Catene di pronomi

catene di pronomi atoni

Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

Alcuni pronomi atoni hanno il vizietto di combinarsi tra loro formando così delle locuzioni, cioè delle catene di parole. Vediamoli.

Gruppi di pronomi atoni

Pare che davanti ai pronomi atoni lo, la, li, le e ne la i del pronome atono che li precede nella locuzione si trasformi in e: «mi lo» diventa «me lo», «ci ne» diventa «ce ne»: «Me lo racconti di nuovo?», «Ce ne interessa assai dei tuoi problemi». Inoltre, quando si combinano, le e gli diventano l’invariabile glie, il quale di norma si scrive unito al pronome successivo: «se incontro tua madre gliene dico di tutti i colori», «se incontro tuo padre glielo dico senz’altro». Nella letteratura del novecento era ancora possibile trovarli staccati: «ogni volta che le sue occupazioni glie lo permettevano» [Calvino, Racconti].

«Per i nessi di due pronomi atoni sono stati calcolati 58 possibili gruppi […]. Ma si deve tener conto che quelli realmente in uso nell’italiano scritto e parlato sono molti di meno».

Luca Serianni

Le più comuni sono:

  • Pronome atono personale in funzione di complemento di termine, di «dativo etico» o di componente d’un verbo intransitivo pronominale + lo, la, li, le o ne:
me lo te lo glielo se lo ce lo ve lo
me la te la gliela se la ce la ve la
me li te li glieli se li ce li ve li
me le te le gliele se le se le ve le
me ne te ne gliene se ne ce ne ve ne

Esempi del Serianni:

«Mi servono mille lire: me le presti?».

«Non te ne accorgi?».

«Non gliene voglio».

«La barba, se la fa ogni due giorni».

«Ho chiesto un rinvio, ma non so se ce lo accorderanno».

«Se andrò dai Volpi, ve li saluterò».

  • Pronome atono personale in funzione di complemento oggetto + ci: «mi ci lavo», «vi ci chiameranno» [entrambi del Serianni]. Con la 3a e 6a persona e col pronome ne l’ordine si inverte: «non ce lo vogliamo», «ce ne andremo». Ovviamente, come abbiamo detto prima, la i del pronome antecedente nel costrutto diventa e. Infine, la sequenza è impossibile con un pronome di 4a persona: «vuoi sapere come ci si troviamo?» (corretto sarebbe: «vuoi sapere come ci troviamo qui?» oppure «come ci si trova»).
  • Pronome atono personale in funzione di complemento oggetto o di termine + si impersonale o passivante: «mi si chiede l’impossibile». Se il primo pronome è riflessivo, la sequenza si si – non accettabile – diventa ci si: «Guarda come ci si concia le mani – disse Anna» [Cassola].

Da notare la differenza tra se lo e lo si: nel primo caso se ha valore personale («lo stipendio se lo ritira da solo»), nel secondo è impersonale («lo stipendio lo si ritira alla Banca d’Italia»).

«Piuttosto rare», dice il Serianni, «le combinazioni di tre pronomi atoni». L’unica abbastanza usuale è quella «costituita da un nesso del primo gruppo e dal si impersonale o passivante»: «glielo si dice». Ma va trattato con cura…

L’enclitica

I pronomi atoni vengono collocati di norma in una posizione proclitica, cioè prima della parola cui si appoggiano. Occupano invece una posizione enclitica, cioè posteriore alla parola cui si agganciano, quando si uniscono all’avverbio ecco, e in altri cinque casi…

  • Con l’imperativo affermativo: «Dillo!», «Fallo!», «Ascoltami!», ecc.; per la 4a persona, con un congiuntivo esortativo: «Fermiamoci!», «Partiamocene!». La consonante iniziale, per effetto del raddoppiamento fonosintattico, si rafforza con gli imperativi monosillabici: dimmi, fallo, stacci, ecc. Con l’imperativo negativo i pronomi atoni occupano di norma una posizione proclitica («non lo dire!»), ma si sta diffondendo l’abitudine a spostarli in posizione enclitica: «non dirlo!». Per voi, che siete aspiranti scrittori, è bene che vi ricordiate che la posizione proclitica è considerata dalla tradizione letteraria italiana la forma più elegante fra le due, e di maggiore prestigio: «non mi fate ora parlare» [A. Manzoni, I promessi sposi], «non vi scomodate» [Verga, Mastro don Gesualdo], «non mi spingere» [G. Dannunzio, Trionfo della morte].
  • Con un infinito, in apocope vocalica, e, se terminante in –rre, con la riduzione di una r: porre + gli > porgli. Quando l’infinito è preceduto da un verbo servile, il pronome può appoggiarsi a entrambi: al verbo reggente in posizione proclitica, all’infinito in posizione enclitica: «lo posso dire» oppure «posso dirlo». Con sapere e volere d’abitudine si tende a preferire la posposizione del pronome; con dovere e potere l’inverso. Con un gruppo pronominale i due pronomi restano uniti: «glielo posso dire» oppure «posso dirglielo».

«Nei tempi composti l’ausiliare è quello dell’infinito quando il pronome atono è anteposto al verbo reggente (“non ci sono potuto entrare”, perché si dice “sono entrato”), può essere quello richiesto dal verbo servile quando il pronome è enclitico (“non ho potuto entrarci”, come si dice “ho potuto” assolutamente; ma è altrettanto corretto: “non sono potuto entrarci”)».

Luca Serianni

Se un verbo servile regge due infiniti allora la scelta si triplica, a seconda che il pronome atono sia collocato in posizione iniziale («lo devo poter fare»), in posizione enclitica del primo infinito («devo poterlo fare»), in posizione enclitica del secondo infinito («devo poter farlo»). Generalmente però, ci ricorda il Serianni, la scelta si limita alla posizione proclitica o enclitica rispetto solo al primo infinito: «devi saperti liberare da questi complessi» oppure «ti devi saper liberare da questi complessi». A quanto pare, troppa scelta crea confusione…

Con sembrare e parere la proclisi non è possibile («si sembrò riscuotere» / «sembrò riscuotersi»); ma essa è costante con fare e lasciare «causativi»: «gli faccio fare i compiti».

  • Con un gerundio, presente o passato: «vedendola», «ritenendoci», ecc.: «Chi, trovandosi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità…» [Codice Penale, cit. Serianni].
  • Con un participio passato, in funzione di una proposizione subordinata. Il Serianni lo indica come un costrutto adoperato più dall’uso scritto che parlato: «allontanatami ancora un poco dalla stazione, arrivai a una strada» [Levi, Cristo si è fermato a Eboli]; ma io conosco una certa “signora dell’amministrazione” che ne fa largo uso anche, forse soprattutto, nel parlato.
  • Con un participio presente, proprio dell’uso scritto, soprattutto scientifico, o burocratico: «con le sue lunghe calze nere, alte sulla coscia, automaticamente, illogicamente, suggerentigli Silvio Pellico» [Fenoglio].

Conclusioni

Ce ne sarebbe ancora tanto da dire, ma vi vedo sbattuti. Meglio fermarci qua. Ora, forse, vi starete chiedendo se con i pronomi abbiamo infine terminato… Bravi, voi. E dove li mettiamo i pronomi allocutivi, eh?! E i pronomi possessivi? Vogliamo forse dimenticarceli? Vabbè, per oggi comunque abbiamo terminato. State bene.

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Note

Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET 1989

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15 Comments on “Catene di pronomi”

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  2. Finalmente ho risolto i miei dubbi sull’uso del “glie-“, che ho sempre paura di sbagliare e con tutti i grammaticisti in circolazione….
    Certo che tutte quelle robe attaccate al verbo mandano in confusione pure i corettori ortografici, figurati chi malauguratamente si mette a imparare la nostra lingua 😛

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    • Be’ ma era una cosa facile da capire. In Sicilia, ad esempio, “glie” lo usano da sempre. Ti faccio un esempio: «Chiddu, omo morto gliè!». Capisti? XD

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