Il segreto del successo

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Scrivere come fosse naturale

Alcune scritture sono dissetanti come acqua limpida in un bicchiere colmo. Altre sono pozze di catrame, puzzolenti e nauseabonde, in cui si resta impantanati tanto da non poterne più uscire. Alcune voci sono calamitiche, ci attraggono senza sapere il perché. Altre ci annoiano solamente, fin dalle primissime battute. Perché succede?

Stavo ragionando attorno a queste cose quando mi sono accorto che la prima fondamentale domanda a cui è necessario rispondere è: cos’è il successo? Nel titolo parlo di successo, quindi è necessario spenderci due parole. Letteralmente successo significa «esito favorevole»; il successo è qualcosa che consegue a un fatto e che ha con esso un rapporto non solo consequenziale ma anche di soddisfazione, di riconoscimento o di approvazione. Il campo d’applicazione di questo termine è molto ampio, infatti viene adoperato sia per indicare una promozione sul lavoro o a scuola, sia un party cui è accorsa molta gente, la vittoria in una competizione, una esaltante fortuna economica conseguente alla vendita di un prodotto, eccetera.

Anche per uno scrittore la parola “successo” può avere molti significati. Per alcuni sarebbe già un successo portare a compimento la stesura di un romanzo. Per altri sarebbe certamente un successo riuscire a farsi pubblicare da un editore. Per altri ancora è un successo solo se c’è stato un alto numero di copie vendute. Infine, per qualche scrittore già veterano sarebbe un successo riuscire a riconfermarsi tale. Per alcuni, pochi, è un successo solo se si è riusciti a dire qualcosa di nuovo. Per tutti, però, è un successo riuscire a scrivere in modo tale che il lettore non possa fare a meno di continuare a leggere dopo aver cominciato. Il successo di cui parlerò in questo articolo è quello che smuove le masse.

Ci sono molti modi per ottenere successo di pubblico. Il primo fra tutti, quello più perseguito al giorno d’oggi, e di adoperare un linguaggio talmente elementare da poter essere compreso da tutti. Questo vale in particolar modo per la musica pop. Più il testo è elementare, più il successo pare scontato. Se pensate che la canzone più amata dell’ultimo decennio è questa…

Oppa è lo stile di Gangnam
lo stile di Gangnam
Una ragazza che si sente calda e umana di giorno
Una ragazza di classe che sa godere della libertà di una tazza di caffè
Una ragazza il cui cuore diventa più caldo quando viene la notte
Una ragazza con quel tipo di torsione
Sono un ragazzo
Un ragazzo che è caldo come te durante il giorno
Un ragazzo che beve d’un fiato il suo caffè prima che si raffreddi
Un ragazzo il cui cuore esplode quando arriva la notte
Quel tipo di ragazzo
Bellissima, amabile
Sì tu, ehi, sì tu, hey
Bellissima, amabile
Sì tu, ehi, sì tu, hey
Ora andiamo avanti fino alla fine
Oppa è lo stile di Gangnam, lo stile di Gangnam
Oppa è lo stile di Gangnam, lo stile di Gangnam
Oppa è lo stile di Gangnam
Ehi, Sexy Lady, Oppa è lo stile di Gangnam
Hey Sexy Lady-oh oh oh oh
Una ragazza che sembra tranquilla ma che si diverte quando si gioca
Una ragazza che porta i capelli sciolti quando arriva il momento giusto
Una ragazza che si copre, ma è più sexy di una ragazza che mostra tutto
Una ragazza così sensibile
Sono un ragazzo
Un ragazzo che sembra calmo, ma che si diverte quando si gioca
Un ragazzo che va completamente pazzo quando arriva il momento giusto
Un ragazzo che ha idee che si gonfiano più dei muscoli
Quel tipo di ragazzo
Bellissima, amabile
Sì tu, ehi, sì tu, hey
Bellissima, amabile
Sì tu, ehi, sì tu, hey
Ora andiamo avanti fino alla fine
Oppa è lo stile di Gangnam, lo stile di Gangnam
Oppa è lo stile di Gangnam, lo stile di Gangnam
Oppa è lo stile di Gangnam
Ehi, Sexy Lady, Oppa è lo stile di Gangnam
Hey Sexy Lady-oh oh oh oh
Sopra l’uomo che corre c’è l’uomo che vola, baby baby
Sono un uomo che conosce una cosa o due
Sopra l’uomo che corre c’è l’uomo che vola, baby baby
Sono un uomo che conosce una cosa o due
Tu sai cosa sto dicendo
Oppa è lo stile di Gangnam
Ehi, Sexy Lady, Oppa è lo stile di Gangnam
Hey Sexy Lady-oh oh oh oh

… non potete che concordare con me.

È un singolo reso pubblico il 15 luglio del 2012. Sono sicuro che tutti l’abbiate riconosciuto e ascoltato almeno una volta. L’artista è PSY, che sta per Park Jae-sang. È un rapper e ballerino sudcoreano diventato famoso a livello mondiale grazie a questa canzone, la quale ha venduto 9,7 milioni di copie.

Ma ho qualcosa di meglio:

Immagino non abbiate bisogno di aiuto con la traduzione, giusto? Questa canzone farebbe sembrare intelligente perfino Rovazzi…

Ma guardi signor Rovazzi
Ho in mano qua la sua cartella
E devo dirle che tra tutti i valori
Le è salito
L’Andare A Comandare… mi spiace

Ho un problema nella testa funziona a metà
Ogni tanto parte un suono che fa

E ogni volta che mi parte situo imbarazzante
Come quella volta che stavo al ristorante

“Posso offrirti da bere?”
Lei dice: “Va bene”
Solo che quando le passo il bicchiere

É una malattia
È pericolosa
Statemi lontano, è contagiosa!

Non so se son pazzo
O sono un genio
Faccio i selfie mossi
Alla Gue Pequeno
Non mi fumo canne
Sono anche astemio
Io non faccio brutto ma…

Col trattore in tangenziale
(Andiamo a comandare)
Scatto foto col mio cane
(Andiamo a comandare)
In ciabatte nel locale
(Andiamo a comandare)
Sboccio acqua minerale…

Andiamo a comandare
Andiamo a comandare

Ho un problema nella testa funziona a metà
Ogni tanto parte un suono che fa

E ho la testa che gira come il kebab
Spengo la musica dentro il tuo club

“Rovazzi, ma che cazzo fai!?”

Non so se son pazzo
O sono un genio
Faccio i selfie mossi
Alla Gue Pequeno
Non mi fumo canne
Sono anche astemio
Io non faccio brutto ma…

Col trattore in tangenziale
(Andiamo a comandare)
Scatto foto col mio cane
(Andiamo a comandare)
In ciabatte nel locale
(Andiamo a comandare)
Sboccio acqua minerale…

Andiamo a comandare
Andiamo a comandare

Non deve suonare come una critica, la mia è solo un’analisi linguistica. Il trucco funziona perché non serve alcuno sforzo interpretativo. E se pensate che questo nella scrittura di un romanzo non sia possibile…

– Papà, – ha detto, – quando hai incontrato la mamma, come hai fatto a sapere che era la mamma?

– L’ho capito dopo circa dieci minuti.

– E da cosa?

– Quando ci siamo incontrati la prima volta, si è sollevata i capelli dietro la nuca, sopra la testa, e si è fatta uno chignon senza neanche un elastico, solo annodandoli.

– E allora?

– E allora lì ho capito che lei aveva disperatamente bisogno di un elastico. E io dei suoi capelli.

L’autore è Matteo Bussola, fumettista per Bonelli. Il pezzo è un estratto del suo libro Notti in bianco, baci a colazione pubblicato quest’anno da Einaudi Stile Libero. Libro che pare abbia avuto, nonostante si tratti di un esordio, un grande riscontro di pubblico. Tutto è cominciato, come ci raccontano, su FaceBook.

Anche in questo caso la scrittura è elementare, ma non bisogna farsi ingannare: scrivere a questo modo non è per nulla facile. Serve una spontaneità non comune. Inoltre l’immagine che viene tratteggiata in poche righe è potente e convincente. Vale anche per le canzoni citate. Il linguaggio elementare serve solo a renderla più comprensibile, e quindi condivisibile da un pubblico ampio. Anche in questo caso non è richiesto alcuno sforzo interpretativo. Come acqua limpida in un bicchiere colmo.

Vi faccio un altro esempio:

Mi presi di coraggio e rientrai. Lui era seduto in poltrona. Leggeva un libro con la pipa spenta in mano. Gli occhiali inforcati sul naso. Sempre elegantissimo anche in casa. Mi accostai lentamente. Era difficile parlargli di certe cose.

«Puoi avvicinarti, se vuoi».

«Come lo sai?».

«Cosa, Carlotta?».

«Che ero qui».

«I genitori lo sanno sempre».

«…».

«Volevi chiedermi qualcosa?».

«Vi lascerete?».

La lunga pausa mi mise in allerta: capii di avere centrato il bersaglio.

«Perché lo chiedi?».

«Avete smesso di sorridervi quando vi guardate».

«Vieni qui». Chiuse il libro e l’appoggiò sul tavolino. Poi si tolse gli occhiali e li adagiò sulla copertina. Quando mi avvicinai, si piegò in avanti e mi pose le  mani sulle spalle. «Ne avete parlato tra voi, tu e i tuoi fratelli?».

Feci di sì con la testa.

«Sono preoccupati anche loro?».

Sì.

Sospirò. «Anche se non vorremmo, Carlotta, nella vita le cose cambiano…».

«Cosa, cambia?».

«Le persone, cambiano. Ma l’amore che i genitori provano per i figli, Carlotta, quello non cambia mai. Io e la mamma possiamo smettere di volerci bene, ma non smetteremo mai di volere bene a voi».

«Vi lascerete allora?».

«Non lo so». Sospirò. «Anche se vorrei, non so sempre tutto».

Questo è un estratto di uno dei racconti che ho venduto a Mondadori. Il racconto s’intitola La grande nevicata, è stato pubblicato l’8 gennaio scorso sul numero 02/2016 di Confidenze.

Tutte queste parole per dire cosa? Per dire che non sempre il successo è qualcosa che vorremmo ottenere, ma una volta ottenuto non sempre comprendiamo il perché. Un linguaggio semplice e naturale aiuta ad approcciare un pubblico ampio. Il resto lo fa l’argomento e la voce del narratore. Sull’argomento non ho nulla da dire. Semmai vi rimando a una delle tante indagini statistiche che potete trovare in giro per il web. Sulla voce… be’, della voce parleremo la prossima volta.

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Note

Uno scrittore non scrive solo romanzi o racconti, ma tutto quello che gli viene chiesto di scrivere. Quindi anche canzoni. Non dovete fare l’errore di pensare che il testo di una canzone sia qualcosa di diverso rispetto alla narrativa. Per certi versi lo sono, certo, sono cose diverse. Per altri, sono la stessa cosa.

132 Comments on “Il segreto del successo”

  1. Aiuto! Mio figlio mi sta ossessionando con la canzone di Rovazzi.
    Poi la balli e la canti , come fa lui e amen.
    Che devi fare? So ragazzi.
    Più che altro m’inquieta Pin Apple pen pin pan…. ( vabbe’)..
    Grazie di avermelo fatta conoscere, mi sarei persa una hit 😀
    Parentesi giocosa.
    Comunque è vero. Dire cose semplici arrivi a tutti, non solo sei immediato. Senza tanti giri di parole.
    Anche in scrittura se vuoi. È bello leggere un testo scritto egregiamente, ma se c’infili 3 vocaboli su 4 da andare a ricercare nel dizionario, poi lo leggi da solo. Fa effetto saccenza. Un po’ va bene, ma “parla come mangi” ha il suo perché.
    Il perché sta che devi farti capire.
    Se vuoi tutti possiamo esprimerci con un linguaggio alto, ma poi nella realtà, in mezzo a tutti, per spiegare parleresti così?
    Io dico che se parliamo e scriviamo in un italiano semplice, ma grammaticalmente corretto è più che sufficiente.
    I paroloni si possono mettere in testi più impegnativi.
    Il pubblico capirà l’emozione con parole chiare e semplici.

    Ti volevo invece chiedere cos’è per il te successo.

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  2. Uno scrittore non scrive solo romanzi o racconti, ma tutto quello che gli viene chiesto di scrivere. Quindi anche canzoni. Non dovete fare l’errore di pensare che il testo di una canzone sia qualcosa di diverso rispetto alla narrativa. Per certi versi lo sono, certo, sono cose diverse. Per altri, sono la stessa cosa.

    N.b. = Solo per questa frase ti darei il Nobel.

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  3. P.s.= sull’argomento voce, m’interessa. L’intonazione, il raccontare, il modularla…
    Non so di che tratterai, ma aspetterò con la curiosità.

    Scrivo ora i commenti, poi ritorno, ma la giornata è piena.
    Quindi mi sparo subito le mie cartucce.
    Nel frattempo, buona giornata a te e a chi passerà di qui. 😀

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  4. Credo che Rovazzi sia il cantante italiano più ascoltato e meno compreso dopo Caparezza, ve lo ricordate? quello uscito dal tunnel. Beh, lui è uscito mentre noi siamo ancora dentro e neanche ce ne accorgiamo 😛 Quanti di quelli che cantano andiamo a comandare o sino uscito dal tunnel hanno davvero capito quel che stanno cantando?
    Secondo me sono geniali, nascondere un messaggio dietro parole così semplici, quasi stupide, o forse proprio stupide. Geniali quasi quanto il tizio dell’apple pen, lì il messaggio è talmente nascosto che mi domando se ci sia :O

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  5. Sono fuori dal tunnel me lo ricordo, eccome.
    Rovazzi dice cose semplici, ma efficaci.
    Sul sudcoreano, non c’è un messaggio, o è talmente nascosto che non lo vediamo.
    Ora, dal tunnel della follia non sarei uscita.
    Io mi analizzo i testi musicali a volte, pensa come sono fuori (dal tunnel).
    La metrica, le parole, l’accostamento e quello che mi trasmette.
    Sono un po’ maniacale, tipo alla Mogol, in cui le parole hanno una sua motivazione in un brano.
    Considera che alcuni scrivono con una metrica ben precisa.
    Seguo un cantante uruguaiano che non scrive nulla a caso.
    Diciamo fonde poesia e musica.
    Voglio pensare a De André, non facile interpretare i suoi testi.
    Lo ascolto, guardo i testi ed è geniale.
    Come dice Caparezza sono fuori a vedere oltre che sentire il pezzo.
    Mi auguro che qualcuno prima o poi ci faccia un post sula scrittura nei testi musicali e il loro studio a livello interpretativo, un po’ come si faceva con le poesie a scuola.
    Il post di Salvatore non è solo che l’inizio.

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    • Io i testi non li ascolto mai 😀
      No, non scherzo, mi faccio prendere dalla melodia e le parole vanno via…
      Un mio amico musicista, del resto, sosteneva che la voce non è altro che uno degli strumenti musicali.

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        • Il testo incespica perchè scritto male, non perchè non è semplice
          “cerco un centro di gravità permanente” è tuttaltro che semplice però suona bene 😉
          Sì, suona bene anche “gelato al cioccolato un po’ dolce un po’ salato” 😛

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          • Perché questo non suona bene ?
            Ascolta… leggi:

            Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza
            calpestare il cuore
            ci si passa sopra almeno due o tre volte i piedi come sulle aiuole
            Leviamo via il tappeto e poi mettiamoci dei pattini
            per scivolare meglio sopra l’odio
            Torre di controllo, aiuto, sto finendo l’aria dentro al serbatoio
            Potrei ma non voglio fidarmi di te
            io non ti conosco e in fondo non c’è
            in quello che dici qualcosa che pensi
            sei solo la copia di mille riassunti
            Leggera leggera si bagna la fiamma
            rimane la cera e non ci sei più…

            Samuele Bersani

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              • Quello che non ti aspetteresti da chi canta.
                Questo lo dovrebbe saper fare uno scrittore, poeta.
                E invece no.
                L’ha scritta lui che di mestiere fa altro.
                Come volevasi dimostrare si può far bene più cose, se hai talento.
                E il lettore o pubblico lo intuisce.
                Se pensiamo che il lettore non sappia distinguere le cose fatte bene, allora gli stiamo dando del cretino.
                Il lettore o il pubblico è molto più intelligente di quello che si pensi.
                Poi sarebbe un insulto a chi potenzialmente ci potrebbe dare il pane sulla tavola.
                Se lo fai per un lettore o un fan di musica non cambia.
                Tu scrivi per farti ascoltare.

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  6. Aggiungo un’altra cosa.
    Si disprezza il lavoro dei cantautori e devono solo cantare e non fare gli scrittori.
    Assolutamente no. Hanno molto di più di chi fa lo scrittore, se andiamo a guardare e a fare i precisini.
    Noi scriviamo e dobbiamo far filare il discorso e far provare qualcosa.
    Loro non solo questo. Ciò che hanno scritto lo doveno far incastrare in una melodia. Vabbè il contrario.
    Di solito prima la musica e poi il testo ( ma non è detto).
    Quindi non scandalizziamoci se scrivono, pubblicano libri.
    Seppure sanno scrivere e metterlo in musica.
    Noi solo scrivere e a volte nemmeno ci riesce benissimo.

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  7. Fra tutte le possibilità di successo nella scrittura non hai incluso la mia. 😛

    Sono d’accordo a metà col post. Tu dici che uno dei segreti per arrivare al successo oggi è adoperare un linguaggio elementare. Non mi convince perché se una canzone dal linguaggio elementare arriva al successo, ce ne sono altre milioni dal linguaggio elementare che non arrivano al successo. E tra l’altro per decretare il successo di una canzone, è più importante la melodia del testo scritto.

    L’esempio di Matteo Bussola è un bell’esempio. Seguo l’autore su Facebook e ritengo che il successo del suo libro tragga il motore proprio dalla spontaneità del rapporto padre figlia. Una bambina che guarda il mondo nella prospettiva spiazzante.

    Noi adulti diamo per scontate alcune cose che scontate non sono.
    Mia figlia a quattro anni, mentre eravamo in balcone mi ha chiesto: Papà, che cos’è il vento?
    Oddio, rispondere che il vento è il vento mi sembrava poco. Rispondere che tutt’attorno a noi c’è l’aria e quest’aria a seconda delle differenze di pressione atmosferica si sposta, mi sembrava troppo. Dopo aver provato a spiegare cosa fosse il vento con le parole più semplici lei linda linda mi risponde: Io pensavo che il vento era Gesù che soffiava.

    Un’altra volta, si stava sporgendo da una balaustra. L’ho rimproverata che non doveva farlo. Anzi, per evitare che lo facesse quando non ci sono io, le ho detto severo:
    Se cadi di sotto muori, non lo fare mai.
    E lei: E se muoio dove vado?
    E io per non essere troppo duro: Vai in cielo da Gesù.
    Lei chiude le labbra, ci riflette e mi chiede: E come fa Gesù a volare in cielo se non ha le ali?

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    • Ce ne saranno cento che non arrivano al successo e molto dipende anche dalla melodia, è vero, però in linea di massima un linguaggio semplice, banale, piatto è ciò che ti permette di arrivare a tutti. Poi ci sono anche altri fattori, non tutti controllabili.

      Non ho capito qual è il tuo, però, di metodo. 🙂

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  8. Ma guardi signor Anfuso
    Ho in mano qua la sua cartella
    E devo dirle che tra tutti i valori
    Le è salito
    L’Andare A Scrivere… mi spiace

    Immaginati la voce uguale, sennò non funziona.

    Compito per casa :
    Continuare le strofe successive, modificandole.
    Domani interrogazione!
    A studiare. :p

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  9. Citando gli altissimi Elio e le Storie Tese (inchinatevi prego):
    Parla come mangi, scrivi come bevi 😉
    (poi continua con: “sforzati di usare i nuovi termini britannici, non vorrai finire come quello stolto, che si ostina a usare le parole degli italici” lì la focalizzazione è sull’eccesso degli anglicismi, ma direi che fa pure al caso nostro)

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  10. Il segreto del successo è riuscire a toccare certe corde, la canzone di Rovazzi secondo me piace perché oltre al testo semplice ha un ritmo travolgente (un vero tormentone, come si dice) il merito o la colpa è di averci pensato e di aver fatto il video su youtube. Stessa cosa gamgnam style. Non so se vi ricordate il successo di una canzone di Francesco Salvi che diceva “c’è da spostare una macchina” sempre un tormentone, testo semplice? addirittura inesistente ma grande ritmo. Con la scrittura è un po’ più difficile raggiungere le grandi masse, ma la semplicità è sempre un buon mezzo, purché si trovi il canale giusto per farsi conoscere.
    Secondo me l’immagine dei capelli e dell’elastico di Matteo Bussola è molto bella, indica l’innamoramento attraverso un particolare. Molto bello anche il tuo estratto da La grande nevicata.

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  11. La nota finale sarebbe un ottimo modo per chiudere le assurde polemiche di certi scrittori sul Nobel per la Letteratura a Bob Dylan. Io non ho giudizi su di lui, praticamente si può dire che non lo conosca affatto, ma se uno scrive bene come afferma la Reale Accademia di Svezia – cui posso ancora dar credito su materie diverse dal premio per la Pace, che almeno da Obama in avanti va a cani e porci a seconda degli sponsor – dicevo, se uno scrive bene, perché fare distinzioni sul tipo di testo? Una canzone è una poesia musicata, o no? Anzi, Omero ci insegna che il poeta, in principio, canta:
    “L’ira canta, o dea, del pelide Achille, / rovinosa…”.

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  12. Non posso mettere un like perché Salvatore non l’ ha inserito ,ma se ci fosse stato l’avrei già digitato all’istante sul tuo commento, Irriverente.

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  13. Ma solo io non ho mai sentito nominare questo Rovazzi? 😐
    Comunque sono d’accordo con Marco, il successo non dipende dalla semplicità del linguaggio. Da quella dipende, semmai, la velocità con cui riesci a scrivere un romanzo. Asimov scelse un linguaggio semplice per scrivere più velocemente.

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  14. Mi diverte vedere la colonna dei commenti che si assottiglia sempre di più con il botta e risposta dei tuoi commentatori più assidui. 🙂

    Io sono una fra quelli che non ha molto afferrato il senso del Nobel a Dylan. Bisognerebbe fare un Nobel generalista, la divisione per tipologie mi destabilizza un po’.

    Credo che il successo di una canzone dipenda più dal tipo di orecchiabilità che garantisce, che dal testo. La semplicità non premia sempre, sono le note che entrano con facilità nel cervello a fare la differenza.
    Con un testo di narrativa non sono convinta che funzioni sempre alla stessa maniera.
    Anche qui vale la stessa cosa: un’opera per piacere deve avere una musicalità che è data da un mix di stile e contenuti, ma per me questo non significa che il linguaggio che piace sia necessariamente quello semplice e popolare.

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    • Il nobel non si dà per il successo ottenuto. Anzi, in genere il successo è un grosso deterrente. Nel caso specifico, e non voglio sostituirmi agli accademici, il nobel è stato dato a Dylan perché si riconosce al testo di una canzone lo status di poesia. Nel suo caso, nel caso di Bob, un poesia che è andata a modernizzare, a creare delle originalità nel contesto, credo, del folk americano. Senza impelagarci troppo nel discorso, la cosa interessante è proprio il riconoscimento di una dignità al testo di una canzone che nessuno prima si era mai sognato di assegnare. Per me non c’è molta differenza tra lo scrivere un racconto, un romanzo, una poesia o una canzone; il gesto alla base è sempre lo stesso.

      Certo che le variabili sono molte, alcune incontrollabili. Se bastasse scrivere da imbecilli saremmo tutti famosi. Tuttavia rilevo, e credo che lo puoi facilmente notare anche tu, che un linguaggio semplice oggi è la forma più perseguita di comunicazione; lo è perché permette di raggiungere più persone. Se raggiungi più persone c’è una buona possibilità che in molti ti leggano (o ti ascoltino, guardino, ecc.). Ne consegue, in potenza, un successo di vendite, di attenzione, di notorietà e via dicendo.

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  15. Qualcuno ha chiamato?
    Chi sono i commentatori assidui?
    I due compari? 😀
    Sì faccia avanti l’altro compare.😛

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      • Grazie, Marina. Tutto spontaneo.
        Parlo per me. Stavo diventando un orso nelle relazioni interpersonali. Forse dipende da tanti fattori il parlare spontaneamente, anche così a raffica.
        Nessuno ora ci crede alla mia timidezza.
        Non lo so se è perché parlare molto denoti sicurezza ed essere estroversi.
        Non lo so.

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  16. Scrivo qui perché non so dov’ è il commento sulle hit.
    Non tutte sono brutte.
    “Oronero” di Giorgia

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  17. Sto a metà strada.
    La canzone è fatta. 😉 ( mio figlio dice che è meglio la mia versione… perché l’ho scritta io :D) ( non è di parte, poco)
    Ma se non fermo un attimo.
    Stamattina sveglia alle 6:30.
    Lavoro.
    Scritto un altro pezzo (non il guest), sennò mi dimentico se non appunto l’idea. ( la vecchiaia è brutta ).
    Pomeriggio nemmeno te lo dico.
    Vado che la giornata è un mozzico.

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  18. Hola.
    Calvino parlava di rapidità, e forse si riferiva anche ad uno stile che non facesse inciampare il lettore: forse per questo su Facebook hanno tanto successo quelle storielle di cinque righe con la morale – sempre amorosa.
    Però boh, non vorrei che si badasse troppo al contenuto e “poco” alla forma: non parlo di negligenza stilistica, ma della scomparsa del barocco, di uno stile formoso, cicciottoso, che ammiro.

    Ho un racconto – uno brutto scimmiottamento di Gadda e Campana – che non riesco a terminare, che inizia più o meno così:

    “Abeti putrido-invasivi cingono la mia SEAT MARBELLA arancio gommagutta deliberando odori putrescenti sull’arsa pianura notturna, sagome fatue di Dee zingare danzano scalze davanti a me: qui automobilista in panne, a voi trinità.
    Meccanicamente scruto la striscia d’asfalto che serpeggia fin sotto la mezza luna, morsicchiata come il simbolo dello spreco capital-onanistico di questo secolo e sorrido, sorrido assaporando la discromia pigmentata dell’incisivo sinistro; il nitrire dei grilli tallona gli automezzi fluorescenti e indifferenti di questa notte di mezz’estate. Nulla mi lascia pensare alla salvezza, nulla.
    E ora… baluginare dorato, due luci nell’oscurità afosa, stridore di gomme; il finestrino s’abbassa, la musica tecno si eleva: chi è questo viandante notturno?
    – Quanto pigli a botta? – dice.
    – Lo stesso di tu’ madre – dico.”

    Perché non lo termino? Perché mi stanca scrivere così.
    Scusate lo sproloquio.

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    • Ciao, Rewind. In questo articolo non si parla di stile o di quanto attraente possa essere una particolare scrittura, ma di successo. Dove, con successo, s’intende in modo specifico la capacità che uno scritto ha di raggiungere un’alta diffusione di sé. L’esempio che hai postato, che può piacere o meno, essere attraente o meno, è l’esatto opposto di ciò che oggi si indica come necessario per raggiungere la massa. Per intenderci: il lettore tipico (o il non lettore, se preferisci) legge le prime due righe di ciò che hai scritto, non capisce cosa stai dicendo ma intuisce che serve una certa fatica interpretativa, e abbandona a priori la lettura. Questo non significa che bisogna abbandonare qualsiasi tentativo ricercato (o anche molto ricercato) di scrittura: l’articolo non parla di questo. Significa, semmai, che uno stile molto ricercato non facilità la diffusione dello scritto. Per spostare il discorso alla narrativa contemporanea, avrai notato come i romanzi di maggiore diffusione oggi siano sempre (o quasi) quelli che adottano un linguaggio comune (quindi privo di vocaboli ricercati) e uno stile piano (privo cioè di asperità che necessitano di una interpretazione). Più il linguaggio è comune e lo stile piatto più è facile che lo scritto raggiunga una massa ampia di lettori/usufruitori. Questo non significa che uno scritto particolarmente astruso (alla Campana), ricercato (alla Gadda), arzigogolato (alla Proust) e via dicendo non possa assurgere comunque al successo. Le variabili sono molte, e di molte non abbiamo il controllo.

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      • “Più il linguaggio è comune e lo stile piatto più è facile che lo scritto raggiunga una massa ampia di lettori/usufruitori”

        Sbaglio o stiamo dicendo la stessa cosa?
        Pace.

        “Questo non significa che uno scritto particolarmente astruso (alla Campana), ricercato (alla Gadda), arzigogolato (alla Proust) e via dicendo non possa assurgere comunque al successo. Le variabili sono molte, e di molte non abbiamo il controllo.”

        Non è un paese per Vecchi è probabilmente il libro più “secco” di Mccarthy, ed è diventato un film pluri-premiato;

        Petrarca voleva ottenere la gloria con “L’Africa” – alla faccia dei volgari – ma la ottenne con il “Canzoniere” – i volgari;

        De Amicis da fanboy di Manzoni ha fatto quello che ha fatto;

        Orwell parlava di prosa trasparente come una finestra.

        Poi ci sono eccezioni, ma o le sai scrivere le supercazzole – Proust – o fai la fine di Fantozzi con l’accento svedese; però come dici tu dipende dal successo che uno vuole.

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      • la semplicità del linguaggio è un modo per raggiungere tutti tipicamente utilizzato dal web. E’ la chiave per la minimizzazione dei contenuti a vantaggio della loro diffusione. IO la considero una svendita dell’arte. Inevitabilmente purtroppo, però, ne vieni condizionato. Io stessa mi rendo conto che a furia di utilizzare le correzioni di word , in alcuni casi ho incominciato ad utilizzare i termini che solitamente mi vengono consigliati a sostituzione di quelli che il correttore chiama ” forme abusate e obsolete”. Mi piange il cuore, perchè lo reputo uno svilimento della forma a vantaggio della sostanza, che secondo me funziona al contrario,ossia riducendo oltre alla forma anche i contenuti. Il bello della lingua italiana è la varietà di linguaggio, che ci permette di determinare le sfumature che vogliamo trasmettere. L’inglesizzazione del linguaggio invece ci sta facendo propendere per forme standardizzate, vocaboli semplici ma generici, al cui interno ognuno è libero di leggere quello che vuole. Allora mi chiedo se io artista volessi trasmettere un contenuto ben preciso, cos’è più violento, che io lo faccia utilizzando termini abusati e logori o che, nell’utilizzo di parole semplici, lasci poi la violenza nelle mani della libera interpretazione del mio testo, che a questo punto potrebbe essere violato e stravolto rispetto a quanto avrei voluto trasmettere?

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        • Ciao Marta, benvenuta. Purtroppo è così: la nostra contemporaneità predilige un linguaggio semplice e immediato: abbiamo troppo poco tempo da dover suddividere in un immensità di impegni e non sempre abbiamo la pazienza necessaria per dedicare la giusta attenzione a tutto; ma questo non significa che non si possano esprimere concetti anche profondi con un linguaggio semplice.

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