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Diario di un romanzo

*** Questo articolo è tratto dai miei appunti di “viaggio” sul romanzo in stesura. ***

Il concetto di viaggio, ci tengo a sottolinearlo, se associato alla figura del romanziere e alla stesura di un romanzo solo raramente riguarda una vera e propria escursione. In quel caso, di norma, si tratta di libri che hanno la forma dei diari di viaggio o guide turistiche. In tutti gli altri casi il viaggio è un volo pindarico alla scoperta del nucleo fondamentale di una storia, della sua vera essenza. Gli appunti che seguono sono molliche lungo il percorso.

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Affronto in questo articolo la questione legata alla formazione della famiglia, e il concetto di famiglia tradizionale messo ultimamente in discussione da una rivisitazione dei legami di parentela. Partirei dalle parole di due antropologi:

«La famiglia si può brevemente definire come un gruppo sociale i cui membri sono uniti da legami di parentela»

***

«[…] la parentela è un insieme di rapporti culturalmente determinati che toccano i membri della stessa famiglia, comunque sia composta».

Ralph L. Beals e Harry Hoijer, Introduzione all’antropologia culturale, il Mulino – 1987

La prima edizione di questo testo risale al 1953, apparsa in origine a New York city. Nonostante sia stato scritto in un’epoca in cui lo sfarinamento della famiglia tradizionale era ancora agli esordi, in entrambe le definizioni non si fa cenno alla genetica, ai legami di sangue, alla contiguità biologica di un determinato ceppo. Si pone invece l’accento sulle locuzioni «sociale» e «culturale»; quasi come se i legami familiari e parenterali non riguardassero singoli individui legati da vincoli emotivi e genetici, ma fossero un fatto a più ampio respiro, che si va a inserire in una dimensione contestuale.

Così come il contesto sociale cambia e, di conseguenza, se ne aggiorna la tradizione culturale, così cambia anche il modo in cui gli individui si organizzano nella forma della famiglia e il loro modo di intenderla, cioè di indicare cosa ne faccia parte e cosa no. La definizione di famiglia formulata da Beals e Hoijer resta inviolata; cambiano le dinamiche attraverso le quali si forma una nuova famiglia e i modi di intendere e definire i rapporti di parentela.

Ad esempio, nonostante non ci siano legami di sangue tra i figli di un uomo/donna e il partner riconosciuto della sorella/fratello di questo, si è comunque soliti definire «nipoti» i primi e «zio/zia» i secondi. La stessa cosa avviene nei confronti di un individuo che ha forti e duraturi legami di amicizia con i genitori dei suddetti figli; verso il quale essi si rivolgono in termini di «zio» «zia» nonostante non ci siano legami di consanguineità. Allo stesso modo nel nucleo di una famiglia occidentale può entrare a far parte nel ruolo di «figlio» un individuo privo di legami genetici, nella forma dell’adozione. Il legame genetico, quindi, parrebbe non essere una discriminante.

«La parentela è concepita diversamente in diverse società… i rapporti biologici sono soltanto un punto di partenza per lo sviluppo delle concezioni sociologiche della parentela. Alcune società possono ignorare o limitare il naturale legame di sangue».

Robert H. Lowie, Social Organization, New York – 1948

Uno di questi limiti, imposto dalla quasi totalità delle culture umane, alla formazione di una famiglia nucleare è la presenza di una stretta contiguità genetica. Fratelli e sorelle, o cugini fino a un certo grado, non possono formare un nucleo familiare, pena il depauperamento dei geni trasmessi con risvolti perfino perniciosi.

Esiste, dunque, un limite genetico. Non esiste, invece, un limite culturale. Oggi, ad esempio, siamo molto vicini a consentire che due individui di sesso identico formino una famiglia “riconosciuta”, ma non permetteremmo mai che due individui dotati di un forte legame genetico facciano altrettanto.

La parentela, dicono Beals e Hoijer, è un insieme di rapporti culturalmente determinati; è il contesto sociale e la sua tradizione culturale che determinano chi sia in rapporto di parentela e con che grado lo sia. Nonostante questo: «La famiglia nucleare, semplice o estesa, sembra essere un fenomeno universale» [Beals, Hoijer]. È normale quindi, addirittura ricercato, che due individui in qualunque contesto sociale e all’interno di qualunque tradizione culturale vogliano formare un nucleo familiare. Contro natura parrebbe, invece, il non assecondare questo impulso.

Una famiglia nucleare è composta da una coppia di coniugi e dai loro figli: questa è la versione semplice. L’unico limite, si è detto, alla sua formazione è di natura genetica: tra i due coniugi, quindi, non deve esserci una prossimità singenica troppo stretta.

Nota: è utile notare come con il termine contro-natura ci si riferisca a
una natura che figurativamente si ribella.
Nota: approfondire le devianze genetiche generate dalla filiazione di 
due individui in rapporto di consanguineità.
Nota: approfondire le devianze psicologiche, se esistono, di individui 
solitari che non provano impulsi a formare una famiglia.

Per quanto riguarda le estensioni della famiglia nucleare, esse assumono molte forme:

  1. Famiglia nucleare poligina: un uomo adulto, le sue mogli e i loro figli;
  2. Famiglia nucleare poliandrica: una donna adulta, i suoi mariti e i loro figli;
  3. Famiglia nucleare poligina-poliandrica: un uomo adulto, la prima moglie con i suoi amanti e i loro figli, una seconda moglie con i suoi amanti e i loro figli, e via dicendo senza limiti (Polinesia).

Un’altra forma di estensione sono le famiglie congiunte: due o più nuclei familiari legati fra loro, per linea paterna o per linea materna (più raro), da vincoli parentali, quasi sempre in una residenza comune o in abitazioni molto prossime, che condividono obblighi sociali e economici. Se la linea è paterna, si definiscono famiglie patriarcali; al contrario, se è materna, matriarcali. Nel primo caso le donne abbandonano la famiglia di provenienza per trasferirsi, una volta sposate, in quella del marito; nel secondo caso avviene il contrario.

Una variante di questo stesso concetto riguarda il lignaggio (o stirpe): due o più nuclei familiari che condividono una discendenza riconosciuta da un antenato comune (in genere famigerato). Anche in questo caso la discendenza può essere patrilinea o, più raramente, madrilinea. Assumono spesso la fisionomia dei gruppi corporativi, «con funzioni di importanza variabile ma spesso considerevole». Ciò che distingue la stirpe dal clan è che nel primo caso l’antenato comune è una persona realmente esistita (nel secondo di norma è mitica). Quando il lignaggio si fa troppo corposo o viene dimenticato, la discendenza si fraziona in nuovi lignaggi.

Nota: dal clan, le unità endogamiche, ecc. in avanti non ci sono 
elementi di interesse per questo romanzo.

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Note

Ralph L. Beals e Harry Hoijer, Introduzione all’antropologia culturale, il Mulino – 1987

Robert H. Lowie, Social Organization, New York – 1948

35 Comments on “La formazione della famiglia”

  1. Ho letto Lowie una decina di anni fa, per un esame di sociologia. Anche se ricordo ben poco di lui nello specifico, il discorso che hai fatto non mi è nuovo, probabilmente è radicato in una memoria a lungo termine che ha bisogno di una rispolverata. E, soprattutto, lo condivido in pieno. Sarà perché la mia famiglia è tutt’altro che tradizionale, ma unita? 🙂

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    • Il punto è che dopo gli anni ottanta sono poche le famiglie (che pur esistono) che possono ancora venire definite “tradizionali”. 🙂

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      • Perché la tradizione, così come la norma, è un concetto difficilmente inquadrabile.
        E se devo essere sincera è meglio così. Le etichette, hanno sempre fatto più male che bene.

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  2. A prescindere dal tema che mi vedrebbe eccedere… Solo per dire, domenica prossima ho istituito la giornata mondiale dell’omofobia: “Il coglion day”.

    Invece mi domando, quale tipo di utilità vuoi trarre da questi appunti?
    So che la domanda sembra sciocca e la risposta scontata. Solo che per mio timore, potrebbe essere quello di focalizzarsi troppo sui concetti e rischiare di portare avanti un romanzo a tesi.
    Quindi nella plasticità del ragionamento, tu come pensi di plasmare la ricerca nella stesura del romanzo?
    Ecco sono curioso del tuo procedimento logico istintivo.

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    • In realta questo è l’aspetto che mi preoccupa di meno. Quello che sto facendo, e nelle prossime settimane ne usciranno diversi articoli come questo, è di cercare di delineare un contesto. In fondo, al contrario della narrativa di intrattenimento, un romanzo di gusto classico non è altro che l’ipotesi di una tesi. Quel dispositivo drammatico di cui parlavo un po’ di tempo fa è la tesi che sta alla base della storia (o almeno il suo palesarsi più meccanico e compiuto), mentre la narrazione in sè ne è la dimostrazione (o sconfessione). Prendo Dostoevskij come riferimento per un esempio: “Per lui ciò che un uomo buono patisce di più è la colpa, non la punizione”. Da questa tesi (che è la parte, temo, più superficiale del romanzo) lui scrive Delitto e castigo…

      Interessante la festività da te istituita, ma ci si incontra per sbocconcellare qualche pasticcino vista l’occasione? 🙂

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    • Sono d’accordo con Salvatore sul documentarsi per definire un contesto, che dovrà essere in grado di contenere e giustificare (nel senso di renderla plausibile) la storia. Ad esempio Carver quando ha scritto “Cattedrale” avrà passato giorni, forse mesi, a documentarsi sui ciechi e su come vivono, non avrebbe potuto scrivere quel racconto senza essersi creato un contesto in cui calarlo, leggendolo lo capisci. In questo periodo mi sto documentando su suoni e odori in letteratura e mia moglie mi ha raccontato di una storia che aveva letto, nella quale un cieco entrava in casa e non si accorgeva del massacro avvenuto poco prima, con cadaveri sparsi qua e là in un lago di sangue. Situazione quasi impossibile: un cieco avrebbe sentito l’odore del sangue e di tutto il resto. Ho conosciuto un cieco che capiva se le tende erano aperte o chiuse dal suono della voce nella stanza. Ecco, se ti documenti queste cose le sai e la storia sta in piedi. Se domini l’argomento “famiglia” puoi scrivere le traversie e l’evoluzione di una famiglia e dei suoi componenti con più sicurezza, e il lettore se ne accorge.
      Ovviamente senza avere prima la storia in testa a nulla serve documentarsi, qui Marco ha ragione.

      Se non ho capito nulla di quelo che dicevate e ho scritto a sproposito ditemelo senza pietà. 🙂 🙂

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      • Oppure sarebbe potuto scivolare sul lago di sangue… 🙂

        La storia la conosci. Riguarda una certa nevicata.

        P.S. certo che stai diventando un mostro… Ma sei sicuro di voler fare lo scrittore? Non sarebbe più adeguato al tuo profilo la figura dell’editor?

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        • Sì, avevo intuito che avesse a che fare con la nevicata. 🙂
          Fare l’editor mi piacerebbe molto ma ho sempre pensato che un editor “puro” sia uno scrittore senza idee. Magari mi sbaglio. 🙂 🙂

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          • No, non credo. Semplicemente un editor è uno che preferisce sacrificarsi per gli altri (cosa rara) e più che scriverli, gli paice confezionare libri. Alcuni editor si sono poi rivelati anche degli scrittori notevoli, come ad esempio Giorgio Bassani.

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      • @Pades, eh ma anch’io so perfettamente il valore e l’essenzialità della ricerca. Nel giallo che sto scrivendo, dove invento una nuova isola siciliana, mi sto ispirando alle Eolie. E quindi c’è molta ricerca su flora e fauna, caratteristiche morfologiche del terreno. Google Earth e Street view. Ma per altre caratteristiche, tipo il clima, le tradizioni culturali, il dialetto, ho meno necessità di svolgere ricerca in quanto vivendo in un contesto simile ho una piena padronanza del tema. Ciò non toglie che alcune lacune sono comunque da colmare.

        La mia considerazione sul tipo di ricerca di Salvatore è proprio questa.
        Non è una ricerca di elementi precisi, la mia flora e fauna o la ricerca sui ciechi di Carver (un cieco si accorgerebbe della scena del crimine anche dall’odore del sangue).
        Salvatore sta compiendo un tipo di ricerca sociale, sulla famiglia, le tipologie, i limiti e i paradossi come per l’incesto. Ecco, non riesco a trovare una chiave di lettura nel creare la storia ricercando nozioni sulle tipologie di famiglie.
        Io sono un po’ come King. Prendo un personaggio, un’idea, e la metto in una situazione. Cosa accadrebbe se…
        Quindi il procedimento di Salvatore, non lo considero affatto sbagliato, ci mancherebbe, ma diverso dal mio. E dato che la mia gola è sempre arsa dalla sete di nuove esperienze, avere il privilegio di seguire il suo percorso tramite il blog, lo trovo davvero stimolante. 😉

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        • Sì adesso ho capito cosa intendevi, Marco. 🙂 Io davo per scontato che Salvatore avesse già in mente tutta la storia, il dispositivo drammatico e tutto il resto, e si documentasse per padroneggiare meglio l’argomento “famiglia” centrale al romanzo. Poi documentandosi qualche ideuzza spunta sempre fuori, da aggiungere come contorno… 🙂 Anch’io non vedo l’ora di leggere i prossimi post. Come non vedo l’ora di leggere il tuo giallo! Meravigliosa la tua ambientazione siciliana, in un’isola immaginaria ma calata nell’ambiente in cui vivi. Ecco, in questo caso la documentazione ce l’hai già “incorporata”, sai che odore ha l’aria che arriva da sud, sai com’è la luce serale, quali uccelli puoi vedere sulla scogliera di primo mattino e quali no. Se un inglese si avventurasse in una simile ambientazione dovrebbe studiare per mesi e non arriverebbe mai ai tuoi livelli.

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          • Sì, quel background che hai del posto in cui vivi è un patrimonio essenziale.
            Sono riuscito a ricostruire praticamente di getto luoghi, miti, folclore, eventi storici, la santuzza patrona dell’isola con i miracoli annessi.
            Solo che devo imparare a dosare le informazioni. E’ uno dei problemi più complicati. Perché l’istinto è di aprire enormi parentesi dove racconti e racconti dell’isola e dei suoi personaggi. Invece devo far scoprire tutto più lentamente e di pari passo con la storia, che essendo un giallo, deve avere nell’intreccio del caso il focus.
            Ecco, questo dosare nel modo giusto credo che faccia la differenza tra un principiante e uno scrittore esperto.
            Fra le altre cose, ho visto il limite del far muovere i personaggi in un luogo immaginario, ma finito. Il lato dell’isola dove sorge e dove tramonta il sole, la grotta, la scogliera, l’antico fortino spagnolo, il borgo nuovo e il borgo vecchio. Sono riuscito a risolvere questo blocco disegnando l’isola su carta. Una vera e propria mappa ridisegnata almeno sei volte che schizzo dopo schizzo sono riuscito a plasmare. E tra l’altro essendo un giallo seriale, sto inserendo sull’isola elementi non sviluppati ma che serviranno per i romanzi successivi.
            Devo dire che mi sto divertendo parecchio in questo world building. 🙂

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        • Ma io ci sto ancora girando attorno. Ne usciranno parecchi di articoli come questo. Inoltre, e non è un elemento da trascurare, non ho davvero alcuna intenzione di rivelare nel blog il vero oggetto del romanzo. Ti pare? 🙂

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      • Prima che Marco Freccero, esperto ed estimatore di Carver, ci insegua con una mazza ferrata, preciso che il cieco di “Cattedrale” non c’entra nulla con omicidi e sangue, che invece come dicevo erano in racconto di non so chi che non sono più riuscito a trovare. 🙂

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  3. Io credo che la fase di documentazione sia tra le più divertenti della scrittura. Per me è una scusa deliziosa per immergermi in libri che non avrei tempo e occasione di leggere.
    Dal post ho cercato di capire qualcosa del tuo romanzo, ma non ho capito molto. Però ho guardato con molto fascino a questi antropologi culturali, che di fatto dicono cose di gran banalità, ma ho pensato che ci voleva un bel coraggio a dirle così chiaramente nel 1948 o nel 1953.

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  4. Facciamo due distinzioni: la famiglia d’origine e quella che ti crei.
    Nella prima non hai scelta,nella seconda si.
    Detto cio’, si spera (almeno per come la vedo io)meno allargata possibile.
    Ad esempio nella famiglia nucleare poliandrica,potrebbe essere intrigante nel pensiero iniziale, essere l’unica donna,ma poi vai un po’ a sopportare( ed inoltre lavare ,stirare,cucinare,etc..etc…) a tutti questi uomini. Rifiuto l’offerta e me lo tengo uno….

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  5. Facciamo due distinzioni: la famiglia d’origine e quella che ti crei.
    Nella prima non hai scelta,nella seconda si.
    Detto cio’, si spera (almeno per come la vedo io)meno allargata possibile.
    Ad esempio nella famiglia nucleare poliandrica,potrebbe essere intrigante nel pensiero iniziale, essere l’unica donna,ma poi vai un po’ a sopportare( ed inoltre lavare ,stirare,cucinare,etc..etc…) a tutti questi uomini. Rifiuto l’offerta e me lo tengo uno….

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    • Il punto è che non dipende da te, dai tuoi gusti. Piuttosto dipende dal retroterra culturale a cui appartieni. Fossi polinesiana, la penseresti diversamente. 🙂

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  6. Se fossi polinesiana la penserei diversamente, lo stesso se non fossi Tiziana, la penserei in modo distinto. Ognuno sceglie eccome ciò che vuole , se creare una famiglia, se distruggerla, se crearsela un’altra e allargare i tuoi amori in una grande famiglia. Se distaccarsi dalla famiglia d’origine, se avere un rapporto eccezionale con tuo padre e tua madre.Ahivoglia se si può scegliere.
    Famiglia è chi ami e ‘”scegli” e non è uguale per tutti.Per tizio può essere suo figlio e sua moglie. Per Caio suo padre e sua madre. Per Sempronio la fidanzata , il fratello e il nipote. Ognuno elegge chi fa parte del suo nucleo e non è detto che sia come siamo abituati a vederla da anni con un uomo , una donna e i figli. Credo inoltre in una fortuna sfacciata di questi periodi creare una famiglia come noi vogliamo (ognuno ami chi vuole accanto)e per giunta che duri.

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    • Comprendo quel che vuoi dire, ma le nostre scelte sono comunque limitate dal nostro retaggio culturale. Abbiamo spazio di manovra, certo. Alcune scelte non sono neanche nostre: è il destino che macina ogni cosa. Tuttavia ci sono dei confini, e quei confini sono il frutto della nostra cultura.

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  7. Inoltre nella vita puoi avere le tue idee, concetti sulla famiglia, i tuoi valori , i tuoi principi. Ma se poi tutto si stravolge? È la vita, non sa come andrà. Per questo si costruisce quello che per noi è famiglia, ma non sai mai se tutto va secondo i piani. Famiglia è un porto sicuro dove decidí di stazionare.È il punto fermo…l’ancora che gettiamo quando decidiamo in che porto fermarci.

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  8. Siamo limitati nella cultura e nella religione (moltissimo) del paese in cui si vive.Secondo la religione cattolica, ad esempio non potrei sposarmi in chiesa con una donna, non potreí farlo due volte con due uomini diversi (se è con lo stesso uomo per celebrare un anniversario, allora si) , a meno che non si avvii le pratiche verso la “Sacra Rota”.
    Non dovrei avere rapporti extra-coniugali, non dovrei usare”condom”poiché ogni possibilità di vita è sacra, non è famiglia chi convive …ed ora non me ne ricordo altri, sinceramente.
    Credo di non essere una “famiglia”per la chiesa e di aver peccato per molte di queste regole.
    Eppure vivo qui, credo in Dio, non molto nella chiesa e mi sento di avere una famiglia.
    Credo che ognuno stabilisce la sua visione di famiglia, fregandosene se per lo stato o la chiesa non sei una famiglia.

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    • Dello Stato e della religione può essere, ma non del retaggio culturale. Ad esempio se la tua cultura non è quella polinesiana difficilmente di verrebbe in mente di vivere in un agglomerato familiare come quello per loro tipico.

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