Putin

Cronaca brillante

Prendi un falso Presidente, due scaltri prankster e l’intero board editoriale del più noto quotidiano americano, il New York Times: e che cosa ottieni?

Lui si chiama Petro Oleksijovyč Porošenko, e governa l’Ucraina dal 2014. In patria è noto come “il re del cioccolato”; da quando, nel 1990, fondò una società per il commercio di semi di cacao, arrivando piano piano a prendere il controllo della Roshen: il più grosso produttore di dolciumi ucraino. Nel 2002 l’allora presidente della Commissione Bilancio, sempre il nostro caro Petro, fu accusato di evasione per una cifra equivalente a 9 milioni di dollari. Nonostante questo, tra il 2007 e il 2012, il magnate del cioccolato fu acclamato a presiedere il Consiglio della Banca dell’Ucraina. Fervido sostenitore della NATO, di recente Porošenko s’è trovato nuovamente agglutinato in un altro scandalo finanziario: i Panama papers.

Pochi giorni fa Petro Porošenko ha contattato quindi la redazione del New York Times, per confessare il suo coinvolgimento con i suddetti “papiri”. Cosa può volere di più un giornalista degno di questo nome? Un Presidente, uno scandalo, una confessione, molti soldi: il sogno di una vita. Ce n’è da vincere il Pulitzer. L’intero board si raduna in conference call con l’Ucraina. Dall’altra parte della connessione, un Porošenko per nulla pentito biascica in russo – con accento moscovita, fanno sapere dal giornale – la sua ammissione: «Ho 500 milioni di dollari a Panama, in un conto off-shore. […] L’Ucraina non è un posto finanziariamente sicuro, chi vorrebbe lasciare i propri soldi in un posto non sicuro? […] Le tasse le pago, ci mancherebbe, con il mio stipendio da Presidente; a Panama ci tengo i soldi da imprenditore: due cose diverse…». A fargli da interprete, dal russo all’inglese, si presta un “amico”.

La notizia puzza di melassa andata a male. Il team di giornalisti anziché pubblicare, indaga. Il primo dubbio sorge riguardo la lettera di contatto, regolarmente firmata dal presidente ucraino – la firma è proprio la sua – e redatta su carta intestata della presidenza di Kiev, giunta attraverso canali che non sono, come vuole la norma, quelli diplomatici. La mail dell’ufficio stampa di Porošenko è una gmail gratuita. È risaputo che il vero Porošenko parla un inglese dignitoso e comunque, nelle occasioni ufficiali, non si esprime mai in russo. Infine, la firma in calce pare essere stata copiata da Google. Una truffa, quindi. Ma perché darsi tanto da fare?

Nella lettera, il fantomatico presidente si dice scocciato per un articolo apparso sul Nyt, in cui lo si accusa di non combattere la corruzione in patria come aveva promesso. L’ira del vero leader ucraino, per l’editoriale americano, era già stata rilanciata dalle agenzie; il quale definiva il suddetto articolo una nuova mossa «nella guerra ibrida dei russi» atta, evidentemente, a infamarlo; salvo poi ripensarci scusandosi per i toni. È chiaro che il “presidente” voglia quindi farsi perdonare dai vertici della testata rilasciando un’intervista sensazionale. Un’intervista che avrebbe distrutto la sua reputazione in patria e all’estero… Sulla lettera veniva indicato un numero di telefono.

All’altro capo del filo risponde, in russo, un funzionario dei servizi segreti ucraini; si chiama Serghey e, rammaricato, confessa di essere stato incaricato da Porošenko di tendere al giornale americano una trappolona che l’avrebbe screditato. Lo scopo era di spingere la testata più famosa degli Stati Uniti a pubblicare una notizia falsa, una beffa. Nel settembre del 2015 una cosa simile era accaduta a Elton John, il quale a quel tempo aveva dichiarato pubblicamente di voler parlare con il capo di stato russo a proposito dei diritti dei gay e del pregiudizio di cui lo stesso Putin s’era detto portatore sano. In quel caso il trucco ebbe successo. Tanto che, commosso e grato, il baronetto bretone aveva rilanciato la notizia sul suo Instagram. Lo scherzo fu compiuto ad opera di due burloni o prankster russi: Alexey Stoliarov e Vladimir Krasnov. Entrambi già molto noti in patria per altre imprese simili, e poi lanciati alla ribalta internazionale proprio grazie allo stesso Sir Elton.

Che siano coinvolti anche per “l’affaire Porošenko” non pare però convincere fino in fondo: un team dei migliori giornalisti su piazza avrebbe potuto essere più diffidente di un esaltato cantante. È pur vero che ormai la propaganda russa non sembra troppo diversa dalle burla dei comici. Di certo a ridersela di sana pianta, finora, pare essere stato il solo Putin.

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Note

L’articolo originale, di Anna Zafesova, è apparso sulla Stampa il 15/04/2016.

La foto è tratta da qui.

Esercizio: riscrivi da capo un’articolo di tuo gusto, in tono brillante.

11 Comments on “Vodka & prankster a Panama City”

  1. No, i compiti per le vacanze noooo!!!!
    Comunque scusa, ma non si sono insospettiti che il presidente ucraino parlasse con accento moscovita? :O
    P.S. comunque prankster l’ho dovuto cercare

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  2. Io mi domando invece perché il popolo / i popoli hanno un’attrazione fatale nell’eleggere di proprio pugno un lestofante.
    E la cosa mi turba ancor di più perché in Italia e soprattutto in Sicilia siamo da primato. 😦

    P.s. Ah bel reportage del reportage, però il commento mi ha preso per la riflessione tangente. 😀

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    • E hai fatto benissimo, perché lo scopo è anche questo: l’articolo non è stato scelto a caso. Poi io preferisco lo strumento retorico dell’ironia, ma la questione che alzi è legittima. Non ho una risposta. Anche nel mio lavoro spesso mi chiedo come facciano certi clienti a preferire un commerciale che palesemente assume su di sé il ruolo del gatto e della volpe contemporaneamente… Io ad esempio dico sempre la verità: anche quando è sconveniente. Alcuni capiscono, e diventano clienti. Altri preferiscono qualcuno bravo a raccontare bugie. Forse la risposta è questa.

      P.S. faccio solo notare che anch’io sarei bravo a raccontare bugie… mi astengo di proposito.

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      • Adotti la selezione del cliente intelligente. Concordo con te, anch’io sono così. Figurati che spesso a chi mi scrive se è in dubbio sulla taglia delle magliette che vendo, visto che non si può cambiare, dico sempre di acquistare se si è certi. Anche se il cliente è un canadese che non vedrò o incontrerò mai e non potrebbe nemmeno farmi causa. Al vendere di più preferisco che la gente sia contenta ovunque si trovi nel mondo. E’ più appagante.
        Sui politici e gli italiani pecoroni io ho scritto una mia massima.
        “Candida un corrotto e il popolo italiano indignato correrà ad eleggerlo.”
        Ed è spaventosamente vero.

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  3. Eh sì anch’io noto affinità con l’Italia, forse si preferisce essere governati da qualcuno bravo a mentire. Articolo molto bello, grazie Salvatore 🙂

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