Occhi fissi sulla meta

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La fissazione oculare come stile di vita

Pruitt Taylor Vince, l’attore che interpreta il ruolo di padre Hennessy nel film Costantine o, ancora giovanissimo, quello del detective Deimos in Angel Heart o più di recente quello di Mr. Lee in Beautiful Creatures (e tanti altri) ne è affetto fin dalla nascita. Lo chiamano nistagmo, si tratta di un movimento oscillatorio involontario degli occhi.

Lo nistagmo si presenta come un movimento pendolare a causa del quale l’occhio oscilla in almeno due direzioni diverse, senza che il soggetto possa volontariamente fissare lo sguardo su qualcosa. La velocità di oscillazione può essere costante o saccadica, composta da una fase veloce e una lenta. Chi è affetto da questa patologia tende a essere ipovedente (come conseguenza del fatto di non riuscire a fermare lo sguardo su ciò che vorrebbe vedere), e incline a tutta una serie di sintomi secondari, come: cefalea, vertigini, nausea e irritabilità. Il soggetto, come si può immaginare, fatica a praticare sport, a studiare, a eseguire nei casi più gravi operazioni semplici come, ad esempio, annodarsi le stringhe delle scarpe.

Nel caso di Pruitt, questa patologia ha permesso all’attore, in alcune interpretazioni, di valorizzare la recitazione. In genere però è considerata una malattia grave, molto debilitante sia da un punto di vista sociale sia in termini di qualità della vita.

Un occhio sano, i cui muscoli motori funzionano a dovere, non ha problemi a fissare lo sguardo su un obiettivo. Quando teniamo lo sguardo fermo tendiamo a pensare che l’occhio stia riposando, ma in realtà in termini muscolari è al suo massimo sforzo. Provate a immaginare la precisione e la fatica che l’apparato oculare deve fare quando muovendo la testa teniamo comunque lo sguardo fisso su un oggetto. Senza i riflessi vestibolo-oculari questo non sarebbe semplicemente possibile. Provateci, tenete lo sguardo fisso sulla parola:

OBIETTIVO

… e ruotate la testa da destra a sinistra e da sinistra a destra. Impegnatevi a tenere la parola OBIETTIVO fissa al centro del vostro campo visivo, e a ruotare lentamente la testa. Se ci siete riusciti, se siete riusciti a tenere lo sguardo fermo nonostante abbiate mosso da un lato all’altro la vostra testa, avete provato a voi stessi due cose:

  1. I vostri riflessi vestibolo-oculari funzionano.
  2. Siete in grado di tenere lo sguardo fisso sul vostro obiettivo.

Tuttavia quello di fissare lo sguardo su un obiettivo, nonostante il buon funzionamento dei muscoli oculari, non sembra una dote cui molti sono destinati. È molto più istintivo gettarlo a terra, piegarlo di lato o chiuderlo al sicuro dietro le palpebre a seconda del contesto. Quando incrociamo una persona per strada, ad esempio, ci viene istintivo gettare a terra lo sguardo. Fateci caso. È un gesto automatico, che serve a indicare all’altro individuo che per lui noi non rappresentiamo una minaccia. Ma quante volte al giorno fissate negli occhi le persone che vi circondano? Non parlo di estranei incontrati per caso, ma dei vostri famigliari, dei vostri amici, dei conoscenti. Lo fate mai? Una volta ho preso parte a una lezione di tantra (spero si dica così) in cui ci facevano camminare a casaccio per la stanza costringendoci a fissare dritto negli occhi coloro che incrociavamo. Farlo vi apre un mondo. Vi fa capire che dietro i vestiti, dietro l’immagine stereotipata che abbiamo delle altre persone, ci sono uomini e donne vivi e pieni di sentimenti.

La stessa cosa si può dire per gli obiettivi di vita. Alcuni tengono la meta dritta davanti a sé, e fanno di tutto per raggiungerla. Altri chiudono gli occhi, li spostano di lato, li gettano a terra tutte le volte che una buona occasione si profila all’orizzonte. Si chiama paura. E ha tutta una serie di sintomi secondari, come: invidia, rancore, scoramento e irritabilità. Chi ne è soggetto fatica a relazionarsi, a perseguire le proprie aspirazioni, a eseguire nei casi più gravi operazioni semplici come, ad esempio, portare a termine la stesura di un romanzo.

Dal mio punto di vista il mondo si divide in due tipi di persone: quelli che riescono a prendere al volo il fiocco di popcorn lanciato per aria, e quelli che non ci riescono. Ciò che distingue i primi dai secondi è proprio la fissazione oculare. I primi, cioè, si impegnano a tenere lo sguardo fisso, dal lancio alla presa, sul fiocco di popcorn. I secondi no.

Il vostro cane, che pure non è dotato di una vista particolarmente acuta, su questo argomento avrebbe molto da insegnarvi. Provate a lanciargli un boccone di cibo. Se la vostra parabola non è troppo accidentata o sbilenca, saranno più le volte che il vostro fedele quadrupede domestico riuscirà ad acciuffare il biscottino che quelle che fallirà. E questo perché il suo sguardo è sempre fisso sull’obiettivo. Sempre.

Da ragazzo ho giocato un po’ a tennis. Il segreto di un buon tennista è di non chiudere mai gli occhi quando la racchetta colpisce la pallina. Se riuscite a tenerli aperti, a guardare la pallina dall’inizio alla fine del gesto atletico, allora sarete degli ottimi tennisti. Magari non vincerete la Coppa Davis, ma non sfigurerete mai in una competizione di tennis. Nel film Forrest Gump, qualcuno dice al protagonista che il segreto del ping-pong è di non perdere mai d’occhio la pallina. Come ricorderete, il personaggio interpretato da Tom Hanks non è un fulmine d’intelligenza, ma quando gli si dice una cosa lui si impegna a eseguirla. Così, nel film, Forrest diventa un campione di ping-pong, arrivando a gareggiare perfino in Cina.

«Stupido è chi lo stupido fa, Signore.»

Metaforicamente questo concetto può essere allargato a ogni altra attività umana. Ad esempio alla scrittura. Alcuni tengono gli occhi fissi sull’obiettivo e, magari non diventeranno mai degli Stephen King, ma dei buoni romanzieri sì; altri no, e non diventano niente.

Se avete deciso d’intraprendere quest’attività è perché nella vostra vita la scrittura riveste una certa importanza. Allora tutto quello che dovete fare per raggiungere la meta è di non perderla mai di vista. Se riuscite a tenere l’obiettivo fisso davanti a voi, nonostante le oscillazioni della vita, arriverete senz’altro a realizzarlo. Questo è il mio augurio per voi.

121 Comments on “Occhi fissi sulla meta”

  1. Avendo anche tu praticato uno sport di combattimento dovresti sapere che il guardarsi negli occhi tra i maschi adulti (non soltanto dell’uomo, ma credo un po’ di tutte le specie di mammiferi) sia segno di aggressività. Una cosa che avevo imparato con l’esperienza era fissare negli occhi l’avversario fin dall’inizio del combattimento (anche prima che l’arbitro dia il via): se abbassa lo sguardo hai buone probabilità di vittoria, se non lo abbassa insisti finchè non lo fa
    Per questo istintivamente non ci guardiamo negli occhi se non accidentalmente o (se vivete in germania è un obbligo) durante un brindisi. Diverso, diversissimo, il caso tra maschio e femmina, soprattutto in certi momenti intimi. In questo caso nello scambio di sguardi passano più messaggi che nella comunicazione verbale.
    Però sono andato un po’ fuori tema. Penso che più lontano sia l’obiettivo più difficile sia tenere fisso lo sguardo. Del resto provate a tenere fisso un oggetto distante, magari camminando. Ad un certo punto vi renderete conto che state guardando in quella direzione, ma non quel punto preciso. E ogni tanto sarete costrette a guardare per terra per non inciampare, o fissare quel ramo che vi ostacola il cammino, o qualcosa di più vicino attirerà il vostro sguardo, qualcosa di interessante che vi distrarrà e vi porterà su un’altra strada.
    Fifficile raggiungere una meta lontana. Forse in questo caso sarà sufficente, almeno all’inizio, tenere la direzione fissa più che lo sguardo. Forse no.

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    • Infatti il modo e il contesto in cui si adopera lo sguardo diretto è funzionale all’obiettivo che ci si prefigge di raggiungere: dunque perché non fissiamo lo sguardo alla nostra meta? Come mai abbiamo questa difficoltà? La differenza tra il realizzarsi e il non realizzarsi, secondo me, sta tutta qui. Se poi la meta è lontana, basta adoperare dei buoni binocoli. 😛

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      • Già come mai? forse perchè la meta non è così chiara o che ne abbiamo troppe da raggiungere e non tutte sullo stesso percorso?
        Ho sempre un po’ invidiato quelle persone che fin da bambine avevano chiaro ciò che avrebbero fatto davanti. Per me è stato tutto un costruirsi pezzo per pezzo, tra passioni del momento e spinte dall’esterno.

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        • Anch’io li ho sempre invidiati. Avrei voluto avere allora la lucidità che ho oggi. Con il vantaggio che, quando si è giovane, ci si pone molte meno domande.

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    • Dunque, davanti al maschile la scelta dell’articolo determinativo, il oppure lo, dipende unicamente dall’eufonia con il sostantivo che accompagna: essendo le due forme perfettamente alternative fra loro. Poiché i grammatici raramente amano lasciare libera scelta al parlante, si sono inventati una regola: si adopera il sempre tranne che davanti alla z di “zampirone”, alla s di “spergiuro”, alla x di “xilofono”, alla semiconsonante i come nel caso di “ionio”, e ai gruppi sc, gn, ps e pn di “sciacallo”, “gnocco”, “psicologo” e “pneumatico” davanti ai quali si adopera l’articolo lo. Tuttavia vale sempre la regola dell’eufonia. Ho provato a usare sia l’uno sia l’altro articolo davanti a nistagmo, e secondo me il buon suono lo si ha con il secondo. Oltre questo, altri fattori che mi hanno spinto a scegliere lo sono l’assonanza positiva con la locuzione “lo sguardo”, adoperata poco più avanti e con “lo chiamano” adoperata un po’ più indietro. Soddisfatti? 😛

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        • Puoi, certo. Però troverai sempre quello che ti riprenderà chiedendoti: «Ma perché hai scelto il quando invece io avrei scelto lo…?» 😛 La lingua italiana, come ogni altra lingua, è fatta anche di cristallizzazioni. Ad esempio le forme “fondazione” bancaria e “fondamento” bancario sono perfettamente alternative. Le desinenze “-zione” e “-mento” sono perfettamente intercambiabili. Solo che se vai in giro a dire “fondamento” bancario, nessuno ti capisce. Proprio per quella cosa che riguarda la cristallizzazione. Nel caso di nistagmo, però, a causa della rarità del vocabolo non esiste una cristallizzazione. Ergo: io posso scegliere l’articolo che voglio, tu… no! 😛

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      • Più o meno, te la sei cavata per questa volta 🙂
        E comunque anche io, Grilloz, ho sempre pensato che il pneumatico suonasse meglio che lo. Non ho il coraggio di dirlo ad alta voce solo perché ci sarà sempre qualcuno (tipo noi questa mattina con Salvatore) col ditino puntato a dire che forse è sbagliato 🙂

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  2. Oh che bel post! Mi entusiasmano questi ragionamenti. (C’entra qualcosa con il fatto che ora ti dedichi allo yoga?).
    Due considerazioni:
    1. mentre leggevo il post mi è proprio venuto in mente Forrest Gump prima che tu lo citassi, forse perché qualche giorno fa ho rivisto il film. L’eccezionalità di Forrest Gump risiede proprio nella capacità di concentrarsi su una cosa per volta. Che in un certo senso (beh, tu non hai figli, te lo dico io) è la stessa cosa che fanno i bambini fino a una certa età. Io noto per esempio che nei giochi di abilità, ma anche in quelli di società dove conta molto l’attenzione, mio figlio più piccolo (6 anni) è molto più abile dell’altro mio figlio (10 anni). Secondo me crescendo iniziamo ad avere più capacità di astrarre e di aprire la mente al altro, ma allo stesso tempo questo ci distrae e fatichiamo a tenere l’attenzione su un solo obiettivo. Poi come dici giustamente tu, si instaurano altri sentimenti legati alla paura che ci sviano ulteriormente.
    2. ops.. non me lo ricordo più 😛 se mi viene in mente, ripasso. 🙂

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  3. Bello questo post!
    Io di occhi ne ho quattro, e le lenti non le levo mai, ma spesso perdo la messa a fuoco come se fossi un obiettivo della macchina fotografica, Allora colgo particolari che altrimenti non vedrei, perché moltissimo sta nelle sfumature. Gli occhi vedono è vero, percepiscono, catturano e si stancano. A volte alcune cose viste sarebbero del tutto da cancellare ma quando vengono registrare c’è davvero poco da fare sono patrimonio intrinseco e ci devi convivere perché diventano un tutt’uno con la memoria. Ma anche io sono andata fuori tema. Per tornare al tuo post, l’ultima riga me la tengo stretta, anzi le ultime due.

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  4. Nei periodi di stress e in determinate condizioni di luce io vedo la pallina solo dalla rete in poi. Un guaio. Ma è capitato di fermarla come fosse una pallina da baseball, senza guantone e senza guardarla. Perchè, come dici tu, se la parabola non è troppo accidentata o sbilenca, sai esattamente dove passerà.
    Non credo comunque che sia sempre una questione di paura a sviarci dagli obiettivi. La differenza tra un bambino e un adulto è che nel mondo degli adulti sei “obbligato” a dover controllare più cose contemporaneamente (salute, relazioni, lavoro, casa, figli, genitori anziani). Mentre da bambino queste sono affidate ai genitori. Diciamo che pur incrociando ostacoli e piccole deviazioni, si dovrebbe tenere la rotta.

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    • Anche a me è capitato. Anzi, da ragazzo, quando facevo il raccatta palle, mi capitava di prenderle al volo senza neanche guardare. Tutti mi consigliavano di giocare a baseball. Anche l’esperienza, quindi, centra qualcosa. Ma il ragionamento è un altro: perché cincischiamo, e troviamo sempre delle giustificazioni, invece che perseguire con accanimento e convinzione i nostri obiettivi? Tu, il fiocco di pop-corn, lo prendi al volo oppure no?

      Comunque è vero, da adulti si hanno un sacco di complicazioni, e di impegni, e di impedimenti, e di responsabilità… Però non è che almeno una parte di queste sono a loro volta solo delle giustificazioni?

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  5. Davvero interessante questo post. Credo che ciascuno di noi abbia avuto a che fare con obiettivi perseguiti o meno.
    Nella mia esperienza “vedo” tutto più liquido. Spesso è durante la ricorrenza del nostro compleanno, o quando la notte di capodanno con gli occhi in su guardiamo i fuochi d’artificio, che il velo di tristezza, anche se per una micro frazione, scende fra i nostri occhi. Quando la persona che ci sta accanto in quell’attimo ci guarda e domanda: cosa hai? E noi rispondiamo con un semplice: niente.
    In quel niente condensiamo la delusione degli obiettivi che ci eravamo prefissati e che come sabbia tra le dita sono scivolati via.

    Non è facile fissare un obiettivo e raggiungerlo come un treno. Semplicemente perché nella vita non ci sono binari dritti. Spesso fra l’obiettivo e i nostri occhi si interpongono le bollette da pagare, il diniego di un capo al lavoro, un amore troppo pressante che richiede il tuo sguardo a lei e non a mete lontane.
    E nella vita quindi si rintuzza come si può. Si procede e ci si ferma. Ci si alza e poi si ricade.

    Io quel che so o che credo di sapere, è che se l’obiettivo nonostante tutto rimane sempre lì. Nonostante gli anni, le malattie, i doveri. Nonostante il vento o i terremoti, se anche con i capelli imbiancati l’obiettivo rimane lì: c’è sempre il tempo per poterci credere e perseverare ancora.

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    • Vedere tutto più “liquido”, di farlo scorrere?
      Rimani sempre lì, sì. Mi emoziono dopo le tue parole, stamattina.
      Meglio che non commento, diventerei patetica.
      Bello il tuo discorso, Marco. Non ho parole, mi viene un groppo alla gola. L’età e l’esperienza ci rende più consapevoli di ciò che vogliamo e anche più emotivi. (Non ce la posso fare, mi emoziono troppo. Che tonta!)
      Da giovani non capisci nulla e non sai cosa vuoi, sei incoerente.
      Se poi non hai una guida, sei perso, fregato, butti all’aria tempo e occasioni.

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      • Grazie Tiziana.
        Eh sì, la vita è una roba strana e complessa. Io a venti anni, avrei avuto bisogno di me oggi a quaranta. Mi sarei passato qualche dritta. A quel giovane lo avrei messo in guardia su certi errori da non commettere. Gli avrei spiegato che la vita si intorbidisce vivendo.
        A venti anni possiedi tutte le scelte possibili. Studiare, partire per altre terre, scegliere gli amori giusti. Perché man mano che vivi e scegli, le scelte diminuiscono. Vieni incanalato in un flusso dal quale poi è difficile uscire. Io per aspirazione avrei dovuto fare il classico, o un musicale, o l’artistico. Invece mal indirizzato sono finito in un tecnico.
        Per raggiungere gli obiettivi che desideri (e che magari ancora non sai di desiderare perché lo capisci dopo) occorre compiere anche le strade giuste. Cambiare percorso successaivmente diventa complicato.
        Ma se con una macchina del tempo potessi tornare indietro per parlare col me di venti anni. Gli direi vivi e fai gli sbagli o le scelte giuste che il destino ti riserva. Perché il rammarico per gli obiettivi mancati o desiderati, non è sufficiente per rinunciare a quel che sono adesso.
        La vita è il romanzo del quale siamo protagonisti. E anche se il futuro sembra scritto, c’è sempre la possibilità o un obiettivo, per un proverbiale colpo di scena. 😉

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        • Spesso anch’io ho in testa questa immagine dei bii che più vai avanti più si riducono. E la vita sembra essere una strada a senso unico, difficile o impossibile tornare indietro.
          Però mi chiedo, io ventenne mi sarei ascoltato? Conoscendomi temo di no.

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          • Io sì, mi sarei ascoltato. Sono sempre stato uno che le giuste dritte le coglieva al volo (adesso sono più rincoglionito. :D).
            Invece da adulto sono diventato temerario, irriverente, disposto a scazzottare con il cielo se non mi piace il tono di blu. 😀
            Eh lo so, sono una sorta di Benjamin Button al rovescio. XD

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        • “avrei dovuto fare il classico, o un musicale, o l’artistico. Invece mal indirizzato sono finito in un tecnico.” Uguale 🙂
          Ricordo che bambina scribacchiavo. Mia madre trovo gli scritti e invece di incoraggiarmi come fede la madre di Stephen King alla stessa età mi disse di “lasciar perdere queste stupidaggini, che non ti portano da nessuna parte.” Adesso quando legge qualcosa di mio ed esclama “Ma come ci riesci?” (tenete conto che non è un lettore forte) io le rispondo “Ti ricordi quelle stupidaggini?”
          A volte i genitori, e l’ambiente, sono limitanti per i figli. Lo fanno ancora adesso, quando mi mollano la frase “Ma dove vuoi andare ormai alla tua età?” 🙂

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          • Esatto Barbara.
            Io non porto recriminazioni ai miei genitori (sono abbastanza maturo per non imputargli colpe). Sono cresciuto in una casa in cui i libri erano dei riempivi per le pareti. Nessuno mi ha mai incoraggiato a leggere. Di mia iniziativa a 10 anni ho cominciato a tirare fuori quei volumi e a scoprire una realtà alternativa. Addirittura venivo rimproverato perché leggevo. Perdevo tempo in cose inutili. Così quando ci fu la scelta delle scuole superiori (a quei tempi non c’era nessun orientamento agli studenti, poi figuriamoci al sud…) mi hanno iscritto in informatica visto che già andava lì mio fratello.
            Sono stato un tipo anche strano. Figurati che il primo giorno da obiettore di coscienza al Wwf mi sono portato un libro. Le storie di Erodoto. Mi hanno preso per matto. Avevo un collega obiettore che doveva laurearsi in filosofia. Lui conosceva le opere per averle studiate, io per averle lette. Lui conosceva alla perfezione lo sterile apparato critico. Io gli raccontavo le emozioni che avevo avuto leggendo.
            Roba divertente a ripensarci. 😀

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        • Sai a cosa mi ha fatto pensare questa tua risposta? A quello che dice Calvino a proposito dell’incominciare a scrivere: «Prima di cominciare ogni scelta ci è possibile». Poi, quando si comincia, le scelte si riducono e tutto s’intorbidisce. Forse, prima di cominciare, avremmo bisogno di noi da maturi. Forse è per questo che alcuni di noi hanno cominciato a quaranta e non a venti. CI serviva quella maturità che permette, quando si comincia a scrivere, di fare le scelte giuste. 😉

          P.S. se ti capita di tornare indietro nel tempo, visto che ti sei dato alla lettura della relatività, trova il tempo di fare un salto anche a Torino: c’è un dodicenne che avrebbe bisogno del te quarantenne. 🙂

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          • Eh già, pure vera la trasposizione nella scrittura. Ma c’è una differenza. Con la scrittura cancelli, editi e muti le sorti… con le scelte di vita è un “tanticchia” più complicato. XD

            Ok per il dodicenne. Inizio a prendere appunti. XD
            Poi, mentre torno nel passato, ci sono altri di voi che devo andare andare a trovare?

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            • Vero, la scrittura serve anche a cambiare quelle cose che nella vita paiono immutabili. Ma credo che il senso più profondo dello scrivere rimanga l’aderenza alla realtà, con la quale cerchiamo di spiegarcela.

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    • Non amo il giorno del mio compleanno, Capodanno e Natale per questo e per tanto altro.
      Il “Grinch” si impossessa di me almeno in queste tre occasioni.

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  6. Il fatto è che siamo così bravi a trovarci delle giustificazioni, tutti quanti: ci riempiamo di impegni, di impicci, di altre cose, perché abbiamo paura (o non siamo in grado) di essere onesti e dire quello che vogliamo. Perché ci sembra ridicolo ammettere quello che vogliamo.
    Tipo: “Io nella vita vorrei scrivere: e però ci sono tutti questi aspiranti scrittori (che è proprio una brutta espressione, tra l’altro: mi sa della spocchia di cui parlavamo nei commenti di ieri), queste Barbara D’Urso che pubblicano libri di merda e però fanno i soldi, e io, che non sono nessuno ma che di certo sono brava e potrei farcela, se solo volessi, perché dovrei espormi al pubblico ludibrio e sopportare la derisione di chi pensa che dovrei trovarmi un lavoro vero, quando il mondo dell’editoria è così marcio che non troverò mai chi mi pubblicherà?” Ecco, questo è quello che mi sono detta più o meno a partire dal liceo per allontanarmi da quello che era il mio obiettivo, dicendomi che magari, in futuro, una volta trovata un po’ di tranquillità, forse mi ci sarei messa. E intanto mi sono riempita di cose che mi impedivano di scrivere. Guardando con onestà al passato, l’ho fatto semplicemente per paura di fallire nella cosa che volevo fare davvero, con anche tutti i sintomi secondari di cui parli tu.
    Arrivi in un momento in cui penso a questa cosa praticamente tutti i giorni (di solito la sera, mentre mi lavo i denti: mi sa che è brutto da dire, ma la mia testa associa sempre questo discorso al mio bagno, ogni volta che ci penso mi viene in mente un’immagine del bagno :)), cercando di dare un senso alle cose in cui ho perso tempo per non scrivere.
    E quindi ha tutto molto senso e tocchi un tasto dolente. Quindi grazie 🙂

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    • Le giustificazioni le davo da “giovane” a me stessa e non molto tempo fa, nonostante dica sempre che sono “vecchietta”. L’età è relativa se poi raggiungi di più negli anni della maturità ( anagrafica) che in quelli dell’adolescenza o giù di lì.
      Rimane sempre lì l’obiettivo, anzi se ne aggiungono altri ed ORA sai benissimo cosa vuoi.
      Il tempo lo vedi ma per organizzarti, vai di fretta per non perderti nulla.
      Più che fermarti a pensare, respiri per prendere la rincorsa.
      Focalizzi ( tornando all’argomento del post) e agisci.
      Le giustificazioni di non esserne capace o i tentennamenti non devono dare spazio a ciò che ci si è prefissati.
      I risultati arrivano eccome.
      Basta sapere ciò che si vuole.

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    • Daria, siamo perfettamente allineati. Questa frase: «[…] l’ho fatto semplicemente per paura di fallire nella cosa che volevo fare davvero», avrei potuto scriverla io. Il punto, temo, è che diamo davvero troppa importanza a questa cosa che chiamiamo scrittura. La carichiamo di una montagna di aspettative; una montagna sacra per di più. Io ho almeno un paio di romanzi, già in parte scritti, che sono stati concepiti proprio per essere quei “libri di merda” di cui parli tu. Naturalmente con l’obiettivo di vendere molto. E se avessi un po’ meno di amor proprio e un po’ più di dignità per i miei scopi, forse li avrei già pubblicati. Un editore lo trovo… Ho trovato Mondadori per i miei racconti, vuoi che non ne trovo uno per i miei romanzi? È che il primo romanzo, per me, deve essere qualcosa che valga davvero la pena leggere. La domanda che mi faccio continuamente è: il mondo ha davvero bisogno di un altro libro? Forse dovrei smetterla di farmi domande… Forse dovremmo premerla, la levetta dello scarico. E smetterla di cincischiare. 🙂

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      • Anche questa cosa del “Ma il mondo ha bisogno di un altro libro?” mi sembra un altro falso problema, che ti poni tu e mi pongo io altrettanto, tanto che mi impedisce spesso di sviluppare delle storie che forse avrei voglia di raccontare.
        E però, in questi giorni sto guardando Stranger Things, una serie su Netflix, che è una cosa in parte poco originale ma che mi sta piacendo ed emozionano moltissimo. E la cosa a cui penso tutto il tempo mentre la guardo è che il mondo, di fondo, ha sempre bisogno di nuove storie, purché siano ben raccontate ed emozionanti, e ci siano i conflitti, il mistero, le sofferenze degli esseri umani, le solite storie insomma. E quindi semmai il problema sta nel capire se la storia è davvero bella e vale davvero la pena di essere raccontata (che è una cosa che mi affligge costantemente), e poi naturalmente essere in grado di raccontarla, ma questo è un problema diverso.
        Premi sta leva dello scarico, Salvatore, e basta pippe mentali! 🙂
        Poi un giorno mi racconti questa faccenda dei racconti di Mondadori, e pure dove li pubblichi, e dove lo posso leggere!

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        • Esattamente un anno fa ho scritto un racconto che ho intitolato “Come una bambola”. Poi, essendo per indole molto egocentrico, l’ho inviato a una mail generica del Gruppo Editoriale Mondadori. Neppure per un secondo ho pensato che qualcuno si sarebbe davvero degnato di leggerlo… Una settimana dopo Mondadori mi contattava per comprare il racconto e pubblicarlo su un loro settimanale femminile a diffusione nazionale. Da allora mi pubblicano più o meno un racconto al mese. Finora, di quelli proposti, non me ne hanno rifiutato nemmeno uno. Il settimanale si chiama Confidenze. È una costola di Donna Moderna, ma esiste dagli anni quaranta. Vende più o meno settanta mila copie settimanali. Non è che per questo mi creda un grande scrittore eh, per carità. Però ha fatto molto bene al mio ego (già fin troppo megalomane di suo, temo). Qui puoi trovare tutte le mie pubblicazioni (o almeno gli incipit 😛 ). 🙂

          P.S. Sono proprio raccontini, eh. Nulla di che…

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          • Ho capito. Stai a vedere che alla fine mi ritroverò a comprare Confidenze per leggere i tuoi racconti 🙂 Quindi il coraggio premia, mi pare di capire… Questo è un grande insegnamento per Daria!

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            • Il talento è nulla senza il coraggio… o era il controllo? Forse c’entrava qualcosa lo pneumatico… 😛

              No, non comprarlo per leggere me. Ci sono letture migliori. Semmai compralo se ti interessa davvero.

              P.S. non saresti la prima comunque, qui ho infettato un po’ tutti. 😛

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  7. Ho poco da aggiungere ai bei commenti precedenti. Un post lucidissimo, Salvatore. Hai toccato tasti dolenti e aperto svariati vasi di Pandora in molti di noi.

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  8. Si fa come di può, quando si può, come e se la vita te lo fa fare (perché comunque a volte no, non te lo fa fare), con i risultati che si riescono a ottenere, che magari non sono quelli sognati o sperati. Però, in qualche modo, salvo i casi estremi di cui sopra, si fa. E, rimanendo alla scrittura, non diventerò come King, ma almeno mi tolgo lo sfizio di provare.

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      • Mai stato dottore in vita mia.
        Scherzo eh, non è dissenso, ci mancherebbe altro, sei tremendo e veramente efficace nel “tirare su” delle belle discussioni. Vorrei solo argomentare da un altro punto di vista ( 😀 😀 😀 ).
        Ok, dicevamo, il nistagmo non è sempre una patologia ma alle volte un sintomo di altre malattie più o meno gravi, addirittura sintomo di molte delle problematiche che hai elencato tu. Ci sono almeno 50, minimo, patologie che manifestano ai loro esordi questo tipo di op-op ullaop dell’occhio, e ci sono tantissimi tipi di nistagmo. C’è anche il nistagmo fisiologico, che nella sua forma più frequente serve per fissare sulla retina le immagini in movimento quando si ruota velocemente la testa, e anche qui ce ne sono di diversi tipi.
        STOOOOP! Ci avete creduto?
        Non avevo nessuna intenzione di tenere una concione sul nistagmo. Stavo scherzando.
        Per usare la tua metafora, a proposito non ti ho ancora fatto i complimenti per il post che ho trovato molto bello, per usare la tua metafora dicevamo, potremmo dire che il nistagmo può essere riconducibile anche al tentativo dell’uomo di cogliere sfumature che la visione fissa ci impedisce di cogliere. Hai citato un attore che del difetto ne ha fatto virtù. Mi viene in mente che se la fisiologia dell’occhio porta necessariamente a mettere a fuoco e a fissare le immagini, la psiche scopre spesso le verità più profonde nel baluginare e nei tremolii. Mi riallaccio al discorso di Marco, che mi ha colpito perché mi riguarda, quello sulla visione liquida.
        Gli obiettivi sono importanti, vanno perseguiti, è vero. È anche vero che alle volte è necessario dar credito al baluginare improvviso, agli scotomi apparentemente fastidiosi, assecondare l’occhio ballerino e cogliere quel che c’è tra una vibrazione e l’altra. Addirittura accantonare tutto il resto e lasciarsi trasportare dalla vibrazione stesse. Quindi potrei concludere dicendo che l’obiettivo non sempre è quello che artatamente ci prefissiamo, alle volte il perseguire ostinatamente può essere assimilabile a una sorta di autismo, si perdono le sfumature, i contorni, le relazioni sociali e umane diventano funzionali. Oso troppo se affermo che gli affreschi delle antiche ville Romane, per quanto bellissimi, stanno alla fissazione degli obiettivi così come Van Gogh sta al nistagmo? Può l’obiettivo essere falso? Può essere che quello che c’è intorno, sopra, sotto, dentro, fuori, sia il vero nocciolo della questione?

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  9. Non ho letto i commenti e potrei ripetermi, in pratica il motto “non perdere mai di vista il tuo obiettivo” deve essere un mantra giornaliero se vuoi scrivere. In effetti è così, mai scoraggiarsi, oppure farlo per cinque minuti e poi tornare sulla posizione di ripartenza e riprendere. La determinazione (e forse anche un po’ di testardaggine) è tutto nella vita in ogni campo.

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  10. Secondo me bisogna avere vent’anni da ventenni, andando per tentativi senza sapere ancora bene chi siamo. I vent’anni vanno sprecati e perduti. A questo servono, altrimenti non si diventa quarantenni consapevoli seppur un po’ nostalgici. Se non vivi l’evoluzione non puoi riconoscerla, comprenderla nella vita e nella scrittura. Non si raggiunge l’obiettivo seguendo la stessa strada da un principio a una fine, non esiste nessuna strada, sei tu, persona e scrittore, che ti evolvi e ti avvicini all’obiettivo.
    Non è nemmeno una questione di tempo, cioè pensare che a vent’anni hai il tempo di commettere un errore e rimediare mentre da adulto è troppo tardi anche solo per cambiare.
    Che noia sarebbe avere tutte le risposte in anticipo, non scoprire le cose per gradi prendendo anche qualche calcio nei denti. Che noia andare sul sicuro seguendo i consigli di un’altra me che viene dal futuro facendo la saputella. Voglio farmi male, voglio pentirmi, voglio rimproverarmi, voglio sprecare e perdere. Poi sarò anche felice e la felicità dura solo un istante per questo è meglio godersi tutto il resto, ce n’è di più! 🙂
    La meta è quello che ti spinge a viaggiare, l’obiettivo è quello che ti fa guardare avanti e non indietro. L’obiettivo è il pretesto, scrivere è il piacere, viaggiare è la vita perché quando sei arrivato che fai? Parti di nuovo!

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    • Anche questo è vero, non ti facevo così fatalista. Ma, in fondo, pensando alla tua propensione per i viaggi, è quasi logico. Concordo: raggiunta una meta, si riparte. 😉

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