pterodattile

Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

Abbiamo finalmente svoltato, chiudendo alle nostre spalle la lunga epopea del sostantivo – con tutta la sua carica di polemiche, di eccezioni, ecc. – durata ben sei mini-ripassi (praticamente un mese e mezzo), ed entrando finalmente in quella – si spera più breve – dell’articolo.

L’articolo

«L’articolo è una parte del discorso che si associa al nome, con cui concorda in genere e numero, per qualificarlo in vario modo»

Luca Serianni, Ivi p. 161

Ci sono due qualità di articoli: il determinativo e l’indeterminativo. L’articolo determinativo può abbinarsi a una preposizione semplice formando così una preposizione articolata. Mentre il latino non prevedeva l’articolo, nell’italiano esso c’è e si mette davanti al sostantivo. In alcuni casi, per locuzioni cristallizzate, per espressioni abitudinarie del linguaggio parlato o per espressioni giornalistiche l’articolo può apparire spaiato dal soggetto: “un due pezzi” (un costume a due pezzi), “la due ruote” (la motocicletta), ecc. Infine l’articolo si usa anche con i nomi propri: la Scala, il Manzoni, l’Antonello, ecc.

Quali sono gli articoli?

Gli articoli in uso nella lingua italiana sono i seguenti (riproduzione emulata dalla Grammatica italiana del Serianni):

DETERMINATIVO

INDETERMINATIVO

MASCHILE

FEMMINILE

MASCHILE

FEMMINILE

SINGOLARE

il, lo, l’

la. l’

uno, un

una, un’

PLURALE

i, gli

le

Al singolare femminile sia il determinativo sia l’indeterminativo devono (possono) elidersi davanti a vocale: la governante, l’amaca; una farfalla, un’ape. Dico “possono” perché è sempre più in voga l’abitudine di non effettuare l’elisione; questo soprattutto per la variante “una” che potrebbe ragionevolmente non elidere per sottolineare l’indicazione di “numero”. Questo fenomeno pare trovare riscontro in una dispensa del Serianni (Il problema della norma nell’italiano contemporaneo), con particolare riferimento al linguaggio giornalistico.

Per quel che riguarda il plurale femminile le: «la forma apostrofata comincia a prendere una sfumatura di sostenutezza, di pretenziosità, o viceversa di pronuncia plebea: l’armi […], l’ali sanno di letterario, l’ernie di troppo popolare» [Bruno Migliorini, Lingua contemporanea, Sansoni 1938].

I maschili il, i e un si usano davanti a consonante semplice (cioè a parole che cominciano con una sola consonante: il vaso, i torni, un giorno) e davanti a consonante complicata diversa da s seguita da l o r (il cliente, i grafiti, un trapano).

Il singolare lo, l’indeterminativo uno e il plurale gli si adoperano davanti a vocale e semiconsonante: nei primi due casi con la forma ridotta l’ e un; gli ormai mantiene la forma invariabile (l’albero, un elefante, gli indiani).

A differenza di la e una, l’elisione di lo davanti a vocale è da considerarsi obbligatoria.

 Davanti alle semiconsonanti si sta attestando sempre più la forma piena: il jugoslavo/lo jugoslavo, l’iato/lo iato, un iato/uno iato; dove gli articoli lo e gli paiono ormai prevalenti anche davanti a s complicata (lo scout, uno storno, gli scacchi) e a s palatale /ᶴ/ (lo sciacallo, uno scimpanzé). Nel femminile è stabile la situazione con la e una senza elisione: la Juve, una iarda.

«La stabilizzazione di lo / gli e uno in questi due casi (s complicata e palatale, ndr) è piuttosto recente. Nel secolo scorso non era raro trovare, specie presso scrittori settentrionali, sequenze come “i stemmi” e “un spergiuro” [Foscolo] e ancora “un scialle” nell’Amica di nonna Speranza di Gozzano».

Luca Serianni, Ivi p. 164

Lo / gli e uno si adoperano anche davanti alla n palatale /ᶮ/ e alla z: lo gnomo/gli gnomi, lo zabaglione, uno zaino. Come per la s complicata e palatale, anche in questo caso la forma si è stabilizzata recentemente.

«Oggi sarebbero considerate erronee forme come “il zappatore” [Leopardi, Il sabato del villaggio], “un zanzariere” [D’Annunzio, Trionfo della morte], “il Zanichelli” [Carducci] o “un zittio” [Serao, Il romanzo della fanciulla]».

Luca Serianni, Ivi p. 164

Nell’uso popolare è possibile trovare il / i e un anche davanti a gn: i gnocchi.

Davanti a x e ai gruppi di consonanti che non abbiano l o r si utilizzano lo / gli e uno: lo xenofilo, uno pneumatico, gli pterodattili.

Differenza tra determinativo e indeterminativo

La prima ovvia difformità tra un articolo determinativo e un articolo indeterminativo è il diverso modo in cui essi designano il sostantivo a cui si riferiscono: in modo, cioè, specifico o in modo invece generico. L’articolo determinativo determina quindi un soggetto specifico; l’articolo indeterminativo indica invece un soggetto generico.

Tuttavia se al bar, dice il Serianni, chiedo: «un caffè!», tale è un richiesta ben specifica; così precisa che non potrebbe essere meglio determinata. Però il Serianni, al bar, sta ugualmente utilizzando un articolo indeterminativo. Dunque, qual è l’artificio?

La diversità tra il determinativo e l’indeterminativo sta nelle due coppie d’opposizione: classe/membro e noto/nuovo.

L’articolo il indica la classe: ad esempio, il leone. L’articolo un indica un membro di quella classe: un leone.

Esempio (tratto dal Serianni):

«Il cane è un fedele amico dell’uomo».

«Un cane è un fedele amico dell’uomo».

La sottile differenza che passa tra le due affermazioni è che nella prima si sta abbracciando l’intera specie canina, nella seconda si sta idealizzando un singolo esemplare.

Poi c’è la seconda coppia di opposizione: noto/nuovo. Con il si indica qualcosa che l’interlocutore conosce; con un si introduce invece un dato nuovo e quindi non conosciuto. C’è una certa differenza tra il dire «bisogna portare fuori il cane», che si presume essere il cane di casa, e il dire: «bisogna portare fuori un cane», che per l’indeterminatezza si può riferire a uno dei tanti cani presenti, ad esempio, in un canile.

Tuttavia questa distinzione per sua natura non può essere rigida. A un ospite si potrebbe indistintamente chiedere: «Prende un caffè?», oppure: «Prende il caffè?»; senza che questo vari qualcosa nella semantica della richiesta.

Conclusioni

Anche se tutte queste informazioni col passare degli anni non le si ricorda più, noi parlanti gli articoli li usiamo nel modo corretto istintivamente. Tuttavia ripassare e approfondire, per degli aspiranti scrittori, è quasi un obbligo. L’excursus sull’uso dell’articolo non termina qui; la prossima settimana vedremo come si adoperano gli articoli davanti ai nomi stranieri, alle sigle, ai cognomi e via dicendo.

______________

Note

Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET 1989

In calce: uno pterodattilo.

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23 Comments on “L’articolo (parte I)”

  1. Pingback: Sostantivo: la formazione del plurale (parte III) | Salvatore Anfuso – il blog

  2. Purtroppo solo i parlanti, e non tutti, usano nel modo corretto istintivamente gli articoli. Gli scriventi, invece, usano molto spesso male l’articolo “un”.
    A Roma diciamo “i gnocchi”, ma ovviamente è sbagliato 🙂

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    • Per via dell’elisione, dici? Sì, è vero. Io però tenderei sempre a distinguere il refuso dall’ignoranza della regolaetta. Ma per un motivo semplice: sono il primo a fare refusi, quindi non mi metto a giudicare gli altri. L’importante è conoscere la grammatica e cercare di applicarla in fase di revisione. Poi, anche i grandi autori hanno i correttori di bozza. “I gnocchi” mi pare di averlo sentito dire anche qui a Torino. 🙂

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  3. Il mio errore più frequente è usare “i pneumatici” al posto de “gli pneumatici”. Nello scritto di solito me ne accorgo un attimo dopo aver digitato e posso correggere, nel parlato mi scappa sovente: anche qui me ne accorgo dopo che l’ho detto, ma ormai è fatta.
    Mi è piaciuto l’approfondimento sulla differenza tra definiti e indefiniti, Ne terrò conto. Grazie. 🙂

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  4. Unica perplessità… “l’Antonello”?

    L’uso dell’articolo davanti ai nomi di persona è un regionalismo che, tra l’altro, a me, meridionale trasferitosi a Bologna, dà molto fastidio e, mentre la maggior parte di coloro che vengono dal sud se ne fanno contagiare, io resisto coraggiosamente… va bene, queste sono idiosincrasie mie.
    In ogni caso, come conferma la Treccani on-line (http://www.treccani.it/enciclopedia/nomi-propri_(La-grammatica-italiana)/):
    “L’articolo determinativo può precedere i nomi propri solo in alcuni casi:
    – quando il nome è accompagnato da elementi che lo specificano
    riconosco il Giulio dei tempi migliori
    – con i soprannomi
    Anche loro cercavano il Freddo (G. De Cataldo, Romanzo criminale)
    – quando il nome proprio è usato per esprimere un referente concreto a cui è collegato
    La Ferrari testa rossa (= l’automobile con quel nome)”

    Sarebbe da evitare invece nello scritto.
    Dal mio punto di vista potrebbe aver senso nei dialoghi se si cerca di riprodurre la parlata del nord, ma solo in questo caso.

    – con i cognomi di uomini illustri, nella scrittura saggistica o comunque in un registro elevato

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    • Ciao Angelo, benvenuto nel mio blog. Hai ragione, nel post questa parte è poco chiara, volutamente non esplicitata, perché avevo intenzione di approfondirla nel post della prossima settimana. Quello che dici è tutto giusto. Davanti ai nomi propri, l’articolo si usa anche nel caso di metonimie: in questo caso, infatti, quel “l’Antonello” si riferisce a un’opera di Antonello di Messina (pittore). Tuttavia la frase così come l’ho scritta, senza chiarimenti, può effettivamente trarre in inganno. Grazie per il tuo intervento. 🙂

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  5. puff pant… eccomi!
    (comunque da domani torno al lavoro 😦 )
    Interessante notare come l’uso di alcuni articoli sia cambiato in un lasso di tempo relativamente breve, parliamo infatti di Leopardi e d’Annunzio, ancora a dimostrazione di come la lingua sia fluida ed evolva rapidamente.
    Parlando di classi mi hai fatto venire in mente la programmazione ad oggetti e la distinzione tra classe e istanza (guarrda caso in grammatica funziona uguale uguale)
    In tedesco l’uso dell’articolo è abbastanza simile, a parte il fatto che l’articolo porta la determinazione del caso. Una cosa curiosa è che in tedesco esiste anche l’articolo indeterminativo negativo kein (let. nessuno) che si comporta esattamente come il “positivo” ein, salvo avere anche il plurale.

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    • Era ora che si tornasse a lavoro pure in Germania… e poi danno degli sfaticati a noi. 😛

      Sì, hai ragione, la lingua si evolve con una rapidità sorprendente (o almeno è stato così finora) ed è un sintomo preciso di vitalità. La cosa negativa per la sopravvivenza di una lingua non è quando si arricchisce di vocaboli stranieri, ma quando si smette di adoperarla e la si sostituisce con un’altra lingua. 🙂

      Hai fatto bene a ricordare che in italiano l’articolo indeterminativo non ha il plurale: ne parliamo fra un paio di settimane.

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      • Dunque parlerai anche del famigerato partitivo? La mia eccezionale prof. del liceo ci bacchettava di continuo dicendo che è un francesismo che è bene evitare. Ancora adesso non riesco a dire “ho letto dei libri”, proprio non ce la faccio… ero sensibile alle bacchettate e ho somatizzato. Ma un po’ le do ragione. 🙂
        Pensa che la mia prof. si chiamava Garavelli… ma non era la famosa linguista. 🙂

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        • Sì, parlerò del partitivo fra tre settimane, se non ricordo male. Oggi le cose sono un po’ cambiate. La tua professoressa poteva avere ragione, ha studiato su grammatiche pre-fasciste probabilmente (come periodo storico, non per altro), da allora è cambiato tanto.

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          • Sì e no, l’autarchia linguistica c’entrava poco, ne faceva proprio una questione di stile. Fra l’altro non ho mai capito se era parente della linguista perché la città in cui insegnavano era la stessa ma Bice prese il “Garavelli” dal marito, la mia prof. no.
            Ti anticipo che sul partitivo sarò un po’ battagliero. 🙂

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            • Lo dicevo sottolineando il periodo storico, non l’autarchia. Cioè che al potere ci fossero o meno i fascisti centra pochino con la lingua, anche se in realtà in epoca fascista sono sorte un certo numero di grammatiche che sostenendo la purezza della lingua smantellarono un paio di cambiamenti apportati dal Manzoni. Non saprei farti degli esempi però.

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        • 😀

          La mia prof. di italiano sosteneva che avremmo dovuto scrivere “sè stesso” invece di “se stesso” confortata da non mi ricordo quale dizionario.
          Ancora oggi, ogni volta che devo scriverlo, ci devo pensare.
          (Pare comunque che la prima forma sia accettabile secondo la Crusca)

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          • Ah beh io scrivo ancora “sé stesso”, considerando piuttosto la forma senza accento una concessione, non viceversa… sono di vecchia scuola. 🙂

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          • Ad esempio Luca Serianni ha dedicato un capitolo del suo saggio, Prima lezione di grammatica, a sostegno del “sé stesso” (scritto con l’accento acuto), giustificandolo come una sorta di continuità grafica con il “sé” pronome. Io lo scrivo senza accento, sostenendo che non può sorgere agglutinato con “stesso” alcuna confusione con la congiunzione “se”.

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