa, anche le teorie più strane. Esiste la scienza e la scienza ci spiega che tutto è relativo. Anche ciò che vedi. Anche ciò che tocchi. Ti consiglio di sollevare un bicchiere sulla terra. Perché se lo stesso bicchiere volessi sollevarlo su Giove non ci riusciresti. La bellezza di comprendere che la realtà è un punto di vista matematico, permette di cogliere le astrazioni cui l’uomo è così bravo. Così come la scienza sa determinare la fisica di un bicchiere nell’universo, noi umani imperfetti, da quel medesimo bicchiere sappiamo astrasse parole che determinano poesia, che generano emozioni. Nell’arte non serve la realtà concreta, ma il gesto di afferrare un bicchiere, osservarlo in controluce e percepirlo per di più di quel che è realmente.

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          • Potrebbe esistere un gomblotto contro i pianeti nani. 😛
            E te la butto io per una bella storia di fantascienza. E se il nono pianeta che non vediamo non foss’altro che la Morte Nera?
            Pensaci. Qui ci esce un’altra trilogia coi fiocchi.

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        • … e quelle cose che non sapevamo esistevano? oppure per il semplice fatto che non le conoscevamo non esistevano? Dipende da quale scopo ha l’opera d’arte. tutta l’arte postmoderna aveva come scopo il liberarci da “antiche catene”, dai limiti della vecchia generazione; solo che quello che è venuto dopo o a seguito è perfino peggio: penso all’incertezza, alla confusione, al populismo e via dicendo.

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          • Peggio, perché peggio?
            Attualmente non abbiamo nessun Cesare che stermina sei milioni di Celti. E nemmeno Hitler.
            Io non credo all’arte del post modernismo. Semplicemente perché l’arte è esplosa.
            In passato esistevano le correnti artistiche che accompagnavano periodi storici dell’umanità. Oggi non c’è più nessuna omogeneità. L’arte è libera da vincoli di manifesto.
            Le ultime avanguardie dal dopoguerra italiano di cui conosco il nome è il Gruppo del ’63. Di cui ci hanno parlato Umberto Eco e Asor Rosa. E la generazione della Gioventù cannibale con Ammaniti, Mozzi e altri.
            Cioè, perché, e ce lo spiegherai nei successivi post, hai l’esigenza di ingabbiarti dentro una poetica artistica del post modernismo, mentre l’arte ormai è estremamente libera (o liquida) e ci si può cimentare con generi e manifesti differenti da un romanzo all’altro?

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            • Vedi che sei tu a essere ingabbiato? Già solo affermando che l’arte è liquida stai dichiarando di “credere” o “rientrare”, volente o nolente, in quella corrente chiamata appunto postmodernismo – che anche se non è stata postulata ufficialmente non significa che non esiste; quale ad esempio il decostruttivismo in architettura o il realismo isterico in letteratura. Nel post io dichiaro il fallimento del postmodernismo e della visione soggettiva della realtà, di questo sottile inganno – un inganno raffinato, certo, ma pur sempre inganno – che porta verso il pensiero unico; postulando, come unica salvezza (mi scuserai la drammaticità del termine), l’approdo a un nuovo realismo. Come puoi notare sempre di realismo si parla.

              Dici che non c’è alcun Cesare o Hitler… Vai a vedere cosa stiamo combinando in Siria. O in altre parti del mondo.

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              • La mia idea e di adoperare la narrativa per aiutare la società in cui vivo a:

                1. rendersi conto della realtà che sta vivendo;
                2. prospettarle una via di fuga.

                Il primo, attraverso romanzi di chiaro stampo postmoderno; il secondo attraverso un nuovo realismo. Realismo che potrei, preventivamente, chiamare: realismo concreto.

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              • La Siria per quanto dolorosa non è peggio. È la barbaria umana che si ripercuote oggi come da sempre.
                Al massimo è uguale, non peggio.
                In questi giorni sto studiando la caduta di Costantinopoli. La fine dei Bizantini, ovvero dell’impero romano, a opera dei turchi.
                Quanto orrore e quanto massacro.

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                • Be’ tu hai affermato che non c’è alcun Cesare a massacrare 6 milioni di persone… il punto è che non serve Cesare per fare una cosa del genere: i milioni di persone le stiamo massacrando comunque. Ed è peggio perché mentre loro, quelli in Siria, come conseguenza del “contenzioso” stanno morendo di fame, noi abbiamo le catene di fast-food, gli ipermercati come funghi e un grosso problema di sovrappeso… Io riesco a vederlo questo peggio. E sta tutto in quella ambiguità del soggettivismo. Ci torneremo, dai.

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  12. Ma alla fine (lo so, sono un gretto ing) tutto questo in concreto a cosa ci porta?
    Questo post, immagino, è una sorta di gancio, un amo che ci lanci e immagino e spero, tornerai sull’argomento e tornerai a parlare di poetica.
    Ora resto col dubbio su come si traduca ttto ciò in scrittura: nel raccontare storie vere? O verosimili? O personaggi reali? O verosimili? O qualcosa di più profondo che va a toccare il narrator? Sarà un narrator scienziato, semplice osservatore, un narrator che non partecipa e non commenta? O…
    Insomma, aspetto il resto 😉

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  13. Ho letto, non so commentare, però mi piacciono sempre molto i commenti dei tuoi ospiti. Ho sorriso con il dubbio finale di Daniele (che un po’ è anche il mio) e m’arricrìo sempre con quelli fiume di Marco. 😀

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