6 motivi per usare il punto e virgola
Il valore demarcativo del punto e virgola
Che il punto e virgola sia il segno più incompreso della blogosfera è fatto assai noto. Meno noto è il motivo per cui al suo posto si tende ad adoperare il punto o la virgola. Io credo che di fondo ci sia da un lato un po’ di confusione circa il suo utilizzo, dall’altro un po’ d’innata pigrizia. Rientra in quest’ultima categoria la giustificazione che di solito ci diamo: ciò che può fare il punto e virgola lo possono fare benissimo il punto o la virgola… Dunque perché sforzarsi di adoperare un segno interpuntivo in più?
Poiché sono convinto che l’unica ragione per la quale il punto e virgola non gode di buona fortuna sia da ricercarsi nella scarsa comprensione del suo valore demarcativo, ho pensato che un buon modo per farvelo apprezzare un po’ di più sia fornirvi sei motivi per adoperare (o non adoperare) il punto e virgola.
Ci tengo a spiegarlo subito: alcune tra le potenzialità del punto e virgola possono in effetti essere condivise anche dal punto o dalla virgola. Quindi quando si cerca di definire i confini d’azione tra gli uni e l’altro è necessario partire proprio da questo confronto: cosa può fare il punto e virgola meglio del punto o della virgola? Di conseguenza troveremo anche alcune cose che il punto e virgola proprio non può fare. Queste sono importanti tanto quanto le prime perché ne definiscono comunque il ruolo.
Ora, tutto nasce dal fatto che qualcuno (non si sa bene chi) a un certo punto, armato della propria ignoranza, ha affermato che i segni interpuntivi sono dotati di un valore temporale; vale a dire che si distinguono sulla base della durata della pausa discorsiva che indicherebbero. Secondo questa mente «geniale», la virgola rappresenta una pausa breve, il punto una pausa lunga e il punto e virgola… né carne né pesce. Purtroppo per il nostro amico la punteggiatura non indica pause respiratorie né intonazioni discorsive (esclusi i punti interrogativo, esclamativo e di sospensione); ciò che fanno, invece, i segni interpuntivi è di marcare la struttura sintattica del testo: contribuendo così a organizzare la gerarchia dei pensieri. Il punto e virgola quindi, non è una pausa intermedia; è un marcatore dotato di ragionevolissime motivazioni per essere adoperato.
01 Funzione parentetica
Come sapete, una cosa che la virgola può fare è quella di inserire all’interno di una frase un inciso con valore parentetico: «Matteo, che di solito è un così bravo ragazzo, oggi mi ha proprio fatto arrabbiare!» Nel nostro esempio la parte marcata in corsivo, racchiusa tra due virgole nel mezzo della frase, è un inciso. Non mi dilungherò a spiegare il valore appositivo o incidentale che un tale segmento può avere: non è questo l’obbiettivo del nostro articolo; invece quello che mi preme sottolineare è che una cosa del genere non può essere fatta né dal punto né dal punto e virgola. Quindi: il punto e virgola non serve a racchiudere segmenti di testo con valore appositivo o incidentale.
02 Carattere seriale
Alcune volte ci viene comodo elencare informazioni, cioè distribuirle in modo seriale alternandole con un segno interpuntivo: «Oggi al mercato ho comprato due chili di mele, tre di pere, otto banane e un ciuffo di prezzemolo». La stessa cosa la potremmo anche scrivere così: «Lista della spesa. Comprare: mele, pere, banane, prezzemolo». … un elenco. Un dannatissimo, semplice elenco. In questo caso sono due i segni interpuntivi che concorrono al ruolo di marcatura: la virgola e il punto e virgola. Perché usare l’uno al posto dell’altro? O meglio, quando usiamo il punto e virgola al posto della virgola? La risposta è semplice: in un elenco, il punto e virgola si adopera quando le informazioni seriali hanno una complessità sintattica più elevata della parola singola o di un breve sintagma.
Capita, infatti, che un elenco non sia formato da semplici parole, ma da vere e proprie frasi; frasi che possono, al loro interno, recare la necessità di un’ulteriore marcatura (di norma la virgola). Per tanto queste informazioni, sempre organizzate nella forma dell’elenco, saranno marcate anziché dalla semplice virgola, da un più opportuno punto e virgola.
«Nina e Luciana si conoscevano da sempre, e insieme, dall’inizio, conoscevano l’odore della terra, la voce dei fossi e il fresco dei magazzini degli attrezzi; la bruschetta fragrante, cotta sulle braci del focolare e strofinata con aglio e olio; i sentieri nascosti per raggiungere le vecchie case abbandonate; l’intero e mutevole universo di minuscoli animali e piante e fiori di campo che dialogavano con la luce, la pioggia e l’aria».[1]
In questo bell’esempio, Ballestra adopera una sintassi davvero molto raffinata; la quale nulla potrebbe se non avessero inventato il punto e virgola.
03 Gerarchie concettuali
Alcuni periodi, per loro natura, sono sintatticamente complessi; vale a dire che presentano al lettore, per poter sviluppare con esaustività un argomento, una casistica di frasi coordinate difficile da tenere a mente prima di arrivare al punto (inteso come segno interpuntivo). In questo caso, per organizzare la struttura gerarchica dei concetti, si adopera un marcatore forte che tenga assieme le coordinate prima che il periodo venga chiuso da un punto. Il nostro eroe, l’avrete capito, è il punto e virgola. Quindi: «il punto e virgola non seriale è atto a separare “unità coordinate complesse” e membri di periodo, e a evidenziare con l’ordinamento strutturale le gerarchie concettuali».[2]
Ma quando inserirlo questo punto e virgola all’interno di un periodo complesso? Ad esempio quando viene presentato un cambiamento di soggetto, oppure di argomento:
«Si tratta della prima cultura della steppa [la cultura Yamnaya, 5.500-5.300 anni fa] potenzialmente in grado di sviluppare un’efficace economia pastorale della steppa a) addomesticando animali da pascolo, b) andando a cavallo, c) usando veicoli a ruote; per tutte queste ragioni di potenziale superiorità culturale, quell’area e quella cultura sono state considerate candidate ideali per annettervi l’insediamento di un popolo che parlasse una lingua proto-indo-europea».[3]
Questo di Piazza non è un buon esempio, secondo me; il punto e virgola, in questo caso, poteva tranquillamente venire sostituito da un punto. Invece ci sono periodo complessi, con molte frasi coordinate, che pur necessitando di una marcatura forte, manifestano l’esigenza della continuità sintattica. Accontentatevi!
04 Connettivi forti
Questo è un tocco di stile. Non vi dico nulla; vi segnalo solo l’esempio.
«Chiacchierone com’era, e preso dalla sua smania di brillare, in generale la sua ultima preoccupazione era l’ispezione; a meno che non s’imbattesse, mi spiegava, in qualche ferroviere che dava a intendere con una frase sbagliata di fottersene di lui, delle sue opinioni, delle sue attività artistiche».[4]
05 Precisazioni; no, opposizioni
Sempre come cifra stilistica, il punto e virgola può (e deve) essere adoperato per marcare una precisazione – ruolo che contende ai due punti – o un’opposizione: «Quando il dubbio che la lievitazione non si fosse avviata mi assaliva, sentivo il bisogno insopprimibile di correre di sotto e scoprire i canovacci sotto cui riposavano le brioche; tutti i giorni, insomma»; «Prima riuscivo a stare sveglio fino alle tre del mattino, addormentarmi per due orette e rimettermi al lavoro alle cinque; ora invece crollo in poltrona alle nove, mi sveglio di soprassalto alle quattro e sto rimbambito per il resto della giornata».
06 Anadiplosi
Secondo la retorica classica l’anadiplosi è la ripresa di un’espressione contenuta in un enunciato precedente e contiguo: «Di Clara riuscivo ad avvertire la presenza anche a grande distanza per via del suo profumo; profumo di illuse speranze e lascive palpitazioni».
.
Abbiamo terminato la nostra carrellata. Tengo a sottolineare che i primi tre punti riguardano la sintassi grammaticale di base; sintassi che potreste (dovreste) riscontrare in qualunque scritto: un articolo di giornale, un saggio accademico, un diario istruito… Le ultime tre, invece, riguardano soprattutto lo stile e sono indice di alta letteratura – almeno per ciò che concerne la sintassi.
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Note
[1] S. Ballestra, Nina, Rizzoli 2001
[2] Luca Serianni cit. in Bice Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura, Laterza 2011
[3] A. Piazza, Indo-europeo e Indo-europei, Edizioni dell’Orso 2002
[4] D. Starnone, Via Gemito, Feltrinelli 2000
Comincio a guastare le feste segnalando due refusi – ma è meglio ora, che sono il primo a scrivere – e cioè “l’unica ragione per il quale” al secondo paragrafo e “contente” al posto di “contende” al punto 05 della casistica.
Per l’esempio di Piazza, segnalo che, nel caso, ci sono dei passi di H. Melville, “Moby Dick”, in cui una lunghissima frase procede per accumulo di subordinate tutte legate al soggetto – o comunque alla prima parte della frase – dopo il quale accumulo diventava necessaria un’interpunzione forte con successiva ripetizione del soggetto, cui si attaccava la fine della frase. Non ritrovo un passo di quel tipo, ma spero di aver spiegato bene quello che intendevo e, soprattutto, che rientri nella casistica; ma mi pare di sì.
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Ciao Irri, grazie per le segnalazioni: mo correggo. Per quanto riguarda gli esempi, preferisco sempre testi nativi italiani – non ha molto senso farli su testi tradotti, secondo me.
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Stavo per fare un esempio tratto da “La lettera scarlatta”, ma se secondo te non è utile…
Non lo so, credo che la punteggiatura sia uno dei pochi linguaggi universali.
Bisognerebbe prendersi la briga di verificare se anche nella versione originale ci sono gli stessi segni. Ma perché un traduttore dovrebbe arrivare a modificare il respiro e la struttura stessa della frase?
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Perché la lingua non può essere tradotta in modo lineare (qualsiasi lingua), serve sempre un lavoro di traslitterazione semantica che non può non comportare anche una rielaborazione della punteggiatura. Questo è il primo motivo. Il secondo è che abbiamo tanti testi eccellenti italiani; quindi perché dovremmo trarre esempi da un testo tradotto?
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Non lo so. Forse perché ormai “La lettera scarlatta” è stata scritta da un tizio statunitense? Però potremmo fare così: riapplichiamo quella tradizione di un secolo fa, hai presente? Quella in cui si traduceva in italiano tutto, pure i nomi degli autori stranieri. “La lettera scarlatta” di Natan Il Balbuziente.
A parte ciò, io di solito uso un metodo più spiccio per spiegare l’uso del ;
Faccio due esempi: spiego che il ; è il segno che aiuta un personaggio confuso o prolisso a riprendere il nocciolo del discorso che stava pronunciando:
“Perché il punto è proprio questo, non c’è dubbio; il punto è convincersi che ho ragione io.”
E poi cito Woody Allen, il più grande esempio di attore vivente che parla e fa recitare tutti con il ;
Lo so, sono semplificazioni estreme, ma spesso funziona per far arrivare il messaggio.
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No, non ho capito cosa intendi dire a proposito della Lettera scarlatta.
L’esempio che hai fatto è corretto e rientra nel caso dell’anadiplosi, infatti dopo il punto e virgola ripeti il punto.
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Ti stavo prendendo in giro.
Ma è lunedì.
Chiedo venia. 😉
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Scusami, sono un po’ rintronato. Non dormo particolarmente bene ultimamente; e non so il perché! 😛
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Suvvia. Sarà l’età. 😉
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No, non è universali, anzi, in tedesco l’uso della virgola è diverso dall’italiano 😉
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Non ho capito… o.O
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le regole grammaticali alla base dellßuso della virgola sono diverse. In tedesco ü obbligatorio lßuso della virgola in casi in cui in italiano non sarebbe corretto.
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Ah, ok. 🙂
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maledetta tastiera tedesca, ho messo una ß al posto di un ‘
😛
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Questa è interessante:
“Gli antichi Greci usavano il punto e virgola come punto interrogativo e tuttora, in greco moderno, il punto interrogativo è rappresentato da un punto e virgola.
(fonte Wikipedia)
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E’ più complicato di così. I segni interpuntivi si sono evoluti nel corso dei secoli. Prima ancora si scrivevano parole tutte attaccate, poi separate solo da un punto. Quando la virgola è stata introdotta era una lineetta orizzontale. Poi è diventata verticale, quindi curva e infine e stata spostata al pedice della parola. E via dicendo.
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Il punto e virgola stesso è relativamente giovane risale, come molte latre cose, a Manuzio (XVI secolo)
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Capisco il punto di vista e mi permetto solo un’obiezione: la traduzione in una lingua traghetta il testo in un’altra cultura, adattandolo oltre che sostituendo alle parole straniere quelle della propria lingua, la qual cosa riduce i rischi di riferirsi troppo a un altro sistema grammaticale; in più c’è traduttore e traduttore, e Pavese non mi pare proprio da buttar via… ;).
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Obbiezione a cosa? è quello che ho detto io.
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Ah sì? Io avevo capito che eviti di citare i brani tradotti, allora ho scritto che in fondo non creano gran difficoltà… ho capito male?
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Ah ok, adesso ho capito il senso. Sì, ma comunque che senso ha il testo tradotto? Semmai l’esempio lo si dovrebbe trarre dall’originale, proprio perché originale. Ma a noi che ci frega di come usano il punto e virgola gli americani se poi scriviamo in italiano? Inoltre con tutti gli ottimi testi in italiano che esistono, proprio un testo tradotto devo andare a pizzicare? No, io lo evito.
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Ho capito, mi sono limitato a indicare l’unico esempio che mi veniva in mente; al di là di questo, il problema sarebbe stato più che altro come il traduttore usi il punto e virgola.
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Esatto. E senza che nessun traduttore se ne voglia, se compri un libro è per leggere quello che scrive l’autore non il traduttore.
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Questo è sicuro, eppure siamo di fronte al paradosso: per quanto fedele, una traduzione è comunque una barriera tra sé e il testo originale, così che il lettore vuole leggere la storia originale ma sta leggendo un rifacimento. Del resto, ‘tradurre’ si collega alla radice latina di “tradere”, che è un origine ‘consegnare’; ma poi diventa anche ‘commerciare’ (cfr. ingl. ‘to trade’), ‘trasportare’ e ‘tradire’. La traduzione può essere un tradimento: bella e infedele o precisissima e pesante?
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Deve essere il più fedele possibile a trasmettere la bellezza dell’originale; l’importante è che si sia coscienti che non si sta leggendo l’originale né, tantomeno, le scelte che l’autore stesso avrebbe fatto se fosse stato in grado di tradurselo da sé in un’altra lingua. Un paradosso a cui non si può porre rimedio. Meglio leggere la letteratura di casa propria, allora.
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Dunque il paradosso è un’antinomia, ma credo basti che il traduttore sia conscio della propria responsabilità e si adoperi per svolgere bene il proprio mestiere. Io stesso ho provato a tradurre dall’italiano all’inglese i dialoghi del fumetto che sto pubblicando sul blog, in modo da dare entrambe le versioni: è un lavoro molto complesso, che a volte mette di fronte a problemi non facili. Nel mio caso ho dovuto cancellare nella traduzione una gag basata sull’allocutivo plurale (il vecchio “Loro”, che oggi non si usa più ma stava bene nel contesto), perché in inglese si dà solo del ‘voi’.
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A me il punto e virgola piace. Lo uso spesso. Non concordo però con l’idea che la punteggiatura non serva a definire il ritmo e l’intonazione di una frase. Sarà che leggo spesso ad alta voce (specialmente i dialoghi): un punto o una virgola possono fare una differenza non solo per il significato della frase, ma per l’andamento generale del testo. E a volte il nostro amico ; può portare una musicalità diversa, e dare un effetto completamente diverso rispetto ad altri segni di interpunzione. Detto ciò, ne faccio ricorso soprattutto nelle situazioni: 2, 3, 6, oltre che per le opposizioni. Per le precisazioni, invece, tendo a usare i due punti. 🙂
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La punteggiatura può fornire un’intonazione nei dialoghi e nel “parlato” – ad esempio la “prima persona”. Tuttavia è sbagliato attribuirgli un intonazione o una pausa così come è di moda oggi. La punteggiatura adoperata correttamente serve a marcare il testo, la struttura, e a coordinare gerarchicamente gli argomenti; se dovesse anche fornire un valore intonativo, i punti che abbiamo a disposizione non basterebbero. Poi bisognerebbe attribuire anche dei valori: ad esempio, che valore intonativo ha la virgola? Discendente o ascendente? La virgola non ce lo dice. Non è questo il suo lavoro. I punti interrogativo, esclamativo e di sospensione, diversamente dagli altri, forniscono invece anche questa informazione.
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Sono sicura che tu abbia capito benissimo cosa intendevo, anche senza “spiegoni”. 🙂
Per il resto, sono d’accordo che oggi gli si attribuisca esclusivamente un valore di pausa. Conoscono “qualcuno in ufficio” che scrive senza punteggiatura, poi fa leggere le persone ad alta voce dicendo “metta una virgola lì”, oppure “metta un punto, “Dopo circa tre o quattro ore, sceglie ciò che gli piace di più…
(…e questo spiega perché mi sia esaurita…)
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Sì, certo. 🙂
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Interessante. Solo che l’uso dei periodi corti da tempo si è mangiato il punto e virgola. A me suona opportuno nei periodi lunghi e nei discorsi articolati. Però essendo un’amante dell’anadiplosi farò qualche tentativo per inserirla più spesso.
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Vero, il periodo breve ha escluso molte occasionidi adoperare il punto e virgola.
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Hai dimenticato, per il punto e virgola, il vero uso universale e acclarato ai tempi dei social:
L’occhiolino. ;
Senza occhiolino finale non sai quanti rapporti di amicizia si guasterebbero; interpretazioni errate sul senso conclusivo della frase; sposi finirebbero in tribunale per un equivoco su whatsapp. Senza un ; occhiolino scoppierebbero guerre di religione; i complottisti andrebbero in confusione nei gomblotti; i linguisti perderebbero l’ultimo baluardo per non cancellare dalle grammatiche l’ei fu punto e virgola.
Insomma, non sottovalutate mai un occhiolino come ultimo messaggio della sera.
Amen 😉
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Fantastico sei davvero fantastico, io nemmeno ci avevo pensato a questo uso alternativo!😉
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Chiedo venia. 😉
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Va bene che non è narrativa, ma il punto e virgola dovrebbe essere usato anche negli elenchi puntati o numerati, ad eccezione dell’ultimo che deve avere il punto. Esempio:
01. Funzione parentetica: bla bla bla;
02. Carattere seriale: bla bla bla;
…
0n. Finale: bla bla bla.
Per lo meno così ce lo spacciavano in dattilografia.
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Rientra nel carattere seriale, ma hai ragione a precisare – e credo di essermene scordato – che in un elenco verticale il punto e virgola è l’unico punto possibile (a parte l’ultimo, certo). 🙂
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Complimenti, si sente sempre di più il bisogno di pagine come queste e, sempre più, si avvertono le abdicazioni della scuola.
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Grazie Nadia, benvenuta nel blog.
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Ok, lo ammetto, il punto e virgola mi sta antipatico. Adesso mi sforzerò di usarlo un pochino di più. Di certo anche questo tuo post è meraviglioso. Insegnassi al liceo lo userei moltissimo (alle medie è già una conquista “mai virgola tra soggetto e verbo”).
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Sarebbe interessante sapere il perché, lo odi. 🙂
P.S. grazie.
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Io il punto e virgola non lo o usare, lo ammetto, e quindi lo evito, però l’ultimo esempio è stilisticamente superbo 🙂
Probabilmente il declino di questo segno… (com’era già?) è anche dovuto al progressive accorciarsi dei periodi alla ricerca di una certa semplicità stilistica, in modo forse un po’ ingenuo (un un romanzo letto di recente c’era un period lunghetto, più di una pagina, restando però “semplice” e di facile comprensione)
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Può darsi, certo, ma questo se prendiamo in considerazione solo la narrativa; la narrativa non è l’unica cosa che si può scrivere: manuali, saggi, diari, lettere, mail, e via dicendo. La brevità è una possibilità; non è la sola possibilità. 🙂
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Nei manuali che scrivo io la brevità delle frasi è un’esigenza (anche perchè non vorrei mai perdermi tra le subordinate in inglese) e in genre ce la caviamo con una formula matematica o con uno schemino 😛
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P.S. spero che l’anadiplosi non sia contaggiosa 😛
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Un po’ lo è! 😛
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sarà per quello che sono pieno di puntini rossi? anzi, a essere più preciso, pontievirgolini rossi…
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Wow, ho capito finalmente come usare il punto e virgola, sappi che ormai ho la lista di preferiti pieni di tuoi post sulla punteggiatura, questo è il più importante. Grande Prof. Anfuso 😍
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Prego. 🙂
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Oh, io sono una fan accanita del ;
È elegante, serio, ha una sua austerità. Mi piace un sacco e lo uso in tutti i modi in cui va usato (pure quello di occhiolino.)
Che sciocchezza ritenerlo superato, come se un segno grammaticale potesse subire l’evoluzione degli usi correnti della lingua.
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Condivido. 🙂
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Sono uno di quelli che non lo usa quasi mai. Faccio fatica a trovare un uso concreto nella scrittura di narrativa e ho letto quindi con interesse l’articolo. Non avevo mai considerato il punto sei, probabilmente perché non ne faccio un grande uso. Per il due, la maggior parte dei casi può essere tranquillamente affidato alle virgole, a meno che le frasi seriali siano davvero complesse, ben più di quelle dell’esempio. E tendo a non usare frasi in serie complicate e lunghe. Insomma credo che continuerò a usarlo poco, la mia impressione è che sia un segno destinato all’oblio, che a noi piaccia o meno.
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E’ legittimo scrivere come ci si sente di scrivere, mario. Per l’esempio nr. 2 però non concordo: il paragrafo citato di Ballestra non lo si sarebbe potuto scrivere in quel modo col solo uso delle virgole; non senza danneggiare fortemente la comprensione del lettore.
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Tu dici? Forse sono io che mi aspetto troppo dal lettore, in quel caso avrei usato tutte virgole, senza pensarci molto. Anche se ammetto che difficilmente l’avrei scritta così.
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«Nina e Luciana si conoscevano da sempre, e insieme, dall’inizio, conoscevano l’odore della terra, la voce dei fossi e il fresco dei magazzini degli attrezzi; la bruschetta fragrante, cotta sulle braci del focolare e strofinata con aglio e olio; i sentieri nascosti per raggiungere le vecchie case abbandonate; l’intero e mutevole universo di minuscoli animali e piante e fiori di campo che dialogavano con la luce, la pioggia e l’aria». Indubbiamente ci sta il punto e virgola: l’odore della terra e la “voce dei fossi” non hanno molto in comune con la bruschetta fragante. 🙂 Sono ordini di idee, e quindi separati.
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