Suspicious minds
Se viviamo nel sospetto
Questo articolo non parla di Elvis Presley o della sua morte, né dell’omonima canzone da cui prende il nome; parla di qualcos’altro. Qualcosa di molto più sottile e impalpabile. Soprattutto parla di un video, che troverete al fondo e che potrete visualizzare con tutta calma dopo. Io consiglio prima e dopo.
We’re caught in a trap – Siamo in trappola
I can’t walk out – non riesco a uscirne
Because I love you too much baby – Perché ti amo troppo piccola
Why can’t you see – Perché non puoi vedere
What you’re doing to me – quello che mi stai facendo
When you don’t believe a word I say? – quando non credi a una parola di quelle che dico?
We can’t go on together – Non possiamo andare avanti insieme
With suspicious minds – con pensieri sospettosi
And we can’t build our dreams – e non possiamo costruire il nostro sogno
On suspicious minds – su pensieri sospettosi
So, if an old friend I know – Così, se una vecchia amica che conosco
Drops by to say hello – passa a salutare
Would I still see suspicion in your eyes? – vedrei ancora sospetto nei tuoi occhi?
Here we go again – Ci risiamo
Asking where I’ve been – chiedi dove sono stato
You can’t see these tears are real – Non riesci a vedere che queste lacrime sono vere
I’m crying – sto piangendo
We can’t go on together – Non possiamo andare avanti insieme
With suspicious minds – con pensieri sospettosi
And we can’t build our dreams – e non possiamo costruire i nostri sogni
On suspicious minds – su pensieri sospettosi
Oh, let our love survive – Oh, lascia sopravvivere il nostro amore
Or dry the tears from your eyes – o asciuga le lacrime dai tuoi occhi
Let’s don’t let a good thing die – non permettiamo che una bella cosa muoia
When honey, you know – Quando tesoro, tu sai
I’ve never lied to you – che non ti ho mai mentito
Mmm yeah, yeah – Mmm si, si
We’re caught in a trap – Siamo in trappola
I can’t walk out – non riesco ad uscirne
Because I love you too much baby – Perché ti amo troppo piccola
Why can’t you see – Perché non puoi vedere
What you’re doing to me – quello che mi stai facendo
When you don’t believe a word I say? – quando non credi a una parola di quelle che dico?
Scritta nel ’68 da Mark James, Suspicious minds fu incisa da Presley l’anno successivo e portata al successo nell’autunno del 1970. Assieme a In the Ghetto e Kentucky Rain, questo è considerato uno dei brani più rappresentativi della famigerata icona americana. Raggiunse la prima posizione negli Stati Uniti e vi rimase per tre settimane consecutive. Campeggiò nella Billboard Hot 100 per una settimana. Vendette un milione di copie negli USA e sette nel mondo. Per questa canzone Elvis ricevette il disco di platino.
La canzone parla di un amore intrappolato dai troppi sospetti. La traduzione italiana non gli rende giustizia, come non rende giustizia alla voce e alla mimica del Re. Il video è la ripresa live di una delle serate di Las Vegas. Ma come dicevo, questo articolo non parla di Presley o della sua morte, né della canzone in sé. Parla di un uomo.
Io sono nato in una famiglia di stampo meridionale. Quando ero piccolo i miei genitori ascoltavano Albano e Romina, Peppino di Capri, Mario Merola. L’influenza culturale americana nella mia infanzia non c’è stata. Le note di Elvis non sono mai entrate nella mia vita, nemmeno di sfuggita. Non ne sono quindi influenzato. Eppure imbattendomi in questo video non ho potuto che restarne affascinato.
Sottraendo dalla somma la voce baritonale di Elvis, le pose studiate, i colpi di bacino ciò che resta è un uomo che sa di essere affascinante, che si diverte sul palco e che di tanto in tanto, non sempre, neppure spesso, ma qualche volta parte per la tangente senza riuscire a trattenere quello che ha dentro, tanto da interrompere perfino l’esecuzione vocale della canzone. I miei occhi non vedono il cantante e nemmeno l’icona. Vedono l’uomo.
Per quanto mi riguarda ci sono due tipi di artisti: quelli che lo vogliono essere, e quelli che lo sono. I secondi hanno più chance di assurgere al successo, ma ne subiscono anche tutto l’influsso negativo. Non sono nati per essere famosi, sono nati per fare bene una cosa che li diverte fare. Nel suo sorrisetto compiaciuto quando si gira a guardare il batterista, nella risata a stento trattenuta dopo aver scherzato con la corista, nella gamba sinistra che proprio non vuole smettere di ballare, nell’irrigidimento del busto, come se venisse in quel momento posseduto, che in alcuni frangenti del video (2′ e 18″) lo coglie costringendolo a interrompersi io vedo il Presley intrappolato nell’Icona.
… e non posso che provarne, conoscendo come va a finire questa particolare storia, la storia di Elvis, non posso che provarne una grande, profonda, sentita compassione. Si può essere semplicemente se stessi senza doverne prima o poi pagare il conto?
Viene quasi il sospetto, guardandolo, che tutti in fondo siamo intrappolati nell’immagine che gli altri hanno di noi… Forse, nell’immagine che abbiamo di noi stessi. Dicono fosse un uomo timido, Elvis. Ma come sostenevo all’inizio, l’articolo non parla di lui.
Buona visione.
Invece mio padre ascoltava Elvis, anzi, era il suo cantante preferito, al massimo si concedeva Bobi Solo o il primo Celentano (quello rock&roll).
Però qui non parliamo di Elvis. Parliamo di uomini che vorrebbero essere se stessi e levarsi la maschera che gli ha imposto la società.
Pirandello ha dedicato una vita alle maschere. Purtroppo non credo abbia trovato una soluzione.
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Proprio così, l’articolo parla di uomini. 😉
… e di artisti.
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ma per essere artisti bisogna eserlo dentro o basta esserlo fuori?
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Piano con le domande.. non siate troppo curiosi.( parlo io…) 😛 Per la “Marzullite” ci sono delle pasticche in farmacia.
Leggere bene le istruzioni. 😛😛😛
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Domande marzulliane… carino. XD
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Sapessi.
Marzullo, mi allaccia le scarpe. 😁😁
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Lapsus freudiano, in realtà volevo scrivere esattamente l’opposto 😀
ma per essere artisti basta esserlo dentro o bisogna anche esserlo fuori?
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Basta essere se stessi… 😉
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Con o senza l’accento?
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Ci deve pensare e fare un post.
Non mettere fretta. 😛
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Lo scoprirai lunedì prossimo: Dieci tipici errori grammaticali. 😉
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Ma chi ne totalizza di più cosa vince? Perchè io mi impegno fin dai tempi delle elementari XD
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Vince una grammatica. 😛
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Allora mi impegno 😀
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Io sono già pronta.
Ahivoglia! 😀😀😀
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Comunque sono più curioso per cosa esce venerdì.
Come creare una doppia attesa saltando un’uscita 😀
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Venerdì ci sarà una sorpresa che pochi si aspettano. 😛
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In cartaceo?
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Io un premio lo voglio. Faccio sempre la mia parte.
Mi impegno sempre a fare un errore al giorno.
Contento, prof?
P.s.= non ti siamo mancati questi giorni?
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Prof, imparo anche una parola al giorno, non solo gli errori.
Oggi per esempio “corsivista”.
Che dice, è un buon metodo?
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Prova, piuttosto, con “enfio”. 😛
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Se non vinco la grammatica che metti in palio, non posso cercarlo.😛
È una parola buona?
Certe paroloni….
P.s.= gonfio? Gengive gonfie?
C’è saccenza nell’aria. Vado a comprare del DDT. 😛
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Te l’ho detto, Grilloz.
Salvatore ha tutte le risposte.
Io solo le domande.
Aspetta lunedì.
😀
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XD
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Purtroppo non posso vedere il video (farlo senz’audio sarebbe un sacrilegio) perché sono in ufficio, ma mentre leggevo la tua riflessione su chi nasce artista e chi lo diventa, avevo in mente una sola persona: Freddy Mercury. Per me lui è l’archetipo della superstar, e non solo perché ha prodotto opere memorabili, Bohemian Rapsody in primis, ma perché quando è sul palco incanta. Tuttavia l’arte spesso nasce dalla sofferenza, dalla sublimazione del proprio dolore interiore. Il divertimento arriva in un secondo tempo: prima, c’è il bisogno di esprimere se stessi. Per questo io dico che persone incapaci di entrare in contatto profondo con le proprie emozioni più intime (nel bene e nel male) non sono in grado di creare. Alla base di qualunque forma artistica, c’è l’ascolto di se stessi…
P.S. Io sono cresciuta con i genovesi Fabrizio De André e Francesco Baccini, nonché con la super Gianna Nannini: mia mamma aveva la cassetta in auto, ma ha smesso di ascoltarla quando io, a scuola dalle suore, cantavo a squarciagola “i maschi disegnati sul metrò, confondono le linee di Mirò…”
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Sono perfettamente d’accordo. E naturalmente Freddy è stato un grande. Io non credo che sia Freddy sia Elvis volessero essere famosi, credo volessero esprime appunto quello che avevano dentro. Il successo è una conseguenza, spesso neanche gradita.
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Sono d’accordo. Sulla stessa scia, mi viene da menzionare anche Michael Jackson.
John Lennon, invece, è ugualmente artista, ma completamente diverso. è meno “fisico”, mi verrebbe da dire, e più intimista.
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Ma ha fatto comunque una brutta fine… La verità, è che tutti hanno fatto una brutta fine. Sicuri di voler arrivare al successo?
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Sulla fine dei cantanti di successo, di enooooorme successo, c’è sempre qualche sospetto. Escludendo Freddy Mercury, su Elvis, Jackson e Prince, ma anche Kurt Cobain, nonostante indagini e referti, ci si chiede sempre se “erano coscienti” di quel che stava accadendo. Più le varie teorie complottistiche che li vedono ancora vivi a godersi il sole delle Barbados alla facciaccia dei fans.
Però.
Qual è lo scrittore che avuto un così gran successo da morirne?
Non da morire di fame per non aver venduto (che la vedo più probabile).
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David Foster Wallace? Giusto il primo nome che mi è venuto in mente. Ma anche Hemingway, Carver, Rimbaud…
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Infatti.
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Wallace impiccato, ma ha voluto morire per colpa del successo o per l’influenza nella sua vita dei temi utilizzati anche nei libri? difficoltà nei rapporti interpersonali, uso di droghe, la competizione sociale, il ruolo dei media? Era il “suo” successo a esasperarlo o il mondo stesso?
Hemingway si è sparato in bocca. Qualche settimana prima era stato in ospedale. Soffriva di allucinazioni, pensava di essere pedinato e perseguitato, era convinto di essere ammalato di cancro, fu sottoposto a eletroshock. Era un maniaco depressivo. E non credo questo abbia legame stretto col successo. Ho visto persone comuni avere gli stessi problemi!
Carver è morto di malattia, cancro al cervello. Niente a che vedere col successo.
Rimbaud è morto per le complicanze di una cancrena alla gamba, di malattia anche lui, in epoca in cui le conoscenze mediche erano poche e si trovava in Africa quando cominciò ad aver male.
PS: di Jackson sappiamo che, poco prima della sua morte, quando stava provando per gli imminenti concerti a Londra, aveva enormi difficoltà finanziarie. I concerti erano tanti e frequenti per coprire i debiti. Morto lui, le vendite che ne sono seguite nei 6 mesi successivi non solo hanno coperto il dissesto, ma hanno portato un guadagno enorme. Che quando raggiungi un determinato livello, c’è gente che potrebbe anche sperare nella tua morte.
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Vero, c’è gente che magari ci spera. Sulle morti degli scrittori, io credo che il successo possa acuire una situazione pregressa o contribuirne a formarne una se si è predisposti. E il fatto che tra i cantanti pop se ne contino di più probabilmente è dovuto proprio al più alto livello di fama di questi ultimi (o ciò che essa comporta). Secondo me, e non ho problemi a dire che la penso diversamente da Baricco, non c’è molta differenza tra chi scrive romanzi, racconti, poesie o canzoni. Per me sono tutti scrittori. Infatti il Nobel a Bob a me è piaciuto. Non scendo a esaminare se tecnicamente Bob sia il più bravo, questo non mi interessa. Quello che mi interessa è che chi scrive canzoni non è diverso da chi scrive poesie, racconti, ecc. Quindi alla fine che si parli della morte di un cantante pop o di uno scrittore in effetti stiamo parlando, secondo me, della stessa cosa.
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Standing ovation con applauso.
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Grilloz ha risposto, ma di scrittori “suicidi” ce n’è tantissimi. E poi, anche fra i non suicidi, c’è chi ha scelto l’isolamento, tipo: Salinger. Andavano a bussargli alla porta, i suoi fans…
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Io non credo che la “brutta fine” dipenda dal successo. Penso piuttosto che questi personaggi avessero una sensibilità spiccata ed eccezionale, che li mettevano a rischio di seria depressione, oltre che di dipendenza da sostanze. Le persone creative, a prescindere dal successo che ottengono, sono per natura poco propense a integrarsi. Alcune riescono a trovare un equilibrio, altre no. 🙂
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Io invece ho amato Pirandello. Tanto. Se dico: “Uno, nessuno è centomila”, non credo di dover aggiungere altro.
Mi è sempre rimasta impressa una frase, ma non mi ricordo chi la dissi, forse Morrison, ma non lo so, lo ammetto.
È meglio essere odiati per ciò che siamo, che essere amati per la maschera che portiamo.
Credo che qualcuno mi odi. 😁
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Qualcuno odia anche me, ma preferisco essere me stesso che fingermi qualcun altro. 😉
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Condivido pienamente. 😉
Let it be.
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questa è dei Beatles 😉
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Siiiii. ….. bella.
Però in particolare amo “Yesterday”.
La mia prima figuraccia a scuola, nell’ora di musica.
Però ho altri ricordi.
I love Beatles.
Gli unici scarafaggi che mi piacciono.
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La fama è una schiavitù. Ma non solo per il fatto che gli altri si aspettano sempre qualcosa da te, se sei famoso, ma perché tu stesso non puoi accettare te stesso staccato da essa. O almeno solo in alcuni casi rari questo accade.
Eppure noi tutti cresciamo con l’idea che il diventare celebri, l’essere applauditi sia la cosa migliore che ci possa accadere, senza invece renderci conto che può diventare la peggiore. E’ un po’ quello che cercavo di dire nel post in cui mi chiedevo perché vogliamo a tutti costi pubblicare. Ed è lo stesso filo conduttore che mi portava a immaginare che la Ferrante avesse scelto l’anonimato per sottrarsi da questo meccanismo pericolosissimo.
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Hai colpito il bersaglio, Silvia. Il tema era questo. È vero che il mondo occidentale è ossessionato dal “successo”, cioè dall’ottenerlo, altrimenti non si spiegherebbero fenomeni rappresentati ad esempio da programmi televisivi come il Grande Fratello. Il punto, almeno nell’arte, è che il successo lo ottiene chi fa bene una cosa per la quale è nato, non chi lo cerca a tutti i costi. Le case editrici, soprattutto quelle grosse, ci provano in continuazione a lanciare libri cercando di manipolare il consenso pubblico, ma nessuno ci riesce. Elvis ha avuto successo perché era nel suo destino, perché ha fatto qualcosa che gli piaceva fare e l’ha fatto mettendoci se stesso. Non ci sono maschere su quel volto. La conseguenza è in genere una vita grama, deviata, subissata dai fan e da tutte le peggiori iatture che il successo è in grado di provocare nella vita di una persona. Se penso che un mio libro possa farmi assurgere alla fama (non lo sto affermando, è solo un ipotesi) a me viene la strizza. Siamo davvero sicuri di voler diventare “animali pubblici”? A me la cosa spaventa…
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Per quanto riguarda la Ferrante, non credo basti uno pseudonimo a preservarti dal meccanismo. Perché come ben dici tu non sono solo gli altri, ma anche noi stessi il problema. Una volta che ti sei abituato a stare a centro dell’attenzione, una volta che i tuoi libri, per fare un esempio, sono esposti nelle vetrine di tutte le librerie, una volta che i giornalisti dei più grossi quotidiani nazionali e internazionali ti telefonano ogni giorno per cercare d’intervistarti tornare poi indietro, nell’anonimato, non può essere un’operazione priva di dolore.
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Esatto. E alla fine lo stesso anonimato diventa un’ulteriore schiavitù perché ti trovi a vivere quasi due vite parallele che non si possono mai incontrare. Non c’è via di scampo. Insomma, meglio restare sé stessi nella propria aurea mediocritas. 🙂
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Oppure si può adoperare un eteronimo… 😛
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Quindi il mondo dovrà sopravvivere a due Salvatori Anfuso?? O_O Pericolosissimo!!! (E poi quante confidenze mi tocca comprare??) 😛
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Più che altro ti servirebbe, in quel caso, un confidente specialista… Tipo un analista, uno psichiatra o uno psicologo. 😛
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Io credo che desideriamo la fama per due motivi: il primo è più naturale e innato ed è lo stesso meccanismo che spinge il bambino a desiderare un giocattolo che non ha, per poi abbandonarlo subito. Ciò che ci sembra non essere alla nostra portata ci affascina molto di più di ciò che sembra esserlo. Per presunzione pensiamo che sia meno alla nostra portata la fama piuttosto che la buona scrittura, quindi perseguiamo la prima e con minor intensità la seconda.
Il secondo è indotto. Come dici tu, nella cultura occidentale il successo è inteso solo in termini di visibilità e, ultimamente, socialità. Nelle nostre scuole formiamo bambini che devono essere necessariamente sociali, togliendo loro la capacità e la voglia di stare ad annoiarsi guardando il soffitto. Siamo la società dell’intrattenimento. Ci dividiamo tra intrattenitori e intrattenuti, lasciando così sempre tutto superficiale.
Del resto, come si può ben vedere, chi poi la fama la raggiunge senza meritarla (vedi vari talent che costruiscono e affossano piccoli divi), ne rimane schiacciato e scompare. Chi emerge per merito, dura. Ma a che prezzo! Anche a me la cosa spaventa. 🙂
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Bell’analisi, Silvia, complimenti. 🙂
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Grazie. 🙂
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Il successo e la notorietà ti sconvolgono. Ne vale la pena?
Su chi usa uno pseudonimo si protegge per un po’, ma poi verrà scoperto in qualche modo.
Tutto ha un prezzo. A volte non sei nemmeno tu che scegli il prezzo da pagare.
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Vero, a volte non siamo noi a scegliere il prezzo da pagare.
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Se invece di ascoltarlo alla fine lo ascolti nel mentre come sottofondo alla lettura?! Io ho scelto la mia strada, al solito diversa da quella degli altri.
Sono nata a pane e Battisti, Baglioni e tutto il panorama dei cantautori italiani. Poi crescendo solo rock estero ed ora solo musica che mi emozioni qualunque nazionalità abbia. Gli artisti sono ovunque e sono celati spesso sotto incomprensibili strati di stranezze. Andando oltre ed ascoltandoli solo, senti che vibrano insieme alla loro musica, alla stessa maniera di chi si realizza con la propria arte.
Sarà che in questo periodo sono molto triste, ma credo che gli artisti per il loro animo sensibile siano come dici più vulnerabili dai fatti della vita, e se spesso cadono vittime di abusi, stravizi e tutto il sottobosco torbido della vita sia quasi inevitabile.
Io il mio trucchetto per sfuggire a simili situazioni ce l’ho. Dovessi mai diventare famosa, e tanto tanto ricca, mi compro il mio paesino in montagna e mi trasferisco là ricreando la comunità di un tempo. Sì, lo so vaneggio, ma tanto sognare non costa nulla…
Bel post al solito, di quelli che lasciano lo spazio per mille argomentazioni.
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Triste? Su, su. Pensa positivo. I pensieri negativi vanno fatti uscire.
Hai detto un pensiero profondo.
E l’idea di essere noti, ma rimanendo le personi semplici non è inverosimile.
Penso ad alcuni artisti che sicuramente hanno cambiato il loro tenore di vita è più, alcune abitudini sono state sconvolte, ma hanno fatto della discrezione il loro stile di vita.
Non è impossibile.
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Hai ragione ci sono mille bellissimi esempi, non a tutti la notorietà ha fatto perdere la testa. E’ questione di equilibrio innato o che si trova per strada. Anche l’età ha la sua importanza, se il successo arriva troppo giovani è complicato gestirlo e serve una famiglia molto forte alle spalle. Tanti complicati ingredienti per una ricetta di quelle perfette. Però hai ragione non è impossibile, anche se l’esempio di Elvis è di livelli che neppure riusciamo a sognarci, e che mai hanno del semplice. A me dopotutto piace moltissimo la mia normalità e mai la scambierei per follie come apparizioni in televisione o altro.
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La discrezione come stile di vita piace molto anche a me.
Ma noi ci capiamo al volo, Nadia. 😊
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Non ho suggerito di ascoltarlo “durante”, perché bisognerebbe vedere anche le immagini, ma naturalmente è una bella esperienza e se ti capita di prestarci attenzione anche le mie parole vibrano al suono della sua musica. 😉
Triste? Tu? O.O
Sognare non costa nulla. 🙂
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Sai che Elvis mi ha sempre messo tristezza anche quando guardavo i suoi film? Bello, molto bello ma tanto triste, nei suoi occhi. Tanto infelice. Come i comici. Ho sempre adorato Faletti anche quando faceva lo scemo a Drive in, quanto ho pianto quando ha cantato a Sanremo Signor tenente.. eppure solo quando ha scritto ho capito perché fosse tanto speciale. Tutti i comici in realtà sono uomini “pandorici” (proprio usciti dal vaso di Pandora), artisti a tutto tondo dalla sensibilità estrema.
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Condivido e sottoscrivo in pieno queste tue parole, Nadia. In pieno! Ho sempre avuto le stesse sensazioni a proposito delle stesse persone citate. 😦
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Non credo sia la maschera il vero peso che porta l’artista. La maschera fa parte dell’opera, la finzione è compresa nello spettacolo, metti in scena la tua arte con la performance sul palco e non significa rinunciare a essere se stessi. L’arte è una cosa che fai perché ti piace, è uno dei modi che hai per esprimerti, per qualcuno è anche un mestiere, ma poi c’è tutto il resto della tua vita, c’è sempre l’uomo e non devi necessariamente renderlo pubblico insieme alla tua arte.
A mio parere, salvo casi estremi, lo stress non deriva dal fatto di recitare una parte, ma dall’impegno che comporta il successo: rispettare contratti e scadenze, rilasciare interviste, farsi fotografare, viaggiare. Il lavoro che sta dietro al successo può pesare, ma è anche diverso a seconda dell’arte che fai. Lo scrittore può dire “Stasera sono stanco, non scrivo”, il pittore può evitare di dipingere se ha mal di denti, ma il musicista che ha in programma un concerto o l’attore che ha uno spettacolo in teatro può dire “Stasera sono stanco, non vado sul palco”? Quello può pesare, quello può consumare come ogni altra fatica e, secondo me, non ha niente a che fare con l’essere se stessi o meno.
Poi ci si potrebbe dilungare sulla serie di maschere che indossiamo ogni giorno, anche senza fare arte.
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Sì, ci sono molte maschere: quella che fa parte della performance, quella che indossi davanti alle telecamere quando ti intervistano o in pubblico, quella che indossi in famiglia…
Lo scrittore però non può sottrarsi alle varie presentazioni dei libri, alle fiere, agli inviti televisivi, alle richieste di articoli per riviste e quotidiani, ecc. Mi pare stressante uguale. Magari hai meno fans… se non ti chiami Salinger. 🙂
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Non si tratta di quantità di fan, musicista e scrittore fanno proprio due cose diverse per quanto affini sotto molto aspetti.
Uno scrittore si esprime attraverso ciò che scrive, il suo contatto con il pubblico avviene indirettamente attraverso il suo libro. Nemmeno il pittore o lo scultore sono obbligati a presiedere una mostra delle loro opere. Diverso è per il musicista o l’attore di teatro per i quali il contatto diretto con il pubblico è parte integrante della loro arte, l’esibizione completa l’opera. Non so se esista un musicista che sia appagato dalla pubblicazione del suo cd senza suonare i suoi pezzi dal vivo perché è in quel modo che comunica la sua arte. Lo scrittore invece divulga la sua opera pubblicandola.
Sicuro che non possa sottrarsi a un’intervista o una presentazione? Da contratto forse. Gli impegni per la promozione hanno a che fare con il successo o la ricerca del successo, con il mestiere di scrittore forse, ma non con lo scrivere. Proprio per questo dicevo che il contorno è stressante, non certo la performance. Sono certa che Stephen King sia molto stressato, ma non quando scrive 🙂
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L’idea dello scrittore chiuso nella sua stanzetta è, secondo me, un po’ ingenua. Ora, magari l’Anfuso di turno, che non è nemmeno uno scrittore, può permettersi di sentirsi libero come il vento, ma uno come Baricco, sempre secondo me, no. Il 90% del suo lavoro è quasi esclusivamente composto di relazioni pubbliche.
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I vip senza talento non c’è da prenderli in considerazione.
Sono meteore. Si eclissano nell’arco di poco tempo.
Seppure hanno il problema opposto.
La notorietà logora chi non ce l’ha.
( secondo loro).
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Già, anche questo è vero. È tutto un logorio… XD
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Bellissimo post.
Per come la vedo io, troppa dose di genialità è nociva. Se si vuole essere felici, meglio averne una dose ridotta.
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Il troppo, stroppia… ma che significa stroppia? o.O
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Non era il troppo, storpia?
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*O*
http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/troppo-stroppia-storpia
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Vox populi, vox dei?
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Quando ero ragazzina mi piacevano molto i film di Elvis, in pratica i musicarelli all’americana, per me Elvis era prima attore e poi cantante, pensa un po’. Lui ha segnato davvero un’epoca ed è un mito nell’immaginario collettivo, mi chiedo se lo è anche per la sua precoce morte.
Comunque tralasciando Elvis tutti noi portiamo delle maschere, più o meno. Io per esempio al lavoro ci sono delle persone che strozzerei, ma cerco di non farlo capire, altrimenti dovrei fare la guerra tutti i giorni. Capisco quindi la fatica di un artista che debba sempre mantenere alta la sua immagine pubblica, già io nel mio piccolo mi sento stretta in una morsa e non sono nessuno…
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Alla fine la maschera che indossi t’indossa… 😛
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Il giorno in cui la moglie gli fa notare che ha il naso leggermente storto, il Moscarda, che mai se n’era avveduto, scopre di essere “Uno, nessuno e centomila”… chissà che cosa avrebbe pensato Pirandello dei social network!
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Gli sarebbero piaciuti: un luogo così perfetto per studiare l’umanità e conservare, allo stesso tempo, l’anonimato…
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In effetti…
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Mmmhhh…. meglio che Pirandello non ci osservato. Casi poco umani. :p
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Bellissima canzone e grande Elivs, per me il cantante che apprezzo di più al mondo. Appena potrò, mi prenderò tutta la raccolta dei suoi album uscita lo scorso anno.
Tornando al discorso, perché il post non parla di Elvis, quando diventi un’icona, finisci per restarne intrappolato, è capitato a molti.
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Speriamo non capiti anche a noi. 😉
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Stamattina, invece ho pensato alla carriera inversa, tipo quella di Mina.ppppp
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Cioè?
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Nel senso inverso perché lei ha avuto un successo pazzesco, ma si è ritirata a vita privata prima che la fama e le conseguenze più brutte potessero inghiottirla.
Non si concede al pubblico dal 1978 nei concerti e nelle trasmissioni.
Era giovane e al top, chi glielo ha fatto fare di mollare all’apice del successo?
Anni in cui l’oblio era possibile con l’aggiunta della censura e dell’allontanamento dalla televisione che l’aveva vista protagonista dopo lo scandalo di aver avuto un figlio con un uomo sposato, famoso anche lui, tra l’altro.
Nonostante tutto, in entrambe le situazioni d’esilio forzato e volontario di ora, il pubblico l’ha sempre seguita.
Mina incide ancora quando vuole. Ancora. Ma dietro le quinte.
Caso inverso di chi raggiunge il successo e cambia stile di vita, esposto ancor di più dell’inizio carriera.
Ma Mina è Mina.
Sono quegli artisti che lasciano il segno.
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