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Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

Non ci si pensa mai, ma chi non è avvezzo alla scrittura è proprio sui numerali che coltiva i dubbi più grandi. Come si adoperano i numeri nel linguaggio scritto? Vediamolo.

Numerali

«In diversi casi lo statuto di un numerale è discutibile».

Jacqueline Brunet, Grammatica critica dell’italiano 4, 1981

Infatti la categoria dei numerali può comprendere: aggettivi («le sette meraviglie terrestri»), sostantivi («è uscito il sette sulla ruota di Cagliari»), pronomientrambi tacevano») [esempi del Serianni]. Ma cosa sono i numerali?

I numerali sono una parte del discorso atta a indicare una quantità, un rapporto, un valore numerico. Per semplicità si è soliti dividerli in gruppi: cardinali, ordinali, frazionari, moltiplicativi, sostantivi e aggettivi numerativi, distributivi. Vediamoli uno alla volta.

Cardinali

I cardinali indicano una quantità precisa e sono invariabili sia nel numero sia nel genere, con l’eccezione di uno / una. Locuzioni come milione, bilione, miliardo, ecc. non sono dei veri numerali cardinali, ma dei sostantivi che per indicare una quantità precisa devono essere preceduti da un cardinale: «Un milione! È questo il numeri di copie che venderà il mio romanzo». Anche zero, che secondo Jacqueline Brunet, considerato isolatamente, potrebbe definirsi il «non numero», è un sostantivo che dà vita a molte locuzioni figurate: «Vali zero! Come scrittore e come uomo!».

Nell’uso letterario o familiare è buona norma non scrivere i cardinali in cifre, riservando i numeri arabi alle date e all’uso tecnico e scientifico: «Ti fisso nell’albo con tanta tristezza, ov’è di tuo pugno / la data: ventotto di giugno del mille ottocentocinquanta» [Gozzano, L’amica di nonna Speranza], nella lingua poetica ovviamente si esagera sempre, ma nella prosa usare le lettere anche per le date è da estremisti.

Non è raro trovare scrizioni miste, tipo: «Questa mattina 3 milioni e mezzo di italiani si sono già diretti alle urne per votare». Si preferiscono di norma le cifre per indicare numeri elevati: «tremilioniduecentocinquantunomila lire, è tanto quello che ho pagato questa automobile», meglio: «3.251.000 lire, il costo della mia automobile».

«I numerali polisillabici possono elidere la vocale finale davanti all’iniziale vocalica della parola seguente. Oggi ciò avviene solo in alcune locuzioni cristallizzate (come “a quattr’occhi”) e col sostantivo anni».

Luca Serianni, ivi p. 224

Nella funzione di aggettivo, il numerale cardinale di norma occupa la posizione che precede il sostantivo: «tre aerei». Con il numerale uno ci si comporta come con l’articolo indeterminativo, tanto che a volte si ha difficoltà a distinguerli: «un libro». Subisce apocope là dove si troncherebbe anche l’articolo indeterminativo: «un francese e due italiani s’incontrano all’aeroporto…». Si può apocopare anche nelle enumerazioni: «un, due, tre…». Nei composti, accompagnati da sostantivo, il numerale uno è invariabile se viene dopo il sostantivo: «di anni ventuno»; può concordare nel genere col sostantivo, anche se posto dopo, se questo è femmina: «l’ora ventuna» («ma è uso raro e sconsigliabile» [J. Brunet]); se precede il sostantivo, l’uso oscilla tra forma piena e forma apocopata: «ventuno libri», «ventun libri», ma è più frequente davanti a parola con iniziale vocalica: «ventun anni».

Nei composti, se il numerale seguente comincia con una vocale, la finale di quello che precede può elidersi: «ventuno». Tuttavia l’elisione è obbligatoria tra decina e unità: «sessantuno». Graficamente è possibile separare le due componenti per mezzo dell’apostrofo: «sessant’uno». Con cento seguito da decina o da unità l’elisione è poco comune con uno, otto e undici: «centoundici», ma frequente con ottanta: «ottantuno». Con mille la norma è di giustapporre i numerali senza eliderli «milletrecento». I composti con tre vanno accentati: «ventitré». Infine, nei numerali che indicano un anno si possono elidere le prime due cifre sostituendole con un apostrofo: «‘16».

I cardinali possono essere usati a volte come veri sostantivi, ad esempio indicando con un numero un gruppo di rilievo storico: «i Mille»; oppure quando si indica un numero considerato come tale: «ma non era già uscito, il quattro?» [una vecchietta alla tombola di Natale]. La stessa cosa vale nell’espressione del tempo: «ci vediamo all’una?». Infine, veri e propri nomi che portano al loro interno un numerale: «l’otto volante».

Ordinali

Con gli ordinali siamo soliti indicare l’ordine occupato in una serie numerica: primo, secondo, vigesimoprimo (cioè 21), trigesimoterzo (33), eccetera.

«Da primo a decimo esiste una sola forma per ciascun numerale, da undicesimo in poi singole varianti di tono sostenuto e di uso piuttosto limitato si affiancano ai tipi più frequenti, formati con suffisso –esimo».

Luca Serianni, Ivi p. 230

Con suffisso in –esimo, il numerale elide l’ultima vocale per univerbare con la desinenza: «ventun(o)esimo». Le varianti secondarie si trovano o in riferimento ai secoli («il secolo decimonono»), o come numero di sequenza di re e papi. Nello scritto informale si possono incontrare grafie miste come «75esimo», frutto – dice il Serianni – di una contaminazione tra sistema grafico e sistema numerico.

Gli ordinali si rappresentano convenzionalmente con i numeri romani, se espressi in cifre. Al numero romano, com’è noto, non si deve apporre l’esponente, riservato invece ai numeri arabi (II, secondo o 2°): «36° reggimento di fanteria», «II Magistrale» [entrambi esempi del Serianni].

Nella sequenza sintattica, l’ordinale è spesso anteposto al nome: «il primo amore». Sempre ordinale è l’aggettivo ennesimo, adoperato con il significato di: aggiunto a una serie già numerosa.

Frazionari

E con le frazioni come ci si comporta? I frazionari indicano, com’è palese, la parte di un tutto, quindi lo si esprimerà di conseguenza: un mezzo, un terzo, tre ottavi, ecc. Il numeratore è indicato da un cardinale, il denominatore da mezzo o da un ordinale al plurale: «4/5 = quattro quinti». Al denominatore si può usare solo la forma in –esimo, non le varianti secondarie: «tre undicesimi». Inoltre l’aggettivo mezzo concorda regolarmente con il sostantivo se anteposto: «una mezza sconfitta».

Nell’uso commerciale o burocratico è d’abitudine esprimere la frazione in cifre per ragioni di rapidità: «maglietta a ½ maniche». Non azzardatevi ad usarlo nella narrativa.

Moltiplicativi

I moltiplicativi indicano un valore doppio o più volte superiore a un altro: doppio, triplo, sestuplo, ecc. Si esprimono in lettere e sono limitati a poche unità. Essi formano due serie di aggettivi o aggettivi sostantivati:

  1. Doppio, triplo, quadruplo, ecc. Dove i primi due sono quelli di uso più frequente, presenti anche in molte locuzioni cristallizzate («avere una doppia vita», «un vero salto triplo»), mentre per gli altri si preferisce ricorrere a circonlocuzioni.
  2. Duplice, triplice, quintuplice, ottuplice, ecc., dove «non determinano quante volte una cosa è più grande di un’altra, ma indicano che una cosa è costituita da due, tre o più parti, che ha due, tre o più scopi, che serve a due, tre o più usi» [Dardano-Trifone, citati dal Serianni nella Grammatica]. Di uso più comune, anche in questo caso, sono soprattutto i primi due.

Sostantivi e aggettivi numerativi

I numerativi derivano da numeri cardinali o ordinali attraverso vari suffissi e con diversi significati.

«Per indicare due o più persone esistono forme parallele rispetto ai numerali cardinali».

Luca Serianni, Ivi p. 234

Per quanto riguarda ad esempio il numerale “2”, esistono sostantivi quali coppia, duo, duetto, paio; i pronomi o aggettivi ambo, ambedue, entrambi. Tutti indicano due membri di uno stesso gruppo. «Ambo, oggi usato soltanto come aggettivo, è generalmente invariabile, ma presenta anche un maschile ambi e un femminile ambe» [Serianni].

I modi per indicare tre o più persone (o animali, o cose) hanno assunto accezioni particolare. Con terzetto, ad esempio, ci si può riferire genericamente a tre persone, ma più spesso a una composizione musicale. Inoltre ci sono le terzine (dantesche), il terno (al lotto), e una terna (arbitrale).

Si può notare che a seconda del suffisso adoperato si viene rimandati a un certo ambito settoriale. Con –ina di norma si designano strofe composte da un certo numero di versi: terzina, quartina, ecc. Con –ario normalmente si indica un verso composto da un certo numero di sillabe: ternario, quaternario, ecc; ma anche un età approssimativa di un individuo che ha superato i ’50: quinquagenario, settuagenario, ecc. Con –enne, –ennio, –ennale si indica l’età di un individuo (quindicenne, settantenne), un periodo di tempo (quinquennio, ventennio), un anniversario (ventennale). Infine con –etto si formano termini musicali: terzetto, quartetto, ecc.

Distributivi

I distributivi indicano come sono distribuite numericamente più persone (o animali, o cose): «a uno a uno», ecc. In genere vengono introdotti dalle preposizioni semplici a, alla, per: «disponetevi a mucchi», «uno alla volta», «in fila per sette».

Conclusione

Direi che con i numerali possiamo chiudere qui. È un argomento semplice, quello dei numerali, ma spesso coloro che non hanno confidenza con la scrittura è proprio su questo genere di cose che s’impantanano: a mucchi. La prossima settimana vediamo i pronomi.

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Note

Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET 1989

Jacqueline Brunet, Grammatica critica dell’italiano 4, 1981

 

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24 Comments on “I numerali”

  1. Per fortuna coi numeri me la cavicchio, e nel dubbio ci metto una bella formuletta 😀
    Scherzi a parte cerco di privilegiare la semplicità e numeri “grandi” preferisco scriverli in cifre, insomma robe del tipo unmiliardoseicentocinquantaduemilioniottocentotredicimilaquattrocentoventidue le evito 😀
    Due domande.
    L’indicazione delgi anni con l’apostrofo vale anche per gli anni dopo il duemila? (perchè se io leggo ’16 penso al 1916 e non al 2016)
    L’abbreviazione dei cardinali non dovrebbe distinguere tra maschile e femminile? ovvero primo 1° secondo 2° terzo 3° e prima 1^ seconda 2^ terza 3^?

    P.S. non chiedetemi come funzionano in tedesco perchè quel giorno non ero a lezione 😛

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    • Avevo letto qualcosa in proposito in un saggio del Serianni, proverò a ripescarlo appena ho tempo. Tuttavia era una sua opinione. Al momento con gli anni successivi al duemila attenderei a usare la stessa formula che si adopera per gli anni del Novecento.

      Cosa intendi per abbreviazione dei cardinali? Con la sola eccezione di “uno/una” i cardinali sono tutti invariabili. Primo, secondo, terzo e via dicendo non sono cardinali ma ordinali. Quando si avverte la necessità di esprimerli in cifre è obbligatorio indicare l’esponente. Con i numeri romani l’esponente non serve.

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      • OkOk, a quell’ora non avevo ancora caricato il sistema operativo 😀 intendevo gli ordinali ovviamente 😛
        Resta la domanda, l’esponente cambia tra maschile e femminile? Esiste una regola, che tu sappia, o ognuno fa come crede?

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        • Diversamente dai cardinali, gli ordinali concordano in numero e in genere con il sostantivo a cui si riferiscono: “Attaccò il primO francobollo della secondA lettera”; “Luigi era il primO della terzA C”.

          In che senso “l’esponente cambia”? L’esponente è un segno paragrafemico, e in quanto tale è al di sopra del genere… Sarebbe come chiedersi se la virgola cambia di direzione a seconda che il soggetto sia femminile o maschile. Forse non ho capito la domanda. o.O

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          • Sono andato ad approfondire e sono rimasto sorpreso dal fatto che in effetti si usi la “o” per gli ordinali maschili e la “a” per gli ordinali femminili. Non ci avevo fatto caso, non capita spesso di usarli in narrativa, ma si possono trovare molto facilmente nei testi scientifici. 🙂

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          • Ehm, non so se l’esponente è un segno paraquelcheè, ma, ad esempio, in inglese l’esponente cambia (mo non farmi aprire la mappa caratteri) e il pallino che noi mettiamo come esponente rappresenta una “o”, no? quindi al femminile ci andrebbe una “a”, no? (ok, l’ho aperta, ora speriamo che l’html non faccia casini) quindi: 1°, 2°, 3° ecc. per primo, secondo, ecc. e 1ª, 2ª, 3ª per prima, seconda, ecc.
            Però, forse per praticità, visto che la a piccola sulla tastiera non c’è, ho visto scrivere 1^, 2^, 3^, ecc. usando la capannina (non chiedermi il nome di quel simbolo) al posto della a-ina.

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            • Ho risposto sopra. 🙂

              Tuttavia non so dirti riguardo l’esponente. Perché è possibile che si tratti di usi legati soprattutto all’ambito scientifico (manuali, testi tecnici, ecc.) e io non me ne intendo. Ad esempio credo che nell’uso strettamente letterario l’unico esponente riconosciuto sia “°”, ma non vorrei dire cavolate e quindi mi fermo. 😛

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              • Tra l’altro sto realizzando ora che probabilmente ho scritto 1° 2° ecc. in qualche report in inglese, probabilmente qualcuno si starà ancora chiedendo perchè ho usato i gradi 😀

                Boh, credo che in campo letterale si scriva per esteso o al massimo si usino i numeri romani, probabilmente in ambito legale è diverso. (noi tecnici non è che gli ordinali li usiamo moltissimo in realtà)

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                • Sì, in campo strettamente letterale credo si scriva soprattutto per esteso. Al massimo io usavo questa formula: 20esimo. Si può scrivere, come abbiamo visto, anche usando solo le finali: 1o, 3a… Ma sugli esponenti (“°”, “ª”, “^”) non so nulla. Il dubbio che ho è che si tratti di segni legati all’ambito matematico.

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  2. Davide sempre mitico. 🙂
    Da lettore i troppi numeri arabi e i loro segni paragrafemici mi fanno inciampare (tranne nei casi che dici, come le date), scrivendo penso vadano maneggiati come il plutonio. I composti di tre, hai fatto bene a ricordarlo, vogliono l’accento acuto e molti si sbagliano e usano quello grave.
    Ti vedo bene come cardinale.

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  3. Visto che mi è venuto in mente nel frattempo in Germania gli ordinali li indicano mettendo un punto dopo il numero 1. 2. 3. (cosa che fanno anche nell’indicazione breve delle date: il 2 giugno 2016 – data scelta assolutamente a caso – che sarebbe il secondo del sesto 2016 si scrive 2.6.2016. Infatti mi correggono sempre quando scrivo 2/6/2106).

    Un’altra curiosità a cui pensavo nel pomeriggio è che quando il numero ordinale usa le cifre (non credo si possa ire cifre) romane a volte si legge nell’ordine, quindi il secolo XIX (decimonono) ma il secolo 19° (diciannovesimo).

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