Pronomi atoni

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Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

Immagino che non sia il massimo della vita, al ritorno dalle vacanze, essere accolti da una lezione di grammatica… Ma ve lo siete scelti voi, di fare gli (aspiranti) scrittori. Nessuno vi ha costretto. E come tali, gli strumenti della vostra passione li dovete conoscere a fondo. Riprendiamo, dunque, da dove eravamo rimasti: i pronomi. In questo mini-ripasso vedremo le forme atone. Ma prima lasciate che vi ringrazi per essere tornati a leggermi. Di questo e della nuova grafica ne parleremo meglio mercoledì prossimo. Buona lettura.

Forme atone

«Le forme atone si possono usare solo per il complemento di termine e il complemento oggetto (“mi parli”, “ti ama”) o coi verbi intransitivi pronominali (“mi accorgo”). La 1a, 2a, 4a e 5a persona e il riflessivo presentano un’unica forma; la 3a e la 6a distinguono invece tra complemento oggetto (maschile: lo, li; femminile: la, le) e complemento di termine (maschile: gli singolare e plurale; al plurale è di regola lo pseudoatono loro; femminile: le al singolare e gli / loro, come per il maschile, al plurale)».

Luca Serianni

A seguire, una tabella esplicativa:

MASCHILE FEMMINILE
1a PERSONA mi mi
2a PERSONA ti ti
3a PERSONA gli, lo le, la
4a PERSONA ci ci
5a PERSONA vi vi
6a PERSONA loro (gli), li loro (gli), le
RIFLESSIVO SING. E PLUR. si si

Alcune grammatiche sconsigliano l’uso di gli e le in riferimento a cose inanimate. Noi siamo dell’opinione che il loro utilizzo nell’uso parlato sia opportunamente diffuso: «Questo orologio non funziona più: che gli hai fatto?». Nell’uso scritto, benché l’utilizzo di gli o le non sia esplicitamente un errore, l’unica alternativa non è il ricorso al pronome esso ma a un diverso giro di frase.

Differenze con le forme toniche

È importante notare il diverso ruolo semantico delle forme atone e di quelle toniche nella formazione di una frase. Facciamo degli esempi: «ti amo», in cui il pronome ti è di tipo atono, è una semplice constatazione; «amo te», in cui il pronome te è di tipo tonico, ha un valore esclusivo. Stessa situazione per locuzioni quali: «mi parli» (atono) / «parli a me» (tonico). Parli «a me» è inoltre l’unica espressione possibile quando non si è sicuri di essere i destinatari di un dato interlocutore (cioè nelle domande di tipo fàtico): «parli a me [o a qualcun altro]?». Inoltre si adoperano esclusivamente le forme toniche quando i pronomi si coordinano con uno o più termini: «i soldati guardavano lui e la siringa in timorosa aspettativa» [Tobino].

A parte pochi casi, le forme atone sono proclitiche, cioè si appoggiano alla parola seguente formando con essa un gruppo fonetico. Le forme toniche, invece, tranne negli usi enfatici, arcaici o poetici si collocano sempre dopo il verbo (enclitico).

L’elisione

Per quanto riguarda l’elisione, essa è possibile:

  • Qualunque sia la vocale iniziale della parola successiva, con: mi, ti, lo, la, vi, si. A differenza degli articoli omofoni in cui l’elisione è obbligatoria o fortemente raccomandata, con lo e la è opportuno mantenere la vocale finale in tutti quei casi in cui potrebbero sorgere degli equivoci: «[…] per evitare la collisione tra sostantivo e verbo (l’odio sostantivo / lo odio verbo) o per salvaguardare la distinzione di genere, che nel caso degli articoli sarebbe comunque garantita dal sostantivo seguente» [Serianni].
  • Con ci e gli si può elidere solo se la vocale seguente è a sua volta una i e con c’è, c’era, ecc. Nel discorso orale essa, tuttavia, è naturale. Alcune forme di scrittura, che emulano la parlata, ne fanno largo uso.
  • Con le e li non si elide.
  • Col pronome atono ne è piuttosto rara ma possibile.

Gli o loro?

«L’atono gli (gli dico = dico a essi o ad esse) – largamente attestato in tutti i secoli di storia della nostra lingua – appartiene al registro familiare; il parlato formale e la massima parte dello scritto (tecnico-scientifico, letterario e in una certa misura anche giornalistico) preferiscono la forma loro».

Luca Serianni

.

«Vero è che gli per il complemento di termine al plurale, oltre alla forza trainante dell’uso più spontaneo, ha dalla sua una maggiore coerenza col sistema degli altri pronomi atoni».

Marcello Durante

Per sbrogliare la situazione sull’uso dativale del pronome di sesta persona (gli / loro) è come al solito fondamentale il contributo di Alessandro Manzoni, il quale nei Promessi sposi «accoglie solo limitatamente gli in luogo della forma tradizionale, che resta la regola anche nelle parti dialogate» [Serianni].

Per quanto riguarda la posizione, loro è di norma posposto al verbo. Tuttavia lo si può retrocedere tanto nell’uso antico e poetico, quanto nell’uso letterario moderno: soprattutto davanti a un participio presente o passato: «loro spettante». Ma è un uso comunque raro.

Il pronome loro si può anche interporre:

  • Tra ausiliare e participio passato: «alla riva ch’era stata loro indicata» [Manzoni, I promessi sposi].
  • Tra verbo reggente e verbo retto: «quel Dio che chiede conto ai principi della parola che fa loro sentire» [Manzoni, I promessi sposi].

Se alternare gli a loro non può dirsi un errore, decisamente da evitare nel parlato colloquiale è lo scambio di gli per le: «quando vedo tua madre gli dico che hai fatto i capricci».

Usi particolari

L’uso più furbo che si possa fare dei pronomi atoni è quello cataforico, cioè della prolessi di un complemento dipendente dal verbo: «lo vuoi, il gelato?»; o, al contrario, anaforico, cioè del richiamare un elemento già enunciato ribadendolo: «di questa crisi se ne parlerà a lungo».

Molto esteso nell’uso regionale centro-meridionale, ma non limitato a esso, la funzione affettivo-intensiva con la quale si vuole sottolineare la partecipazione del soggetto all’azione: «soffiatevi il naso», «togliti il cappello», «non ti mangiare le unghie» [esempi del Serianni]. Analogamente il pronome atono può riferirsi a un soggetto generico, di norma di 2a persona, quasi come se egli stesso partecipasse all’azione: «entro nel bar e sai chi ti vedo?».

Infine, per quanto riguarda la doppia espressione del pronome, «a me mi piace», prima nella forma tonica e poi atona, esso è un costrutto caratteristico del parlato; da evitare in un registro appena più controllato. Tuttavia esistono delle forme accettabili, in cui i due pronomi sono appena più staccati: «a me non me la fai»; dove il primo «a me» equivale al tema «per quanto riguarda me», il secondo pronome invece rientra nel rema, cioè nel suo svolgimento.

Conclusioni

E anche oggi, con l’estate alle spalle e l’inverno difronte, siete giunti incolumi alla fine di questo mini-ripasso. Ancora una volta. Complimenti.

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Note

Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET – 2006

Luca Serianni, Prima lezione di grammatica, Laterza – 2006

Marcello Durante, I pronomi personali in italiano contemporaneo, bollettino del Centro di Studi filologici e linguistici siciliani – 1970

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25 Comments on “Pronomi atoni”

  1. Bentornato, Salvatore e bentornate alle tue lezioni. Questa la tengo da parte perché mi interessa particolarmente. Con mio figlio, che ha studiato queste cose a scuola l’anno scorso, e non c’avevamo capito molto. 😉 A lui non credo che interesserà riprenderle, a me sì! 🙂

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  2. Pingback: Essi, esse, loro – Salvatore Anfuso ● il blog

  3. Sorbole, ancora non ho tolto tutta la sabbia dagli asciugamani e già si parla di pronomi. Ma sì, meglio così, prima o poi bisognava ricominciare… 🙂

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  4. io ho stampato la tua lezione perché so che al momento opportuno mi servirà *_*
    anche tu hai fatto il restyling del blog!
    Quei gelati sembrano veri, da acquolina in bocca…

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  5. …ma i gelati cosa c’entrano (ci entrano) con i pronomi? 😉
    Comunque il primo giorno di scuola il professore faceva solo una panoramica del programma previsto per l’anno, mentre la classe cominciava a scarabocchiare il nuovo diario. 😛

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  6. L’errore che trovo più fastidioso è lo scambio gli/le anche nel parlato. Più spesso sento usare il maschile gli indiscriminatamente, ma ho notato che qualcuno pensa che le sia semplicemente più elegante e lo usa a sproposito per darsi un tono.

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    • Hai ragione, l’utilizzo della particella “gli” per indicare il femminile è un errore molto comune tra i maschietti: «Ti ho sempre amata», gli [le] disse Peppino. È un errore che mi accorgo di commettere spesso anch’io in prima battitura. Tutta colpa dell’egocentrismo maschile. Per fortuna ho i miei alfa e beta che vegliano dall’alto. 🙂
      Al contrario, invece, l’utilizzo della particella “le” come pronome reverenziale non è affatto un errore. Ma ne parleremo fra un paio di mini-ripassi.

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      • Un conto è reverenziale perché stai dando del “lei” a una persona, altra cosa è la mia vicina che parlando del figlio lontano “le ho mandato una cartolina perché so che le fa piacere” 🙂

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        • In questo caso la tua vicina commette lo stesso errore dei maschietti: è abituata ad adoperare il pronome femminile e lo utilizza anche per indicare il figlio. *O*

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