Il successo stocastico dello scrittore

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Le ragioni infondate dei più «adatti»

Si può ragionevolmente sostenere che la specie umana, fra tutte le specie esistenti sul pianeta Terra, sia la più adatta a sopravvivere? Il termine «adatta» lo intendo in senso darwiniano. Già al suo avvio questa tesi comporta seri problemi; il primo dei quali è capire se la specie umana sia la più «adatta» nel contesto attuale o in senso assoluto. Poi, seguendo il filo del ragionamento, sarebbe lecito supporre che all’interno della stessa ci siano individui più «adatti» di altri. Ora, facciamo finta che tutto questo sia vero e, seguendo uno schema prettamente rigido, diciamo che sì, la specie umana è quella più adatta a sopravvivere nel contesto attuale; e che sì, all’interno di questa ci siano individui più adatti di altri.

Un meteorite colpisce il pianeta Terra…

La specie umana è ancora la più adatta a sopravvivere? Se ci figuriamo di sì, sarebbe lecito aspettarsi che coloro destinati a sopravvivere siano solo o soprattutto gli individui che rientrano nella categoria dei «più adatti». Ora, fingiamo che il meteorite colpisca, in particolar modo, New York e fingiamo che, casualmente, proprio a New York fossero concentrati in quel momento il maggior numero di individui «più adatti»…

Nonostante a sopravvivere non siano solo i più «adatti» ma anche i più «adattabili», questo scenario ipotetico dovrebbe far comprendere quanto il caso agisca sul destino delle specie almeno quanto l’adattabilità darwiniana.

Nel 2005[1] un pool di studiosi ha condotto delle ricerche su un certo genoma all’interno della popolazione femminile islandese. Questa ricerca aveva individuato una rottura su larga scala del cromosoma umano 17. Le donne islandesi affette da questa anomalia avevano il 10% di figli in più (è chiaro che si tratti di una media) rispetto alle donne in cui questo cambiamento non era avvenuto. Per cui si può ragionevolmente affermare che le donne appartenenti al primo gruppo (quelle in cui era presente il cambiamento) sono il 10% più «adatte» – se consideriamo la procreazione un indice di successo – delle donne appartenenti al secondo gruppo. E in effetti 2.657 donne fra queste avevano 5 o più figli. Tuttavia ben 764 aveva generato esattamente 0 figli. Nonostante fossero le più «adatte», una cospicua parte di queste donne non aveva procreato proprio per nulla.

«Qualunque individuo particolare (o gene) può essere il 10% “più adatto” della popolazione generale, eppure non si lascia prole (o copie di geni) alle spalle».[2]

Il punto è che al di là della propria «adeguatezza», cioè delle caratteristiche genetiche di chiaro successo, il caso ha comunque un ruolo rilevante; forse più rilevante di quanto Darwin stesso potesse sospettare. All’interno di un contesto in cui gli effetti stocastici sono controllati o ridotti a zero è probabile che l’individuo che mostra caratteristiche di migliore adattabilità sia quello che effettivamente ha più probabilità di sopravvivenza. Poi c’è la realtà…

La realtà è fatta di avvenimenti casuali che si susseguono e si alternano in modo stocastico. La realtà non è definibile in laboratorio, perché a differenza di essa il laboratorio è un luogo controllato. La realtà è tutto tranne che un contesto controllato. Infatti si parla di probabilità, mica di certezze. La statistica che si riferisce alla diffusione di un certo genoma non riguarda il singolo individuo: che per quanto più adatto di altri può comunque estinguersi senza lasciare traccia genetica di sé; la statistica riguarda la media demografica, dove le probabilità che una certa caratteristica di successo passi il punto critico e si diffonda nella popolazione attraverso le generazioni dipende dalla selezione naturale.

«[…] quando compaiono nuove varianti genetiche, gli individui con quei caratteri devono prima risalire da un “pozzo di gravità stocastica” non controllato dalla selezione naturale».[3]

La stessa cosa credo si possa dire degli scrittori: non sono i «più adatti» coloro che finiscono per pubblicare o avere il maggior successo di pubblico (in termini di vendite); c’è in tutto questo  una prevalenza stocastica degli eventi, gli stessi che portano un certo manoscritto all’attenzione del curatore più «adatto» a leggerlo e poi, una volta pubblicato nella forma libro, all’attenzione del pubblico più «adatto» ad avvertirne l’inevitabile affinità elettiva. A quel punto il seguente passa parola, l’attenzione dei media, le buone recensioni più o meno spontanee, l’esposizione sempre più copiosa nelle vetrine delle librerie, il susseguirsi di ristampe e l’occupazione coatta di ogni spazio pubblico dedicato alla diffusione della cultura sono solo una conseguenza prevedibile di un fenomeno di cui si ignora l’avviamento.

Insomma questa cosa dell’evoluzione darwiniana, secondo me, è decisamente sopravvalutata; giocano a mio avviso un ruolo molto più importante il caso e la fortuna – stocasticamente parlando.

«[…] Nel lungo periodo però la fortuna tende a essere uniforme, quindi conta poco, a meno che non ci siano eventi catastrofici e rari. Ora, a essere pubblicato è chi soddisfa meglio le aspettative del curatore. Poiché tu non sai chi è il curatore, la fortuna sta nel trovare il curatore giusto. Il successo dipende da dinamiche sociali, sia dal gusto individuale che dalla volontà di imitare il gusto altrui. Poiché anche queste cose sono imperscrutabili, perché troppo complesse, la fortuna sta nell’azzeccarci».[4]

Se nella media, quindi, la fortuna conta poco perché tende a uniformarsi, nel caso singolo essa conta tutto poiché per diffondere il proprio successo genetico (un romanzo è come un figlio) uno scrittore deve prima risalire da un «pozzo di gravità stocastica».

Fossi in voi, cari follower, mi armerei di rampini…

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Note

[1] Hreinn Steffanson, Nature genetics, 2005 ⟶ link
[2] Robert C. Berwick e Noam Chomsky, Perché solo noi, Bollati Boringhieri 2016
[3] Ivi p. 28
[4] Alessio Montagner, discussione privata su FB

78 Comments on “Il successo stocastico dello scrittore”

  1. Ammetto che avevo letto “il successo scolastico dello scrittore” e mi aspettavo un pippone sul mondo della scuola 😛
    Beh, secondo Darwin il caso è fondamentale, perchè le mutazioni sono casuali 😉
    Comunque un giorno un giornalista chiese a Einstein se fosse possibile che un genio possa restare incompreso e quindi sconosciuto e lui rispose: “No! Perhè la genialità sta proprio in quello”
    Punti di vista 😉

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    • Però qui non parliamo di geni, ma di aspiranti scrittori: due cose molto diverse, secondo la mia esperienza. 🙂

      La domanda che mi sono posto quando ho cominciato a stendere questo articolo è: basta essere “geneticamente” portati per diventare scrittori? Con “scrittori” intendo riferirmi alla figura topica dell’immaginario comune: un romanziere di successo. La risposta è che sì, forse la predisposizione può aiutare, ma prima bisogna risalire da un «pozzo di gravità stocastica» dove, il successo “genetico”, si gioca la sua mano a una partita di poker con la fortuna. 😛

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      • Come non parliamo di geni, e tutto quell discorso sui geni mutati? XD
        Tornando seri (no, vabbè, questa non faceva ridere) Anche nel poker non è detto che sia il più fortunai a vincere, anzi, spesso vince chi sa giocarsi melio le carte che ha in mano (geneticamente più portato ad adatarsi all’ambiente).
        Il caso ti porta a dover tirare fuori i geni (o altro, in un discorso tra maschi :P).
        Certo che il caso (una buona mano) può portarea vincere (sopravvivere/pubblicare) anche chi non ha le caratteristiche adatte.
        Oh, poi il pozzo tocca sempre scalarlo 😛

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        • Vero, a poker si può vincere anche se la mano che ti è toccata non è la migliore della tavolata; e questo spiega perché alcuni individui riescono a fare cose straordinarie pur non forniti di caratteristiche straordinarie (per fare un esempio nel campo della scrittura mi viene in mente Fabio Volo, e non vuole essere una critica). Infatti non è solo una questione di fortuna ma, a parità di caratteristiche e di meriti, la fortuna è tutto.

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  2. Secondo me, alla luce di questo tuo discorso che in linea di massima condivido, bisognerebbe provare a cambiare la prospettiva con cui si fanno le cose, ovvero prenderle meno sul serio. Come mi pare hai detto anche tu qua e là, in fondo scrivere è un gioco, ma spesso tralasciamo proprio la parte ludica perché diamo troppa importanza o, meglio, dimentichiamo la leggerezza che ci dovrebbe accompagnare mentre lo facciamo.
    Ma la vita stessa richiederebbe maggiore leggerezza, perché poi ti capita il famoso meteorite, o anche solo un terremoto o un ictus, e capisci che tutto quel peso che avevi prima sono stati tempo ed energia sprecati.

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    • Concordo: non abbiamo mai veramente il controllo sul nostro destino e, per quanto desideriamo intensamente qualcosa, può sempre capitare un “cigno nero” (tecnicamente si definisce cigno nero un evento che non era possibile prevedere). Tuttavia, lo ripeto, la domanda alla base di questo post è: basta essere predisposti per riuscire in quello che si fa? A te la risposta. 🙂

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      • Non sono religiosa ma mi viene in mente la parabola dei talenti. Dio o chi per esso, o la Natura, distribuisce le carte, poi sta a ciascuno di noi giocarsi la partita.
        L’unione di predisposizione naturale, impegno e caso formano una triade indissolubile che si avvita continuamente e che rende impossibile scindere una cosa dall’altra. E per fortuna che ci sono tutte queste componenti, altrimenti sarebbe tutto già predefinito e mortalmente noioso, oltre che contrario alla libertà personale. 🙂

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  3. Bene, quando finirò di scrivere il mio mai completato romanzo cercherò di ricordare quest’articolo e spererò intensamente di trovare un curatore interessato. Il problema è se il mio stile sia o no appetibile per l’editoria, ma prima che finisca potrebbero essere cambiate sei o sette mode letterarie…

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  4. Nemmeno a farlo a posta la prossima settimana parlo di coincidenze, un argomento che si sposa a pennello con quanto esce dal tuo ragionamento. Essere geneticamente predisposti è il primo segnale, poi arriva il resto, ma tu lo sai bene… ti sei sempre imbattuto in case editrici, critici letterari, scrittori etc senza cercarli. “Quasi come se la direzione del mio destino fosse in qualche modo segnata.”
    Esistono altri fattori a mio parere che permettono all’individuo portato di fare esattamente quello per cui è predisposto. Intanto la lucidità degli intenti, la passione e poi una buona dose di fortuna che da sempre aiuta gli audaci.
    Molto bello questo post.

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    • Grazie, Nadia. Eppure, se non scriverò mai un romanzo, non sarei diverso da quelle settecento e passa donne islandesi che, pur avendo caratteristiche genetiche vincenti, di figli non ne hanno generato nemmeno uno. E questo avendo pure la fortuna dalla propria. 😛

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      • Ah, eccola la morale del post.
        O il messaggio, che dir si voglia.

        In effetti ieri, dopo essere stata inondata da certe richieste, ho fatto proprio questa riflessione. Ci vuole una certa dose di sconsideratezza se si vuole scrivere.

        L’autore che prende troppo sul serio l’attività di scrivere qualcosa che gli passa per la testa, viene surclassato da una folla di persone che non prende sul serio proprio niente, nemmeno la grammatica.

        Dovremmo addentrarci, a questo punto, sulla qualità di ciò che si scrive. Ma mettiamo l’argomento un attimo da parte.

        Alla fine quello che davvero conta, se un individuo vuole provare a buttarsi nella mischia, è iniziare un romanzo (o un racconto) e finirlo. Poi, chissà…

        E lo dice una che tampina Salvatore e un certo Davide per leggere i loro romanzi. 😉

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  5. Quindi la tua conclusione è che tutto si riduce a una gran botta di fortuna? Ovvero che la catena degli eventi si predisponga affinché lo scrittore abbia successo?
    No, io credo di no. Per ragioni empiriche, all’interno della razza umana, non è così. La selezione della specie non è paragonabile alla selezione degli scrittori. E non basta soltanto dire che l’evoluzione generale non si presta ai singoli.
    C’è una famosa barzelletta dove un povero disoccupato invoca San Gennaro.
    «San Gennaro, ti prego, fammi vincere.»
    Il giorno dopo: «San Gennaro ti prego, se mi fai vincere la lotteria, io diventerò il più devoto dei tuoi fedeli.»
    E così per mesi, anni, ogni mattino al risveglio: «San Gennaro ti prego fammi vincere.»
    San Gennaro dal paradiso, stufo delle suppliche, con tutta la sua gloria appare al povero disoccupato e dice: «Ma disgraziato che non sei altro, io da parte mia, ti vorrei pure fare vincere la lotteria. Ma tu, almeno, compratelo il biglietto!»
    Aiutati che il ciel ti aiuta.
    Se l’aspirante scrittore è passivo. Se non conosce il mercato e le dinamiche editoriali. Se non sa (e la quasi totalità degli scrittori non lo sa) cosa è un contratto editoriale e firma alla cieca. Se lo scrittore non ha una forma mentis disposta al sacrificio, ad adattarsi alle esigenze. Ecco che sì. Il suo futuro è tutto appeso a un indeterministico e improbabile caso.
    Viceversa, uno scrittore determinato, consapevole, dinamico, disposto a mettersi in gioco, avrà molte più probabilità di far fronte alle difficoltà del sistema.
    Ma spesso, anche lo scrittore capace di comprendere le dinamiche editoriali, si taglia possibilità, perché si rintana dentro preconcetti mentali, sociali, di status.

    Ad esempio, tu non pubblicheresti mai in self publishing. Io non pubblicherei mai, da esordiente, con un editore.
    La mia scelta sembra più insensata della tua. Ma il mio non è un fondamentalismo. Ma un chiaro calcolo ragionato dei pro e dei contro. Ma soprattutto un calcolo ragionato fra i pro, i contro e le mie attitudini.
    Se domani Mondadori mi mettesse sotto gli occhi un contratto editoriale, io direi: grazie mille, ma al momento desisto.
    Perché questa follia?
    Proprio perché conosco le caratteristiche stocastiche dell’editoria, l’ho studiata a fondo, ne conosco le dinamiche e so che il rischio di bruciarmi esordendo con un editore, grande o piccolo che sia, è altissimo.
    Io non sono disposto ad affidare il mio destino a un direttore editoriale che mi sceglie. A un editor che indica la linea della revisione e mi impone il titolo del romanzo. Non sono disposto ad affidare il mio destino alla capacità del rappresentante del distributore che prova a far preordinare il mio libro ai librai. E se quel giorno il rappresentante ha mal di pancia e spiega il mio libro per ultimo e in maniera frettolosa? E se proprio quando devo pubblicare io c’è una ventata di best seller in arrivo e i librai non possono ordinare il mio perché già sono ingolfati di altri altisonanti scrittori? E poi affidarsi agli addetti marketing dell’editore. Gli esperti marketing dell’editore sanno che alcuni libri sono di serie A e devono essere spinti al massimo. Altri di serie B e spinti così così. Altri di serie C spinti al minimo. Mentre io sto ignaro nella mia stanzetta, trepidando perché l’editore sta facendo del suo meglio, in realtà ho affidato il mio libro, il mio sogno sul quale ho sputato sangue per anni, a una catena di eventi di cui non posso determinare nulla.
    Gli scrittori concepiscono il mondo editoriale come il migliore dei mondi possibili. Ma in realtà, non è un sistema adatto per esaltare i singoli scrittori. E’ un sistema in cui un editore deve trarre reddito su tanti scrittori. Il singolo romanzo è una meteora pubblicata che a un mese dal lancio, massimo tre mesi o arriva ai lettori o muore. Per l’editoria il mio libro a tre mesi dall’uscita sarebbe già vecchio. Ci sono le novità, le nuove proposte che spingono fuori pista il mio libro. Se entro questo brevissimo lasso di tempo, il mio esordio non si afferma, io sono subito bruciato. I librai rispediscono indietro il libro, l’editore smette di promuoverlo e l’oblio cala sul mio romanzo e sulle mie speranze come un telo ineluttabile.
    E se al mio libro per emergere nel sistema editoriale occorreva un mese in più? Cosa posso fare? Nulla.
    Un libro pubblicato e fagocitato dal sistema non ha altre chance. E’ andato. Scrivine un altro se vuoi, ma l’industria editoriale funziona così. E’ una macchina che corre, i libri entrano ed escono di continuo.
    Eh no. Io non affido la mia sorte alle circostanze stocastiche altrui. A una serie infinita di fattori che io non posso controllare.
    Vado in self publish. Divento uno scrittore indipendente. Anziché tre mesi di tempo, ho a mia disposizione anni perché il mio libro possa arrivare ai lettori. Non ho fretta. Se per emergere mi devo formare e studiare grafica, marketing, impaginazione, social e tutto quel che occorre. Io lo faccio. Non mi tiro indietro di fronte a nulla. Sono disposto a sacrifici immani.
    Io semplicemente ripongo il mio destino fra le mie mani. Nella buona, come nella cattiva sorte.

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    • Vedi perché sei il mio scrittore preferito? 😉

      Questa è una delle analisi più intelligenti e motivate mai lette.

      E giusto per avvalorare la riflessione di Marco, sapete chi è stato il primo autore a scrivermi ieri? Uno che ha esordito con una importantissima casa editrice a febbraio scorso e non ha avuto uno straccio di promozione.

      Morale: il suo romanzo, dopo sei mesi era vecchio. Nessuno l’ha considerato più.
      E Riccardo Bruni, autore self-publisher di Amazon, ha 130 recensioni in più di lui.

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      • Grazie Stefania, ma se mi dici scrittore preferito mi fai arrossire e non mi riprendo più. 😀

        Eh, se mi decidessi a pubblicare sul mio blog, non sai quante altre riflessioni ho scritto.
        Perché spesso si danno per scontate dinamiche che non lo sono affatto.

        Quando un editore scrive sul contratto editoriale (ho lo screen e parlo di un top editore) che la promozione è a discrezione dell’editore. Significa che l’editore può fare ciò che vuole del destino del libro. Un esordiente non ha la forza contrattuale per modificare una tale clausola. Nel contratto dovrebbe esserci scritto punto per punto le azioni di promozione che l’editore intende intraprendere. Se non convincono, non conviene firmare. Perché poi il libro resta vincolato per cinque, dieci o venti anni. A seconda del vincolo che impone l’editore. Per fortuna in Italia il tempo massimo è venti anni. E tutti gli scrittori dovrebbero ringraziare Salgari. Il suo disgraziato suicidio, anche a causa degli editori che non lo pagavano, ha generato il diritto d’autore italiano così come lo conosciamo. Ma figurati che negli Stati Uniti non c’è un limite massimo. I diritti possono essere ceduti a vita all’editore. Ecco perché lì, la ribellione del self publishing, è più forte.

        Quando si parla di opportunità e di caso, bisogna tenere in considerazione, la reiterazione degli eventi.
        Mentre con l’editoria hai un colpo soltanto: libro pubblicato, o la va o la spacca.
        Col self publishing, da scrittore indipendente, pubblichi il tuo libro e vedi cosa succede.
        Magari il libro così com’è ha del potenziale, ma non funziona. Lo scrittore essendo padrone del suo destino, può tornare a revisionarlo e lo ripubblica. Aggiunge e toglie personaggi. Può ritentare quante volte vuole. E se ripubblicare lo stesso libro sembra una pratica strana, ricordiamoci che Manzoni, in self publishing, i Promessi Sposi lo ha ripubblicato tre volte.
        Un editore invece, per contratto, impone che il libro non può essere modificato. Pena gravi sanzioni allo scrittore. Un editore non concede mai una seconda possibilità. Perché ogni pubblicazione è un costo e non si rischia di nuovo su di un prodotto che già non ha funzionato.
        Invece col self publishing hai la flessibilità di modificare il libro, cambiare la copertina, modificare il prezzo.
        Nell’editoria è l’editore che sceglie il prezzo. E se l’editore pone il libro dell’esordiente a 19€ come fosse un Stephen King? Magari un esordiente a 12€ il libro si vende, a 19€ no. Cosa può farci lo scrittore? Nulla. La scelta economica dell’editore, anche se suicida, è vincolate. Pazienza, libro buttato perché l’editore ha sbagliato prezzo.
        Per uno scrittore che deve esordire, è vitale un parametro: la flessibilità.
        Più sarai flessibile, minori saranno le possibilità del caso.
        Se la promozione iniziale non funziona, con l’editoria è finita. Col self publishing correggi il tiro.
        Poi le cose possono andare male a prescindere. Ci mancherebbe. Se il libro non piace non piace. Però, quando sembra che sia finita, non è mai finita sul serio. 😉

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        • «Invece col self publishing hai la flessibilità di modificare il libro, cambiare la copertina, modificare il prezzo», vero, ma non fa davvero la differenza. Leggi sotto. 🙂

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    • Finalmente sono riuscito a stanarti. Questo post l’ho scritto per te (ma anche un po’ per me). Dunque, partiamo da questa affermazione: «Io non affido la mia sorte alle circostanze stocastiche altrui». Quindi ammettiamo che “c’è dello stocastico nella Repubblica delle Lettere!” [cit. Amleto]

      Diciamo che il sistema editoriale da te ben descritto emula, prendendo non il destino del singolo individuo ma quello di un gruppo cospicuo di scrittori, ciò che può succedere in natura con la selezione naturale delle specie: un gruppo di scrittori – a parità di «determinazione, consapevolezza, dinamismo, disposizione a mettersi in gioco» e, aggiungerei, di talento – invia il proprio manoscritto a una casa editrice (ma potremmo tirare in ballo anche Amazon perché, pur variando i fattori, non noto differenze sulla dinamica: su Amazon la concorrenza con altri scrittori è più feroce perché più numerosa, tanto che distinguersi dal mucchio è una vera e propria sfida; ad Amazon non interessa che Marco Amato venda molto, interessa che tutti quelli che tentano la via del self vendano ai propri parenti almeno una copia; Amazon non promuove il tuo libro attraverso i librai e i media tradizionali ma comunque si prende il 30% dei tuoi profitti; attraverso Amazon pubblicano tutti, ma pochissimi vengono realmente notati al di fuori della propria piccolissima sfera di influenza e via dicendo) e questa ne seleziona alcuni – tutti non può. Tra quelli che seleziona ne spingerà di più alcuni, di meno altri; questo per ragionamenti suoi che, mi pare, in parte hai descritto. Il pozzo stocastico da cui risalire comincia da qui ma non si ferma qui (e vale anche per Amazon, come dicevo).

      La fase successiva della scalata riguarda il rapporto col pubblico; e non parlo solo dei lettori, ma anche di coloro che possono spingere il tuo libro all’attenzione della massa: blogger, giornalisti, critici, librai e via dicendo. Roberto Saviano, con Gomorra, è stato notato per alcuni pezzi pubblicati su Nazione Indiana. Quando ha pubblicato con Mondadori, il suo libro non è stato spinto più degli altri (sono affermazioni dichiarate da tutti i coinvolti); a spingerlo sono stati gli stessi camorristi che dalle carceri ne ordinavano le copie per leggere di se stessi. Eccolo, lo scrittore che per un “cigno nero” assolutamente imprevedibile (perché che Saviano avesse previsto, scrivendolo, che il suo romanzo sarebbe soprattutto stato letto dai cammorristi, almeno all’inizio, non ci credo nemmeno se lo afferma lui stesso) risale piano piano il “pozzo stocastico”. Sarebbe successo, probabilmente ma con qualche difficoltà in più, anche se Gomorra l’avesse pubblicato attraverso Amazon in self-publishing; con più difficoltà, dicevo, perché una casa editrice come Mondadori, per il solo nome, attira più attenzione nei lettori conferendo al libro una maggiore dignità. Tutto quello che ha fatto Saviano successivamente, compreso fare in pubblico i nomi dei camorristi denunciandoli, ha contribuito al successo del libro.

      Ora, possiamo distinguere in questa vicenda due elementi: il primo è il caso; il secondo è la “grinta” dello scrittore (nel promuoversi). Ciò che invece non possiamo individuare nella vicenda, perché non ci sono o non influiscono completamente, è il tipo di piattaforma (anche se…) e la bravura dello scrittore. Io ho letto Gomorra: il livello di scrittura è medio, nel senso che non ho notato un attitudine superiore alla media (lo scrittore stesso si affida più agli argomenti e al modo in cui vengono spiattellati [iper-realismo] che alla sua capacità di narrarli) e la piattaforma… Anche se Mondadori, per il solo nome, ha facilitato le cose, nulla sarebbe cambiato se il libro fosse apparso su Amazon. Al massimo avrebbe impiegato più tempo e più fatica.

      … e tu lo sai che in fondo io sono un pigro. Per cui anche il mio non è fondamentalismo, ma un «chiaro calcolo ragionato dei pro e dei contro». XD

      Quindi gli elementi per uscire dal “pozzo stocastico” sono, non la piattaforma e l’attitudine, ma il caso e la grinta. Dando per scontato (anche se non è vero) che tutti ci mettono grinta, il caso (stocastico) fa la differenza.

      … e dimmi che non sono un retorico nato! 😛

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      • Eh lo sapevo che prima o poi mi stanavi di nuovo.
        Il problema sai qual è? Almeno quello che vedo io. E’ che mentalmente, noi che vogliamo scrivere, rivolgiamo lo sguardo a chi ce l’ha fatta. Tu riporti Saviano. O con Davide citi Paolo Giordano. Esempi mirabili. Ma io invece, che devo esordire, non guardo chi ha scalato il pozzo. Ma chi non ce l’ha fatta. Ed è la maggioranza.
        Perché non ce la fanno?
        Quanti esordienti Mondadori ogni anno non ce la fanno, pur pubblicando col più grande editore italiano? Con loro la macchina bellica della promozione è al top. Ma la maggior parte non riesce lo stesso. Perché il mercato è difficile. Non so se hai letto l’interessantissimo articolo del post sui cento libri più venduti nel 2016. Io me lo sono studiato ben bene, tutti i numeri. Chi ha venduto e quanto hanno venduto. Ad esempio è interessante sapere che per entrare nella top 100 dei libri più venduti in Italia, occorrono soltanto 30 mila copie. Che sono tantissime, ma che per un editore grosso, è un obiettivo alla portata.
        Io non dico che il self publishing è migliore. Assolutamente. Il self publishing è la scelta migliore per me, per le mie caratteristiche. Io sono uno che se l’è cavata sempre da solo. Non ho mai scritto un curriculum né cercato lavoro. Quando il mio lavoro non funziona più, semplicemente mi guardo attorno e me ne invento un altro. Quindi andare nel self publishing è il mio terreno ideale. Io ho bisogno di riscontri con un pannello di controllo, di vedere ogni giorno come funzionano le mie strategie. Non potrei mai vivere con i report trimestrali di un editore sull’andamento delle vendite.

        Se un amico mi domandasse. Ho un contratto Mondadori in mano, che faccio lo prendo o vado in self publishing? Direi subito firma con Mondadori, ma prova a negoziare le clausole. Diritti secondari o accessori, possono essere importanti.

        Secondo me in self publishing dovrebbe pubblicare chi è disposto a mettersi in discussione. A compiere un percorso più complicato.
        Ma soprattutto per scegliere occorre conoscere bene i meccanismi dell’editoria. Valutare pro, contro e opportunità. Purtroppo, chi vuole fare lo scrittore, deve comprendere che non si può vivere di sola scrittura. Ogni strategia, va rapportata alla propria attitudine.

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        • Davvero, secondo me, il tipo di piattaforma non è il nucleo del discorso. Entrambe, il self o l’editoria tradizionale, hanno vantaggi e svantaggi. Tanti ogni anno pubblicano con grandi o quotate case editrici e non emergono; tantissimi ogni anno pubblicano in self e non emergono. Non mi fossilizzerei sul discorso delle piattaforme. Il punto è un altro. Il punto è il caso. E se è vero quello che dice Montagner: cioè che nel lungo periodo la fortuna tende a uniformarsi (dimenticando però di inserire nell’equazione anche lo spazio, cioè la massa dei “concorrenti”), è altrettanto vero che per il singolo individuo il caso è tutto. Dobbiamo quindi piegarci al volere del destino? Forse… in alternativa si può andare a caccia di “cigni neri”. 😉

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          • Sì, certo. La piattaforma non è la discriminante.
            La capacità dell’autore è tutto.
            Come dicevo in un altro commento.
            Io ho seguito il tour di presentazione del libro di Andrea De Carlo.
            Per più di un mese, il povero figlio, ha trottato per tutta l’Italia con un forcing incredibile. Faceva due, ma a volte anche tre presentazioni al giorno.
            Considera che quando l’ho visto io, in mattinata aveva presentato il libro a Caltanissetta. Nel pomeriggio a Catania.
            Quindi presenta il libro, parla con i lettori. Poi di corsa in auto, il tragitto. Pranza. Di corsa nella nuova libreria. Presenta, parla. E a sera, cena con i lettori.
            L’indomani di nuovo. Di corsa, per altre presentazioni.
            Più di un mese questa vitaccia. Tanto di cappello. E’ uno scrittore affermato. Forse leggermente in declino con gli ultimi libri. Ma si è profuso alla grande.
            Quanti altri scrittori affermati o semi, sarebbero disposti a un tour così sacrificante?
            I piccoli devono emergere. I grandi devo mantenere lo status. Ma se si vuol fronteggiare il caso, nel mezzo ci sono sempre tanti tanti sacrifici.

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        • Veramente io citavo Giordano come uno che ha avuto unßottima mano ma si è accontentato di tirare su il piatto 😛
          Comunque se Mondadori mi offrisse un contratto (qui siamo però fuori dal campo delle probabilità 😛 ) mi rivolgerei a un agente, uno di quelli bravi (ce ne sono un paio in Italia), da solo non mi fiderei 😉

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          • L’agente è già una scelta saggia.
            Il problema però la forza contrattuale. Un esordiente, di fronte a Mondadori è una pulce. Può poco. Se si presenta l’agente di Baricco, Andrew Wylie, l’agente editoriale più potente al mondo, ecco che… le cose cambiano. 😀

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  6. “Quando un editore scrive sul contratto editoriale (ho lo screen e parlo di un top editore) che la promozione è a discrezione dell’editore. Significa che l’editore può fare ciò che vuole del destino del libro. Un esordiente non ha la forza contrattuale per modificare una tale clausola. Nel contratto dovrebbe esserci scritto punto per punto le azioni di promozione che l’editore intende intraprendere. Se non convincono, non conviene firmare. Perché poi il libro resta vincolato per cinque, dieci o venti anni.”

    Secondo me il fulcro del discorso sta tutto qua, invece.

    La promozione è la chiave.
    Serve una community di persone per farsi leggere, e senza andare a citare inglesismi tecnici, bisogna attrarre lettori.

    La promozione non è altro che attrazione, seduzione.

    Se conosci il tuo pubblico sai che profumo metterti.
    Una volta l’editore il pubblico te lo creava, produceva il profumo.

    Ora noi lettori forti siamo bombardati.
    Nemmeno l’editore capisce bene a che target riferirsi e infatti ha dei nomi di punta che sfornano un romanzo all’anno, senza i quali dubito starebbe a galla.

    Agli esordienti, anche se strappano un grande contratto editoriale, rimane comunque l’onere di produrre il profumo, prendendo, se va bene, solo il 10% (ma più probabile l’8 o il 7%). Quindi il 70% che lascia Amazon non sembra poi così male, alla fine dei conti.

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    • Questo, assieme alle dinamiche sulla flessibilità e sul tempo di cui parlava Marco, sono indubbiamente dei vantaggi che offre la piattaforma Amazon o comunque il self in generale. L’editoria tradizionale, dovrei dire la grande editoria, ne offre altri: il nome, la dignità, la reputazione, l’attenzione dei media tradizionali, dei librai, dei critici di mestiere e via dicendo. Alla fine, facendo un conto un po’ grossolano, i fattori come nella matematica si eliminano a vicenda. Cosa resta? Resta il caso e la grinta. La grinta, fingiamo, ce la mettono tutti… Resta il caso. 🙂

      P.S. avrei dovuto intitolare questo post: Una serie (s)fortunata di eventi. 😛

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      • Sulla dignità e la reputazione metterei un grosso asterisco.

        Su tutto il resto possiamo anche ragionarci. 😉

        Sì, il secondo titolo sarebbe stato più appropriato.
        Ma vuoi mettere la diabolica assonanza di “stocastico”?

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        • Apposta l’ho scelto, stocastico. XD

          *con dignità e reputazione intendevo solo riferirmi al fatto che il nome di una grossa casa editrice – guarda il mio caso – aggiunge un surplus alla reputazione dello scrittore. 🙂

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    • Infatti, il punto essenziale, non è pubblicare.
      Con l’editoria è difficile. Col self publishing semplice.
      Il punto essenziale sono i lettori.

      La vera forza di uno scrittore sono i lettori.
      Se lo scrittore riesce a creare un seguito (e qui bisognerebbe chiarirsi su cosa si intende per seguito), saranno gli stessi editori a venirlo a cercare.

      I lettori sono tutto. Prendi ad esempio due scrittori affermati.
      D’Avenia e la Murgia.
      Sono due scrittori che hanno creato delle pagine Facebook con più di centomila persone, potenziali lettori che li seguono.
      E’ un dato di fatto che quando pubblicano loro due, il libro schizza ai primi posti della classica. Facci caso. Io li ho studiati. Hanno una base di lettori che li segue a prescindere dall’editore.
      Io ho guardato anche l’ultima uscita di Andrea De Carlo. Lui ha una community Facebook molto più debole. Nonostante Giunti si sia impegnata al massimo nella promozione. Un autore di punta per loro, hanno scomodato mari e monti della comunicazione, De Carlo ha fatto decine di presentazioni in tutta Italia, eppure lui, essendo un brand, ha sfiorato appena la classifica.
      Oggi, self publishing o editoria, conta soltanto il lettore.

      Salvatore, quel che tu dici è verissimo. Pubblicare con l’editore è uno status, anche. Una reputazione, un prestigio, che con il self è difficile poter acquisire.
      Io ad esempio sono immune dal fascino dello status dello scrittore. Ma comprendo che per altri è una componente importante. Ci mancherebbe.
      Però tu parli di critica, giornali, librai, sempre considerando che non si è scrittore meteora.
      L’altro giorno ho guardato l’intervista a un piccolo editore.
      Ha riportato un dato che a me (che sono scettico per natura) è sembrato assurdo.
      Ha detto che secondo i dati AIE, la media di vendita degli editori, per l’87% è di 200 copie a libro pubblicato.

      Fosse così, pubblicare con piccoli e medi editori, diventa ancora più sconfortante.

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      • Una comune conoscenza sosteneva che oggi per essere considerato scrittore (dagli addetti ai lavori) bisogna arrivare a 1200 copie vendute. Se io pubblico sono sicuro che una copia me la compri. Una la compro io per la mamma. Forse un altro paio di lettori di questo blog ne acquistano una. Arrivare a 1200 è una bella scalata.

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        • Però oggi, esistono strumenti di una potenza enorme. Oggi, un autore indipendente, può avvicinarsi al mercato, ai lettori, come non mai prima.
          I punti cruciali sono due. Uno avere una voce chiara e ben distinguibile rispetto agli altri. Due, saper operare attraverso le opportunità che gli strumenti offrono.
          1.200 copie sono tante. Ma possono anche essere poche.
          E considera che c’è un altro aspetto che non ho toccato. Mentre con l’editoria uno scrittore quando pubblica un libro, ricomincia ogni volta una nuova partita. Col self publishing ogni libro successivo è il proseguo della stessa partita.
          Un altro effetto affascinante dell’essere scrittori indipendenti.

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          • Be’ no, questo mi pare valga per entrambe le piattaforme. I credi che uno scrittore “tradizionale” ha accumulato con i libri precedenti confluiscono e contribuisco anche al successo di quelli successivi.

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            • No, penso che Marco intendesse che siccome anche nella casa editrice tradizionale ormai devi dare il tuo contributo come promozione, se pensi di non farlo, ogni volta (se hai la fortuna di essere ripreso in considerazione per la pubblicazione) devi partire da zero, perché nessuno ti ha inquadrato.

              Se sei un self “di successo” attiri un target specifico da subito, o almeno lo dovresti fare.
              Per cui farai più fatica all’inizio ma poi avrai un bacino di utenti più o meno sicuro a cui affacciarti ogni volta.

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              • Se sei uno “scrittore di successo” attiri un target specifico comunque, al di là della piattaforma. Ci si sta fossilizzando su un aspetto del discorso che, pur comprendendo benissimo il desiderio di scardinare lo strapotere dell’élite editoriale (e chi più di me lo vorrebbe?), non mi pare sia quello centrale.

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                  • Ma le possibilità dipendono anche dal caso: se nasci in America o in Italia o nel Bengala una certa differenza la fa; se nasci in una famiglia colta (non ricca, colta) o, come me, in una famiglia di operai una certa differenza la fa; se nasci con la facoltà di poter decidere il tuo destino (e qui sì, che i soldi contano) o dovendo, come me, combattere ogni giorno per riuscire a scrivere anche solo mezza riga perché il resto del tempo lo devi dedicare alla “sopravvivenza” una certa differenza la fa. Tutto questo tralasciando l’aspetto del discorso più importante: il puro caso: in che mani finisce il tuo manoscritto? in che periodo storico viene pubblicato il tuo libro (ci sono libri che hanno avuto fortuna – Trainspotting ad esempio – perché sono usciti al momento giusto)? e via dicendo. Insomma l’aspetto stocastico del caso una certa differenza la fa. Poi, se me lo dovessi chiedere, io sono per premiare il merito e quindi l’autore di talento. Tuttavia, come scrittore, mi limito a osservare la realtà e quello che vedo è ciò che scrivo. 🙂

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            • Non è proprio uguale.
              Quando uno scrittore scrive un secondo libro. Il precedente è buono solo per il curriculum. Lo scrittore del bestseller… etc…
              Ma sostanzialmente la promozione è tutta rivolta alla nuova uscita.

              In un self publishing avveduto, moderno, che pochi ancora sanno fare in Italia, quando pubblichi un secondo libro, è una grande opportunità perché i nuovi lettori acquistino anche il precedente.

              Una strategia efficace del self publishing funziona così.
              Pubblichi il primo libro. Lo sforzo deve essere teso a far iscrivere i lettori acquisiti nella newsletter o sulla pagina Facebook.
              Al secondo libro. Contatti chi ha già letto il primo. Quindi se all’esordio partivi da zero lettori, col secondo libro, parti da una base di lettori.
              Nel frattempo, il secondo libro, acquisendo nuovi lettori, trasmetterà a questi ultimi la possibilità di acquistare anche il libro precedente.
              In pratica nel self publishing costruisci un pubblico che cresce libro dopo libro.
              Tutti i libri dello scrittore sono contemporaneamente in vendita. Sempre, con un semplice click.

              Nell’editoria tradizionale funziona che uno scrittore prima pubblica con l’editore X. Il secondo libro con l’editore Y. Il terzo magari ancora con Y. Ma il libro precedente, magari non è reperibile più. Inoltre alcuni possono avere versioni ebook, altri no. Lo scrittore pubblicato, entra in una selva di editori diversi, in cui l’ultimo non dialoga con i precedenti.
              Questo per sintetizzare.
              Adesso scappo e non posso nemmeno rileggere. Chiedo venia per i probabile refusi. 😉

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              • Mi permetto di ribadire che tutto ciò vale anche nell’editoria tradizionale: i lettori che hanno apprezzato il primo libro probabilmente compreranno anche il secondo; i lettori che hanno apprezzato il secondo libro, perché da lì sono partiti, probabilmente andranno a comprare anche il primo: per questo esistono le ristampe. La dinamica mi pare la stessa. Non vedo differenze. E, naturalmente, anche uno scrittore che pubblica attraverso l’editoria tradizionale può avere una pagina facebook, newsletter e follower. Con la differenza che attraverso l’editoria tradizionale, se si ha successo, ancora oggi tutto questo meccanismo possiede una risonanza mediatica maggiore. Domani magari le cose cambieranno e l’editoria tradizionale sparirà. La tipologia di piattaforma comunque non mi pare IL discorso. 🙂

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  7. Un giorno un editore mi disse: “piccolo, farò di te una stella”.
    Io zitto, a guardare nel vuoto.
    “Dai, abbi fiducia, firma qui”.
    Io niente, a guardare nel vuoto.
    “Vedrai, un po’ di pubblicità, marketing, passaparola… Firma qui”
    Io nulla, a guardare nel vuoto.
    “Ma non parli? Non firmi? A cosa pensi?
    Presi la penna e apposi la mia firma sulla sua fronte.
    ” A sto castico, ecco a cosa penso”
    Scherzi a parte, Marco non dice sciocchezze, anzi. Amaramente bisogna considerare che siamo governati dal kaos. La stocastica in senso filosofico è imponderabile, dal punto di vista matematico è prevedere tutte le variabili e le casualità ricorrenti. Boh. Chissà chi ha ragione.

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  8. Dopo 73 commenti è stato già detto tutto, quindi forse ripeterò qualche concetto. Viviamo spesso in balìa del caso, tutto quello per cui si combatte non sempre si raggiunge, ma perseverare può fare la differenza, certo che un colpo di fortuna, tipo un grande editore che si innamori dei miei scritti, non sarebbe male…

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  9. Il sito di Salvatore continua ad avere problemi questo mese: dalla pagina improvvisamente bianca, mi ritrovo un estratto dei miei libri di statistica stoca…stica (la paura rende la formulazione che ne davamo noi studenti, e non sai se è peggio il “stoca” o il “stica” 😛 )
    Alla fine, la statistica è un’opinione e sono in molti a giurare che la fortuna non esiste.

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    • Quand’ero bambino una marca di patatine fritte cominciò a inserire nei loro pacchetti delle sorprese. Non le mettevano in tutti, solo in alcuni. Anche se non aveva fame, questo invogliava il bambino “sfortunato” ad acquistarne di più. Quel bambino non era realmente sfortunato: la statistica era contro di lui. I miei genitori avevano pochi soldi da spendere al di fuori delle necessità, così quando mi concedevano di acquistarne uno per me era festa. Pensa che delusione se anziché trovarne due in uno stesso pacchetto, di sorprese non ne avessi trovata nessuna o una sola. A volte la stocastica è con te. 🙂

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