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Quando venni al mondo la seconda guerra mondiale era finita da pochi mesi. Era il sei ottobre del ’45. La gente faceva un gran parlare di giustizia. L’Italia era un paese in fermento, pronto ai cambiamenti. Gli uomini scampati alla miseria e alle bombe volevano arricchirsi. Giù in Calabria, però, la guerra era stato solo un episodio marginale e il nostro mondo era rimasto quello di sempre. Di tutto questo non conservo grande memoria. I miei primi ricordi risalgono alla scuola materna. Andavamo dalla suore Francescane e frequentavo il primo anno quando presi coscienza che mia madre non c’era. Seppi in seguito che era morta mettendomi alla luce.

Di lei non ricordo nulla. Guardo le fotografie e riconosco nei suoi lineamenti, nei suoi occhi, nella forma della sua bocca me stessa. Mi dissero che si chiamava Antonietta. Per me è solo una sconosciuta che mi assomiglia. Ne provo un grande trasporto però. Un affetto di cui non comprendo l’origine. Era una donna bella, mia madre. Era una donna raffinata, elegante, emancipata. Era una donna solenne. Avrei voluto conoscerla.

… continua sul numero 015/2016 di Confidenze

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Note

Tengo molto a questo racconto, perché diversamente dagli altri è stato in parte tratto dalla biografia di mia madre. Quando dico “tratto”, intendo letteralmente. Il mese scorso sono andato a trovarla e, conservate con cura materna dentro una busta gialla, mi ha consegnato un plico di cose che ho scritto da ragazzo. In mezzo a queste c’è finita anche la sua biografia. Mia madre l’aveva redatta di proprio pugno almeno due decenni fa. Da questa biografia ho tratto l‘ambientazione per il racconto.

La cosa che mi ha colpito, però, è il modo in cui una donna con solo la prima media sia riuscita a rendere così bene la propria storia. Ad esempio, la prima frase del racconto è interamente sua: «Quando venni al mondo la seconda guerra mondiale era finita da pochi mesi». È un incipit da scrittore professionista. Il resto del testo, pur con delle ingenuità, è in linea con questo stile. Quindi non ho potuto che chiedermi: ce l’ho nel sangue, la scrittura?

23 Comments on “Sucamele”

  1. OK, stavo per scrivere lo stesso commento di Silvia 😀
    Comunque bel racconto 😉
    Ma quando scriverai di nuovo qualcosa per noi? 😛

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    • Si eredita l’attitudine; la disciplina è un’altra cosA.

      Qui bisogna picchiare il mio lettore beta… XD

      P.S. forse è un refuso di questo post. Non mi pare ci sia nel testo pubblicato.

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  2. Purtroppo empiristicamente l’arte non si eredita.
    Però fra le decine di migliaia di artisti che si sono succeduti nella storia qualche bella eccezione c’è. I Dumas, gli Strauss, e le due vette dei Renoir padre grandissimo pittore e figlio grandissimo regista.
    Ma dato che le eccezioni esistono perché no?

    Io aspetto con ansia la raccolta dei racconti che prima o poi sarai costretto a pubblicare. 😉

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    • Stavo pensado di raccoglierne un po’, di mamme. Le metto a lavoro chiudendole in una stanza. Loro inventano storie e si occupano della prima stesura. Io metto tutto in bella e vendo i racconti. Se avessi abbastanza mamme, potrei diventare milionario…

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