Gli indefiniti singolativi
Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori
Abbiamo chiuso il capitolo con i dimostrativi, quindi apriamo quello degli indefiniti. Cosa sono i pronomi e gli aggettivi indefiniti? Questa categoria pronominale, che è anche la più «consistente e articolata»[1], ha la caratteristica di designare qualcuno o qualcosa in modo non specifico. Tutto questo, però, avviene secondo modalità divergenti, tanto che si possono suddividere in quattro categorie: singolativi, collettivi, negativi e quantitativi.
Oggi approfondiremo solo la prima.
Singolativi
Come dice il nome, i singolativi si riferiscono a «una singola persona o cosa non precisata o precisabile»[2]: «ti ha cercato qualcuno»; «ho incontrato un certo Rossi giù, ai piedi delle scale». Una serie di soggetti indefiniti ma identificabili come appartenenti alla stessa categoria può dare luogo a un plurale: «vorrei farti alcune domande».
SINGOLARE |
PLURALE | |||
TIPO |
MASCHILE | FEMMINILE | MASCHILE | FEMMINILE |
AGG. |
qualche | qualche | ||
PR.ME |
qualcuno | qualcuna | ||
PR.ME |
qualcheduno | qualcheduna | ||
PR.ME |
qualcosa, qualche cosa, che | |||
PR.ME |
uno | una | ||
AGG. / PR.ME |
alcuno | alcuna | alcuni | alcune |
PR.ME |
alcunché | |||
AGG. / PR.ME | certo | certa | certi |
certe |
AGG. / PR.ME | certuni |
certune |
||
AGG. / PR.ME | tale | tale | tali |
tali |
AGG. / PR.ME | taluno | taluna | taluni |
talune |
AGG. / PR.ME | quale | quale | quali |
quali |
AGG. / PR.ME | altro | altra | altri |
altre |
PR.ME | altri, altrui | |||
AGG. / PR.ME | altrui | altrui | altrui |
altrui |
Nella tabella, tratta dalla Grammatica del Serianni, sono riportati i pronomi e gli aggettivi indefiniti singolativi. Alcuni di essi, come si può notare, possono essere adoperati sia come pronomi sia come aggettivi.
L’apocope ed elisione
Nell’italiano contemporaneo il pronome uno e i suoi derivati (cioè i composti) non si apocopano più. Per intenderci: «accosciati un di qua e un di là sul ponte del castello mi facevano trottolare dalle braccia dell’uno a quelle dell’altro» [Nievo, Confessioni di un italiano] – oggi questa forma non è più accettata.
Adoperati come aggettivi essi si comportano come l’omonimo articolo indeterminativo. Quindi: «Alcun tempo», «alcuno straniero» [esempi del Serianni]. Con il femminile l’elisione della a si tende a evitarla (avviene anche con l’articolo indeterminativo: «una anatra»): «alcuna idea». Non è sbagliato elidere, ma sta passando di moda.
Tale e quale, anche se oggi poco usata, ammettono l’apocope sia davanti a vocale sia davanti a consonante semplice: «un tal uomo», «in tal modo», «in un certo qual modo» [esempi del Serianni].
Articoli
Alcuni aggettivi singolativi accettano di farsi accompagnare da un articolo indeterminativo; alcune volte persino da un articolo determinativo. È il caso di qualche («un qualche dubbio»), di certo («in un certo modo»), tale («una tale Coletta», «il tal debitore»). L’aggettivo altro offre addirittura una triplice possibilità:
- Senza articolo: «A te convien tenere altro viaggio» [Dante, Inferno], al singolare maschile; «Luisa n’era poco persuasa, in cuor suo. Temeva altra cosa» [Fogazzaro, Piccolo mondo antico], al singolare femminile; «sono stato qui altre volte» [Serianni], al plurale.
- Con l’articolo determinativo: «L’altro figlio» [Pirandello].
- Con articolo indeterminativo: «devo dirti un’altra cosa».
«Dei pronomi, possono avere entrambi gli articoli altro («venne un altro / l’altro») e tale («entrò un tale»; il compare nella locuzione il [la, i, le] tal de’ tali)».[3]
Qualche
È usato solo come aggettivo e solo al singolare. Spesso è intercambiabile con alcuno, anche se nessuno lo ricorda. Secondo Tommaseo[4] qualche è più indeterminato, mentre alcuno determina di più. Secondo Brunet[5], invece, o qualche indica una quantità indeterminata («dopo qualche minuto scese in cucina» [Cassola]) e allora è sempre sostituibile con alcuno, oppure allude a una quantità indefinita («tutti i detenuti si fissano in qualche idea» [Cassola]) e quindi viene meno l’intercambiabilità. Secondo il Serianni l’uso di qualche, poiché è singolare, talvolta è «più appropriato per indicare una quantità più esigua rispetto ad alcuni, alcune plurale».
Qualcuno e sinonimi
È l’altra faccia della medaglia rispetto a qualche. Qualcuno è solo pronome, usato più spesso per indicare esseri animati. Si adopera solo al maschile dopo i verbi essere, diventare, sentirsi col valore di “persona di successo”: «nella società di un tempo, il medico era veramente qualcuno». Può essere sostituito con qualcheduno, di cui condivide gli stessi usi grammaticali, ma che rappresenta la variante oggi meno comune; con uno, più frequente con i partitivi o in frasi impersonali («È uno dei miei figli», «se uno vuol litigare il pretesto lo trova sempre» [Serianni]), «non raro negli scrittori [ma] frequentissimo nel parlar famigliare»[6]; e con alcuno, soprattutto in un tono sostenuto e letterario («se vi è inimicizia grave tra lui o alcuno dei suoi prossimi congiunti e l’imputato» [Codice di procedura Penale]).
Qualcosa, che
Ha valore neutro. Qualche cosa è la sua variante “antica”. E ammette forme alterate, come qualcosina: «ci manca qualcosina» [Pirandello].
«Qualcosa attenua il valore indefinito che gli è proprio quando regge un aggettivo partitivo con valore neutro».[7]
Ad esempio:
«Avevo qualcosa di urgente da dirti» [Vittorini].
«Aspettavano qualcosa di grosso, il crollo della città, l’apocalissi» [Pavese].
Tranne che nella reggenza partitiva, dove l’accordo obbligatorio è al maschile, l’uso oscilla tra qualcosa è accaduto (con l’accordo al maschile) e qualcosa è accaduta (con l’accordo al femminile). Sebbene la maggior parte dei grammatici consigli l’accordo al maschile, Jacqueline Brunet, nella grammatica che abbiamo già indicato nelle note, ha invece notato che la maggior parte degli scrittori adopera l’accordanza al femminile: «qualcosa c’era stata» [Quarantotti Gambini], «qualcosa per me è venuta meno» [Calvino]. Nell’uso tradizionale l’accordo più perseguito è quello al maschile.
Più limitato l’uso dell’indefinito che, il quale si adopera soprattutto in formule cristallizzate: «un non so che», «un che di simile», un certo che»; di cui noi contemporanei (e con questo esprimo un’opinione personale) salviamo soltanto la prima.
Alcuno
Su questo aggettivo/pronome rimane valido quanto detto finora, a cui si aggiunge l’uso come pronome plurale, specie quando segue un partitivo o un preposizione relativa, relegato prevalentemente però all’uso scritto: «alcuni degli intervenuti se ne andarono prima della fine» [Serianni].
È raro il valore positivo quando adoperato come aggettivo singolare: «chi proponendosi d’esaminare alcuna risoluzione occulta, esamina sottilmente» [Leopardi]. Antiquato il suo uso al posto di uno per indicare una quantità. Infine, adoperato al plurale, alcuni può dar luogo a delle correlative: «alcuni… alcuni» («di quegli stessi ch’eran deputati a farle seguire, alcuni appartenevano per nascita alla parte privilegiata, alcuni ne dipendevano per clientela»); «alcuni… altri» («alcune monache facevano a rubarsela, e altre complimentavan la madre, altre il principino»); «alcuni… molti (o i più)» («la vita non è già destinata ad essere un peso per molti, e una festa per alcuni»).
Nella lingua scritta, è frequente la ricorrenza di alcuno adoperato come indefinito negativo al posto di nessuno.
Alcunché
Lo si può considerare come il corrispettivo neutro di alcuno, analogamente alla coppia qualcosa–qualcuno.
«Di uso non molto comune, dà l’idea, rispetto a qualcosa, di una più marcata indefinitezza e si adopera in costrutti partitivi o in frasi negative».[8]
Da sottolineare che la grafia alcun che è considerata antiquata.
Certo
Come aggettivo è indefinito solo se anteposto al nome senza articolo o con articolo indeterminativo: «certo discorso», «un certo discorso»; altrimenti è un comune aggettivo con valore di “sicuro”, “puntuale”. Come indefinito ha sempre valore qualificativo, anziché quantitativo.
Secondo il Serianni, certo esprime uno dei più alti gradi di indefinitezza. Spesso viene adoperato con uso eufemistico: «ho sentito dire certe cose, sul conto del tuo fidanzato» [Cassola]. In alcuni casi lo si utilizza anche per indicare una variabile nota che non ci si cura di precisare: «qua dentro lo stress ha raggiunto un certo livello». Altre volte lo si adopera in vece di siffatto: «con certa gente non ci si ragiona».
Come pronome si adoperano solo certi, certe al plurale.
Certuni, Taluno
Forme meno comuni di certo o qualche / qualcuno, si adoperano sia come aggettivi sia come pronomi.
Tale
Si adopera, come pronome, per indicare qualcuno di cui non sappiamo o non ci interessa precisare l’identità. Questa “indefinitezza” può essere totale se accoppiato a un articolo indefinito («ha chiamato un tale»); o relativa con l’articolo determinativo o l’aggettivo dimostrativo («è venuto il tale / quel tale»). L’articolo determinativo si usa soprattutto nei discorsi riportati: «vennero fuori i soliti discorsi fra donne, sulla tale, che il marito la picchiava» [Cassola].
Come aggettivo può indicare definitezza totale sia con l’articolo determinativo che indeterminativo: «un tal Rossi», «oggi è quell’anno in cui accadde la tal cosa»; o relativa: «Riccio pensò che forse erano tutti al servizio di quel tale signore» [Arpino] con l’aggettivo determinativo. In una correlazione si può adoperare in cooperazione con talaltro: «il tale e il talaltro, ciarlatani!».
Sempre come aggettivo può indicare un’intensità imprecisata: «in questo momento sono tali e tanti i processi…» [Cassola]; o, accostato a quale, un rapporto di identità: «sei tale e quale a come ti ricordavo».
Quale
Da non confondere con l’omonimo relativo, l’indefinito quale è di uso limitato. A parte come rafforzativo di tale, quale compare da solo perlopiù in competizione con come: «Un suono non ti renda / qual d’incrinata brocca / percossa» [Montale], in questo caso introduce una comparazione; «i sentimenti umani, quali rabbia, gioia, amore», in cui è usato per esemplificare; «da persona seria, quale si era sempre dimostrato», in cui viene adoperato per rafforzare un giudizio appena espresso.
In forme più o meno cristallizzare, in modo analogo alla formula «tale e quale», viene anche usato per attenuare il valore indefinito di certo: «in un certo qual modo». Ancora più raro l’uso di quale che sia seguito immediatamente dal sostantivo: «fra me e quale che sia macchina, anche la macchina fotografica, esiste un’assoluta incapacità d’intesa» [Tucci]; più comune e far seguire questa locuzione da un articolo: «quali che siano i fini».
Altro
Sia come pronome che come aggettivo indica “l’alterità”, cioè la diversa identità di una persona o cosa: «lui, lei, l’altro», «mangia un altro biscotto», «non ho altro da dire» [esempi del Serianni]. Al plurale può significare “il prossimo”: «non fare ad altri quello che non vorresti fosse fatto a te».
Come pronome neutro figura in molte locuzioni avverbiali: «senz’altro», «tutt’altro», «altroché». Come pronome e aggettivo entra in molte serie correlative:
- .. altro: per opporre due situazioni: «Altro è parlare, altro è agire».
- L’uno… l’altro: per introdurre due persone o gruppi distinti: «Mentre l’uno va a lavoro, l’altro torna a casa»; «sebbene né l’uno né l’altro schieramento fossero compatti»; «gli uni usano prepotenza, gli altri la soffrono» [Leopardi].
- .. alcuni… altri: quando i gruppi sono più di due: «Alcuni vogliono soddisfare all’ira, alcuni alla gola, altri alla libidine…».
- L’uno e l’altro: per reciprocità: «amatevi l’un l’altro»; per alternativa: «io diedi parola e all’uno e all’altro» [Gozzi].
Altri
Come pronome singolare, altri è proprio della lingua scritta e ha quasi funzione di soggetto: «le donne si sogliono con le buone parole condurre dove altri vuole» [Macchiavelli]. A causa della collisione con altri plurale questo è un uso se non antiquato, comunque molto rarefatto.
Altrui
È sia un pronome sia un aggettivo. «Come pronome può considerarsi l’obliquo di altri, ed è di uso letterario, se non addirittura antiquato»[9].
Come aggettivo si adopera per indicare «ciò che appartiene, che ha relazione con un altro, senza distinzione di numero e di genere»: «la bontà altrui» [Serianni].
Conclusioni
Un articolo lungo questa volta, ma credo anche semplice. L’italiano ha molte sfumature: per fare gli scrittori dovete conoscerle tutte. State bene.
_____________________
Note
[1] Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET 2006
[2] Ivi p. 286
[3] Ivi p. 288
[4] Niccolò Tommaseo, Dizionario dei sinonimi della lingua italiana, 1935
[5] Jacqueline Brunet, Grammatica critica dell’italiano, volume 4 – 1981
[6] Raffaello Fornaciari, Sintassi italiana, 1881
[7] Ivi p. 290
[8] Ivi p. 292
[9] Ivi p. 298
Lezione lunga, prof, la classe si assopisce: qualcuno sonnecchia, certi giocano a battaglia navale, taluni leggono fumetti ni nascosto mentre altri rubano l’altrui merenda. 😛
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Qualcuno di questi, ma potremmo anche dire molti, finirà per essere bocciato…
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Azz, ma a fine anno c’è l’esame? :O
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Sì, certo: devi scrivere un romanzo frattale, ma con un uso della grammatica impeccabile. 😛
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Ah, quello non era per la tesi?
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Ti conviene cominciare subito…
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Bella lezione.
Certuni non l’ho mai usato in vita mia.
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Continua pure così. 😉
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Non mi fermo più. 😉
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“Tale e quale” e “altrui” in realtà non li percepisco poi così antiquati. Il primo forse lo uso meno, ma al secondo faccio spesso ricorso. 🙂
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Anch’io. 🙂
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Sta passando di moda elidere? Mah, secondo me dipende dallo stile personale.
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Non di elidere in assoluto; di elidere l’articolo indefinito femminile. Questo perché una indica anche una quantità, di conseguenza in molti casi si preferisce non eliderla: Vorrei una anaconda ben cotta, per favore. In realtà non rappresenta un problema perché, diversamente dai lettori ottocenteschi, quelli di oggi sono molto più abituati a leggere e l’elisione la fanno a mente da soli.
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Ma nel parlato resta più comodo dire ” Vorrei un’anaconda ben cotta, per favore.” Io almeno parlo così.
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Assolutamente sì. Mai mi sognerei di evitare l’elisione a voce. Il parlante segue una logica diversa, quella del: risparmio fonetico. Non a caso ci mangiamo le parole; una cosa, questa, che nello scritto non faremmo mai. 🙂
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Io me le mangio anche nello scritto, poi il correttore ortografico mi insulta 😀
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Alcune parole troncate non vengono riconosciute come errore dal correttore automatico; penso ad esempio a pensa al posto di pensare. In questo caso nessun correttore automatico del mondo può esserti di aiuto. La soluzione? Rileggere… 😉
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Eh, ma anche quando rileggo il cervello si imbambola e legge giusto ciò che è sbagliato. L’unica soluzione è il correttore di bozze.
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Ecco perché tutto ciò che scrivo (o quasi) passa sempre prima da beta… 😛
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mmm suona un po’ da tedesco che cerca di parlare in italiano 😛
“forrei una anaconta pen cotta” 😀
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I tedeschi sono sempre più avanti, non te l’hanno detto? 😛
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In effetti me lo ripetono sempre 😛
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Esauriente, direi. Segnalo un paio d’errori di battitura: “non è spagliato” poco dopo la tabellona, e ancor più giù “alcune delle monarche” invece di “monache” (metterei anche da chi è citato…).
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spagliato solo perchè gli è rimasto appiccicato addosso questo accento tetesco 😀
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E che mi dici del secondo refuso?
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Una dura realtà con cui imparare a convivere, quella dei refusi. Soprattutto se si scrive durante la pausa pranzo in ufficio. 😉
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Tutto si spiega, direi. Del resto, capita anche a me, tante volte… 🙂
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Quello è giusto, si riferiva alle regine, no? 😛
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Allora devo avere un’edizione sbagliata dei Promessi Sposi… 😂
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Come, nel tuo non c’è la famosa regina di Monza? 😀 😀 😀
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Porche entrambe, comunque. 😛
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O.o
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Fate i Bravi… non quelli dei Promessi Sposi
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questo post non s’ha da fare
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Se serve la perpetua, mi avanza da San Quintino.
SÌ è ripresa dopo lo shock. 😀
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beata lei, il mio chierichetto non so che fne ha fatto
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Ma continuate pure a parlare dei cavoli vostri sul mio blog, tanto io ero solo di passaggio… XD
😛
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Perchè tu non hai scritto il racconto di san Quintino 😛
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Almeno raccontatemi com’è andata. 🙂
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Vuoi sapere troppe cose.
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Vieni a leggerti i racconti, tanto sono di 100 parole, in dieci minuti li hai letti tutti 😛
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Non puoi riassumermeli? XD
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😛
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Non ne ho trovato neanche uno… o.O
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ma hai guardato?
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Sì, ma è meglio se metti il link: l’aria di mare mi fa male.
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Il link 😛
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Che vergogna!
Non lo mandare a leggere.
:p
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Noooo… il link no… siete tremendi.
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ehm, il “dove” se l’è mangiato la tastiera 😀
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Io vado a nascondermi.
Torno a dicembre.
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No, nel mio è una monaca. Dev’esserci lo zampino di Diderot.
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😀
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😉
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Non vi seguo più.
Io ero rimasta a ” Quel ramo del lago di Como”….
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I miei ultimi commenti alludevano al romanzo “La monaca” di Diderot; Grilloz insisteva sul refuso per cui nell’articolo dell’Anfuso c’era scritto “monarche” invece di “monache”. Aggiungo che secondo Eco Manzoni voleva cominciare con “Quel ramo del lago di Garda”, ma l’editore gli disse di cambiare perché altrimenti Renzo sarebbe giunto a Milano troppo tardi per l’assalto ai forni e Lucia si sarebbe rifugiata dalla Monaca di Rovereto, che era irreprensibile… (U. Eco, “Il secondo diario minimo”, Fabbri Ed., Milano 1992, pp. 48-9).
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Solo che ne capitano di cose, su quel ramo… 😀
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E anche giù in pianura, se è per questo: chiedi al fornaio del Prestin di Scans (il Forno delle Grucce, come traduce l’autore).
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Non lo so. Ho letto solo il primo capitolo.
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.
(Dante Alighieri Canto V Inferno)
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Allora ti sei persa parecchie cose…
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Bellissima questa nota.
Non ci stavo capendo nulla, ma era divertente perdersi nelle vostre chiacchiere.
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Grazie, in effetti credo sia divertente per tutti, anzi c’è ancora posto: basta seguire le regole dei Romani Antichi a tavola, non essere meno delle Grazie né più delle Muse, altrimenti la conversazione langue… 🙂
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Abbastanza.
Ultimamente arrivo in ritardo su parecchie cose.
Ma a volte non è mica tanto male tardare e prendere il treno successivo.
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Vero. Andare di fretta non permette di godersi le cose.
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Io ti posso fare il mio riassunto.
Ognuno il suo.
Grilloz copia, ma stavolta deve fare il compito in classe.
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Pronomi e aggettivo con un nome complicato, io li usavo senza conoscerne il nome (o forse lo conoscevo ma era perso nei lontani meandri della memoria scolastica)
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L’importante è usarli bene. 😉
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