Pronomi allocutivi

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Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

La volta scorsa abbiamo parlato delle locuzioni pronominali, ovvero di quelle catene di parole in cui i pronomi si agganciano fra loro o si seguono in serie di due o tre per volta. Oggi, invece, parliamo dei pronomi allocutivi, vale a dire quelle forme pronominali personali adoperate per rivolgersi a qualcuno, per interloquire con lui o per richiamare la sua attenzione.

«Le forme dei pronomi personali tonici e atoni insieme con gli aggettivi possessivi possono costituire un sistema pronominale autonomo, fornendoci il mezzo grammaticale per rivolgerci a un interlocutore, reale o immaginario».

Luca Serianni

Pronomi allocutivi

Quelli che chiamiamo pronomi naturali vengono espressamente adoperati per riferirsi a uno o più destinatari: il tu della seconda persona o il voi della quinta. L’Italiano, tuttavia, come anche altre lingue, dispone di allocutivi reverenziali, che impieghiamo per rivolgerci a persone cui non siamo in confidenza. Questi possono essere sottintesi, come accade anche per i pronomi personali; in questo caso la sudditanza verso l’interlocutore si intuisce dall’accordo verbale.

Nella contemporaneità, essi sono: ella e lei per il singolare, loro e voi per il plurale. Fino a non molti decenni fa, ci ricorda il Serianni, il voi si usava in riferimento anche a una sola persona. Ricordo ad esempio che mio padre si appellava al nonno con l’allocutivo vossia, che in siciliano è l’equivalente del voi.

Adoperare il voi, con fini reverenziali, significa far sottintendere all’interlocutore che egli per noi vale «per due». Il lei, invece, fa appello alla signoria e all’eccellenza dell’interlocutore.

Dal Cinquecento al Novecento

In questo periodo storico l’italiano disponeva di tre allocutivi: tu, voi, lei. Essi si distinguevano fra reciproci – entrambi gli interlocutori adoperano lo stesso allocutivo per rivolgersi all’altro – e non reciproci. I primi, reciproci, indicavano un rapporto paritario, dove il pronome più adoperato è il voi: il cui uso era indipendente dal livello sociale degli interlocutori (per dire, lo si adoperava anche tra fidanzati). Il lei sottendeva un rapporto molto formale tra autorità elevate. Il tu, molto più raro, indicava invece un rapporto confidenziale tra uomini di modesta condizione sociale.

I pronomi allocutivi non reciproci, invece, indicavano un rapporto dissimmetrico. Il loro ricorso lo si doveva ad alcune variabili:

  • L’età degli interlocutori (giovani vs anziani): dove i giovani beccavano il tu e restituivano il voi;
  • La loro posizione sociale: il padrone dava il tu al servitore e riceveva in cambio il lei, un nobile rifilava il voi al borghese e ne riceveva in cambio il lei;
  • Il sesso: in genere, un uomo non andava mai oltre il voi quando si rivolgeva a una donna (…);
  • L’emotività occasionale.

Di tutte queste variabili oggi forse ne resta una sola: quella legata all’età, ma rivolgendosi a persone esterne alla cerchia familiare (a vostro nonno non vi sarà mai capitato, immagino, di dare del lei o del voi). L’adulto/anziano non familiare, se si rivolge a bambini o a giovani uomini, ricambia in genere con il tu. Infatti il lei dell’adulto, rivolto a un giovane, oggi non indicherebbe più un maggior riguardo nei suoi confronti, al contrario sottenderebbe a una maggiore freddezza e distacco.

La situazione oggi

L’italiano moderno conserva due soli allocutivi reverenziali: il tu confidenziale e il lei cortese. Il tu si adopera anche in tutti quei contesti in cui l’interlocutore si considera “sottratto” alle convenzioni sociali: o perché al di sopra di esse («Padre Nostro, che sei nei cieli»), o perché immaginario («Caro Fëdor, tu sì che eri un bravo scrittore»), o perché non determinato (ci si rivolge a una platea ideale), o perché si è in confidenza e lontano da orecchi indiscreti.

Ella, rarissimo, è limitato alla prosa burocratica: «Ella, Signor Ministro, ha voluto onorare di una Sua visita la comunità di…» [esempio tratto dalla grammatica del Serianni].

«Usando Ella in un testo scritto è bene – adeguandosi al registro solenne richiesto da questo pronome – ricorrere alle maiuscole reverenziali».

Luca Serianni

Curiosità

Adoperando ella o lei, riferiti a un uomo, sorge il problema dell’accordo: femminile (seguendo rigidamente la grammatica) o maschile (secondo natura)?

Stando alle convenzioni, nel caso di lei, parlato o scritto, l’accordo è sempre al maschile: «lei non è sincero» [Serianni]. Sebbene raro, tuttavia è possibile anche l’accordo al femminile: «Professore, l’ho sempre letta con piacere». Con ella, invece, è più comune l’accordo grammaticale: «codeste lettere di cui ella [Marco Coen] è tanto accesa» [Manzoni, lettere].

Infine, qualunque sia il sesso dell’interlocutore i pronomi atoni sono sempre femminili: «vorrei dirle», «spero di rivederla», ecc.

Se ci si rivolge a più persone, si può scegliere tra voi e loro: il voi è d’obbligo se di norma, presi singolarmente, agli interlocutori si dà del tu (ma è in forte espansione anche in un contesto formale); al contrario si dà del loro.

Il «noi» allocutivo

«Non esageri!», diciamo a colui che in effetti, secondo i nostri parametri, sta esagerando. Ma se ci trovassimo in uno stato d’animo benevolente potremmo anche dirgli: «Non esageriamo…». Il noi allocutivo compare spesso nell’uso colloquiale, dove chi rimprovera, per smorzare i toni, si assume una parte della colpa.

Conclusioni

Spero che lor signorie abbiano oggi gradito questo mio articolo, così non fosse: sapete già da voi dove potete andarvene… La prossima volta parliamo degli aggettivi e dei pronomi possessivi. State bene.

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Note

Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET 1989

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23 Comments on “Pronomi allocutivi”

  1. Però in teoria qui sarebbe festa, Le sembra il caso che noi si debba far lezione di grammatica? 😛
    Ma lo sai che anche in tedesco si usa il lei? O meglio il Sie?
    Mi resta una domanda, quando vanno indicati con la lettera maiuscola? In tedesco è facile: sempre)

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  2. Lei sì che è informato sui pronomi allocativi, professore l’ho sempre letta con piacere…
    😊
    Buon inizio di settimana a vossia 😉

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  3. Pingback: Catene di pronomi – Salvatore Anfuso ● il blog

    • Da piccolo io invece ho sempre sentito mia padre rivolgersi a mio nonno con l’allocutivo “Vossia”. Che è il “Voi” del meridione. 🙂

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  4. in questa lezione che sa di altri tempi ci sta tutta l’educazione, forse molto reverenziale, che si è persa. Il Buongiorno Signora Maestra, che è diventato un Ciao maestra, ed un Come state zio? che ad un signore di novant’anni gli regalava ancora il dovuto rispetto. Che poi sia solo meridionale, non so, di certo ormai è storia.

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    • Tu che sei mamma forse conosci meglio di me le forme linguistiche adoperate oggi dai più giovani. Secondo me anche nella loro comunicazione ci sono delle formule “reverenziali” (che non saprei indicare), solo che sono diverse dalle nostre o da quelle dei nostri genitori. Il linguaggio giovanile è anzi, per sua natura, molto più codificato del nostro. Da qui nascono le difficoltà per i genitori di riuscire a comprenderli. Dovresti indagare. 🙂

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      • Indagherò, ma i miei figli non fanno testo sono ancora piccoli, e si trattengono con me visto li bacchetto. Ma di certo Ciao zio, ora non ha lo stesso valore, e ah bella…mi fa morire. Quando mio figlio (9 anni tra poco) fa il verso dei cantanti rap e si impappina nella veloce ripetizione delle parole, capisco che vogliono inventare altro per uscire fuori dai canoni, ma senza le giuste basi fanno solo pasticci. Di sicuro oggi mischiano parole provenienti da diverse lingue, ad esempio parolacce in albanese, oltre agli slang anglosassoni. Un gran calderone. Fenomeno da osservare e monitorare con occhio obiettivo, e linguaggio moderno da usare nella scrittura contemporanea, di certo pochi allocutivi…

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  5. Apprezzando vivamente il contributo ch’Ella ha portato e porta con solerte impegno alla nobile causa della divulgazione della corretta lingua, mi permetto di integrare la Sua già ottima ed esaustiva trattazione con alcuni cenni storici, i quali senza dubbio non Le saranno sfuggiti ma non avrà potuto aggiungere per esigenza di brevità…
    Scherzi a parte, ci sono alcune curiosità che potrebbero stuzzicare la curiosità dei lettori: i Romani avevano solo il tu, come allocutivo; nel Medioevo si aggiunge il voi di cortesia – del resto, monarchi e pontefici parlavano di sé col plurale maiestatis, usando il noi. Nel Quattrocento, a furia di rivolgersi, specie per lettera, “alla Signoria Vostra”, concordando i verbi a questa forma, si finì per inventare il lei di cortesia. In séguito si credette che il lei fosse un’invenzione dei dominatori Spagnoli, perché in quel periodo ci fu un’impennata nell’uso del lei: il cerimoniale ipertrofico della nobiltà spagnola, così preoccupata del punto d’onore, aveva fatto sì che si desse della “Signoria Ill.ma” a chiunque… Ancora sotto il regime, credendo nell’equivoco, veniva proibito il lei, “servile e straniero” e sostituito dal voi. Benedetto Croce, che essendo meridionale era abituato ad usare sempre il voi, prese per protesta a correggersi e dire e scrivere sempre “lei”.

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      • Prego. È il lato positivo di aver dato un esame di Storia della Lingua Italiana, si scoprono delle chicche… tipo quella sulle date nei documenti ufficiali: talvolta si usa ancora scrivere, in fondo al foglio, “Milano [o luogo a piacere], li gg/mm/aaaa”. Chi non conosce il significato della formula scrive “lì” con l’accento, come fosse l’avverbio di luogo, mentre invece è un articolo determinativo maschile plurale (singolare “lo”) dell’italiano antico – sopravvive in romanesco – che risale ai tempi in cui i numeri da due in su erano sentiti come plurali. Come se dicessimo “ieri erano i 3 ottobre”.

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          • Anche queste cose capitano… mi ricordo un quiz fatto per poco tempo in TV, in cui un concorrente giocava contro altri cento: man mano, ogni volta che il campione azzeccava, si scremavano quelli dei cento che avevano sbagliato – le domande erano a risposta multipla, si rispondeva con una pulsantiera.
            Ebbene, una sera, alla prima domanda, novantanove sbagliano. Quello rimasto solo rideva, rideva… Amadeus gli chiede perché rida e quello risponde: “Ho sbagliato a schiacciare”.

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