Pesce d'aprile

Una richiesta d’aiuto

In genere ricevo molte mail, molti messaggi in cui mi viene chiesto un parere, un’opinione, o più semplicemente la correzione di un qualche racconto allegato. Spesso queste richieste vengono dalle mie lettrici, dalle lettrici di questo blog o di Confidenze. In alcuni casi anche da colleghe di scrittura. C’è anche una piccola percentuale di uomini che si spingono a chiedere il mio parere, ma gli uomini mal sopportano le correzioni, i giudizi, le tirate d’orecchie. Più raramente mi capita che qualcuno arrivi a chiedere esplicitamente il mio aiuto non nel giudicare o corregge un proprio prodotto di narrativa, ma su delucidazioni o spiegazioni riguardanti questioni più tecniche. È questo il caso.

Verso la fine di febbraio ricevo il messaggio di una ragazza che sta preparando una tesi. Questa ragazza si chiama Serena e mi chiede ragguagli tecnici sullo spazio e sul tempo in narrativa, offrendomi così l’opportunità di sperimentare una cosa che volevo tentare da tempo. Le ho chiesto quindi il permesso di copiare alcuni stralci dello scambio che ne è seguito e di postarli qui, sul mio blog:

«Ciao Salvatore! Leggo spesso i tuoi articoli che trovo veramente molto interessanti. Volevo sapere se avevi mai pubblicato qualcosa sul discorso del tempo e dello spazio nella narrazione. Sto scrivendo la tesi su Salman Rushdie, in particolare mi concentro su Harun e il mare delle storie e Luka e il fuoco della vita. Di conseguenza, devo fare un capitolo sulle tecniche narrative, tempo, spazio, e personaggi. Le tecniche narrative sono riuscita a individuarle grazie ai tuoi articoli, quelli che avevi pubblicato l’anno scorso. Mi mancano gli altri punti. 

Per spazio intendo spazio aperto, spazio chiuso e come questi spazi variano dal punto di vista dei protagonisti. E per il tempo intendo tempo storico, tempo della narrativa, ecc.». 

Dunque, l’esperimento prevede che a rispondere non sia io ma voi. Il messaggio che ho riportato è così generico che ognuno può tentare una risposta basandosi sul proprio punto di vista e sulle proprie conoscenze. Questa è la prima volta che tento un coinvolgimento diretto dei miei lettori. Serena sta preparando una tesi – una tesi è una cosa seria –, e chiede il nostro aiuto. Vi chiedo quindi di sforzarvi il più possibile per aiutarla a eviscerare questo argomento.

Naturalmente, visto che la domanda è stata posta al sottoscritto, non mi sottraggo al ruolo che mi è stato affidato e azzarderò un tentativo di risposta. L’argomento è così ampio che esclude a priori l’esaustività. Tuttavia tentare non nuoce, dicevano. E ogni granello di tecnica e di conoscenza che possedete (che possediamo) può essere d’aiuto a questa giovane laureanda.

Dunque, benché non abbia mai letto Salman Rushdie, la prima cosa che mi viene in mente pensando al tempo legato alla narrativa è La ricerca del tempo perduto di Marcel Proust. C’è un motivo se Marcel Proust intitola così il suo capolavoro. Si potrebbe essere spinti a pensare che l’atto di scrivere un libro sia una perdita di tempo: scrivere richiede tempo, e nel frattempo la vita scorre via. Non è così, non nel caso di Proust almeno. Non solo perché il libro, La ricerca del tempo perduto, ha fruttato a Proust una fama imperitura; soprattutto perché attraverso l’atto di scrivere egli ritiene si possa recuperare tutto il tempo che è passato. La Recherche è quindi il tentativo di recuperare il tempo perduto e di riportarlo in vita attraverso la scrittura. La scrittura è quindi il mezzo attraverso il quale si può viaggiare nel tempo (ma anche nello spazio), riavvolgendone la bobina.

Tuttavia è sulla tecnica che Serena ci chiede supporto. Parlando di tecnica e di tempo mi vengono in mente altri due libri: Mattatoio n. 5 e L’arcobaleno della gravità. Il primo è stato scritto da Kurt Vonnegut; il secondo da Thomas Pynchon. Riguardo alla gestione del tempo i due autori fanno una scelta opposta. Vonnegut utilizza i viaggi nel tempo del suo protagonista, Billy, per contrarre il tempo di narrazione; Pynchon utilizza la digressione e l’accumulo ripetitivo, esondante, per espanderlo all’infinito. Nel Mattatoio n. 5, Billy viaggia attraverso un arco temporale lungo tutta una vita, ma in termini di volume (volume del libro) tutto si risolve in 196 pagine. Nell’Arcobaleno della gravità, benché la storia sia ambientata negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, quindi un tempo ben più breve rispetto a quello sondato da Vonnegut nel suo Mattatoio, il tempo viene così tanto dilatato da rendere L’arcobaleno un libro decisamente voluminoso: 1.039 pagine.

Estensione e contrazione del tempo sono il prodotto di due diverse tecniche narrative: la prima è realizzata attraverso la ripetizione, l’accumulo e la digressione; la seconda attraverso la contrazione e il minimalismo (cioè l’eliminazione sistematica di tutto ciò che è superfluo – ne troviamo un esempio brillante in Stoner di John Williams). Parlando sempre di tempo nella narrazione non possiamo non citare l’analessi e la prolessi. La prima è una figura retorica che ci permette, attraverso un ricordo o un sogno o un’altro espediente, d’inserire nella narrazione un evento avvenuto in un tempo precedente. La prolessi è, al contrario, l’anticipazione di qualcosa che deve ancora avvenire ma che avverrà sicuramente. L’analessi viene utilizzata per spiegare dei retroscena; la prolessi, per creare ansia e attesa nel lettore.

Quando si parla di tempo in narrativa, si è portati a immaginare un’inizio e una fine. L’inizio coincide con l’incipit (il primo paragrafo, le prime pagine); la fine, con la conclusione della storia, quella che viene spesso chiamata: il finale. Tuttavia il tempo non è sempre una linea retta, e oltre all’analessi e alla prolessi, alla contrazione e alla dilatazione, il tempo può anche essere ciclico. Cioè può partire da un punto e tornare esattamente a quel punto al termine del suo ciclo. Questo lo ritroviamo (quasi) ad esempio in Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino.

Parlando di tempo non si può non parlare di spazio: le due cose sono strettamente correlate. Ad esempio, il tempo e lo spazio concessi a questo post sono entrambi terminati. Quindi, cari follower, cari lettori, cari aspiranti scrittori e scrittori già pubblicati, cari addetti ai lavori che mi seguite (all’insaputa di tutti) e che mandate alle mie lettrici mail egocentriche, è il vostro turno di sfoderare le conoscenze che, lo so, tenevate in serbo proprio per un’occasione come questa: date una mano a Serena e mostrate la Vostra competenza.

… e come il post inizia, così finisce: il tempo e lo spaziO

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Note

Benché questo articolo sia stato programmato per essere pubblicato il 1° giorno d’aprile, non è un poisson.

41 Comments on “Il tempo e lo spazio”

    • Il fatto che siano generiche ti dà la possibilità di spaziare. Ad ogni modo puoi prendere come riferimento il mio tentativo di risposta. 🙂

      (Sullo spazio ho avuto anch’io qualche difficoltà a capire cosa intendesse).

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  1. Peccato che io oggi non ho il tempo, figuriamoci lo spazio. XD
    Però a occhio io che sono scientifico direi che occorre anche il terzo parametro: la velocità. V= S / T 😉

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  2. Visto che lo citi tu, mi viene da fare un’osservazione su Mattatoio n.5, sperando di non essere off topic.
    Mi chiedo e ti chiedo: l’utilizzo di Vonnegut dell’intercalare “Così va la vita” non è forse uno stratagemma dell’autore proprio per portare la narrazione fuori dal contesto spazio/temporale? Voglio dire, gli eventi da lui narrati si snodano in tempi e luoghi diversi, addirittura al di fuori dell’ambito terrestre, eppure quasi ogni episodio termina con questa massima.
    In realtà non è più importante dove e quando si sono svolti (nella seconda guerra mondiale, nel presente, forse nel futuro, in ospedale, nel campo di prigionia, nel paese di Tramalfadoriani) perché quello che conta è che “così va la vita”, osservazione che trasforma ogni episodio in un esempio paradigmatico. Ogni episodio diventa una storia a sé, legata alle altre dal fatto di essere un ulteriore esempio di come va la vita.
    Grazie a questo perde il suo senso scrivere un romanzo nella classica struttura costruita su uno sviluppo temporale e consequenziale e i salti di tempo diventano un punto di forza, proprio perché staccano la narrazione dal legame con la dimensione spazio-temporale.

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    • È una questione interessante quella che poni, Silvia. Per prima cosa focalizziamoci sul modo in cui Vonnegut adopera il “Così va la vita”. Io c’ho prestato attenzione, e ho notato che l’autore lo inserisce sempre, invariabilmente ogni volta che nella narrazione avviene o viene paventata la morte di qualcuno. Quindi il “Così va la vita” è legato al concetto di morte più che di spazio/tempo. Viene inserito anche se la morte non viene dichiarata ma si narri nel paragrafo che precede di un evento che potrebbe presumibilmente portare alla dipartita di qualcuno, anche più di uno. Quel “Così va la vita” diventa una locuzione che si sostituisce all’Amen cristiano. Come sai, l’àmen è un’interiezione che ha il significato di «così sia». L’amen chiude molte preghiere sia nella lingua liturgica sia in quella italiana. In questo senso, il libro di Vonnegut diventa quasi un testo sacro. Solo che nel caso di Mattatoio n 5, quel “Così va la vita” aggiunge un tono di leggerezza lì dove gli eventi invece precipitano fino a diventare tragici. Il filo conduttore del suo romanzo è: “Invece di pensare a cose brutte, ad ammazzarvi a vicenda, pensate a ciò che di bello c’è nel vivere”. Amen.

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      • Andrebbe anche messo in relazione alla visione del tempo di Vonnegut, quella che gli viene insegnata su Trafalmadore. Non per niente Vonnegut scrive un libro che si intitola quando siete felici fateci caso.

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      • Certamente il legame con la morte c’è ed è persino esplicito. In una delle lettere Billy scrive: “(…) Ora, quando io sento che qualcuno è morto, alzo le spallo e dico quel che dicono i tramalfadoriani dei morti e cioè Così va la vita” .

        Trovo azzeccato il tuo parallelo con l’amen cristiano, anche se il significato che traduciamo con “Così sia” non ha nella religione cristiana la sfumatura dubitativa del congiuntivo, ma indica più propriamente “Così è”, ovvero è la Verità di Cristo.

        Quella di Billy invece è la sua verità, quella che ha imparato dagli extraterrestri tramalfadoriani, che gli permette di superare con una scrollata di spalle il grottesco della vita e, come dici tu, di prenderla con leggerezza. Perché, a mio giudizio, in queste vicende di morte o quasi morte, c’è quasi sempre un aspetto grottesco.

        Quello che intendevo dire con l’uscire dallo schema spazio/tempo, anche se interpretato da me e non necessariamente voluto dall’autore, è il fatto che “Così va la vita” è un modo di accettare l’ineluttabilità del destino, ma anche di esemplificare come può andare la vita, appunto in modo grottesco. Cosa che può valere universalmente. Un po’ come se dicesse: guardate che strani scherzi che fa la vita! Cosa che vale per suo padre morto in una battuta di caccia quando lui è sul fronte, così come per sua moglie, morta proprio mentre lui si è salvato addirittura da un incidente aereo.
        Quasi come se quel “così va la vita” fosse per lui elemento di salvezza. Gli altri muoiono, lui si salva.

        Perdona l’espressione un po’ confusa del mio pensiero. 🙂

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        • Trovo molto azzeccato questo passaggio: «Trovo azzeccato il tuo parallelo con l’amen cristiano, anche se il significato che traduciamo con “Così sia” non ha nella religione cristiana la sfumatura dubitativa del congiuntivo, ma indica più propriamente “Così è”, ovvero è la Verità di Cristo».

          La questione sullo spazio/tempo invece non credo di averla capita. 😛

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          • Immaginavo. So di non essermi espressa bene! 😛

            Ci riprovo. 🙂

            Secondo me al Così va la vita possono essere date due letture diverse e complementari.

            La prima è quello che interpreti tu e che probabilmente aveva intenzione di dare Vonnegut. Ovvero siate leggeri, perché tanto la vita va così e non ci potete fare niente. Tant’è che alla fine si salva chi la vive così.

            Il secondo livello (interpretato da me) ha invece un significato paradigmatico. Come se l’autore volesse dire “guardate come va la vita: uno scampa alla morte in un incidente aereo e poi gli muore la moglie che sta andando a trovarlo”, cioè la vita è grottesca oltre che ineluttabile. Ma questo essere grottesca è universalmente valido. Accade in guerra come in pace, accade sulla terra come nel paese dei trafamaldoriani, accade all’ospedale come nel mattatoio. E’ una regola che non ha tempo e non ha spazio. Per questo la narrazione non ha necessità di avere una continuità spazio/temporale. Anzi il continuo staccarsi da un episodio all’altro serve proprio a sottolineare questo aspetto slegato dal contesto in cui si svolge.

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              • In un certo senso sì e più che altro non segue regole prestabilite. Non tiene conto della statistica. Voglio dire, sarebbe molto più probabile che morisse chi è on guerra rispetto al padre che è a caccia. Così come sarebbe più probabile non sopravvivere a un incidente aereo piuttosto che morire andando a trovare chi è sopravvissuto. Da qui nasce un effetto grottesco. Dovrei andare a cercarli, ma mi pare che ci siano molti episodi che rientrano in questo quadro.

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        • In realtà, come già accennavo nell’altro commento, bisogna tener conto della visione del tempo dei trafalmadoriani, che sono esseri pluridimensionali. Per loro nascita e morte sono solo due estremi di un qualcosa, immaginalo nelle dimensioni che conosci, inizio e fine di una strada, ad esempio. Tu riesci a vedere tutta la strada, la strada c’è sempre, anche se ha un inizio e una fine. Lo stesso è per i trafalmandoriani la vita di un essere, ha un inizio e una fine, ma dal loro punto di vista è eterna.

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  3. Perdinci Salvo, a parte che il post -anche se non sono ancora passati i proverbiali tre giorni- puzza così tanto di pesce che sembra d’essere al Ballarò di Palermo, le risposte possono essere variabili quante le categorie di pensiero su tempo e spazio in letteratura (o Alessio -vocativo-, aiutaci tu).
    Ammesso di conoscerle tutte, bisognerebbe poi capire quali ha usato Rushdie nei due libri (mai letto Rushdie). Un bel dilemma, dunque, perché mi mancano sia tutte le categorie teoriche che il caso reale al quale tentare di applicarle. 😦
    Quello che tu dici è tutto corretto, io posso aggiungere che da lettore più orientato alla concretezza che alle disquisizioni accademiche mi sono costruito queste macro categorie: più il tempo narrativo è veloce e serrato (tanto tempo in poche pagine) più la narrazione è materiale e “fisica”, più è dilatato e “lento” (tante pagine per descrivere poco tempo) più il punto di vista è mentale ed emotivo, e con lo spazio è esattamente la stessa cosa. Nei grandi spazi ha importanza la storia, la trama, gli eventi, nel piccolo spazio si entra nell’intimo mentale del protagonista. Penso a “Il gioco di Gerald” di King, tutto ambientato su un letto lungo un arco di poche ore che si rivela essere un viaggio allucinante nella mente e negli incubi della protagonista. “Stoner” infatti è molto intimo nelle parti più dilatate come spazio-tempo, diventa più “esterno” nelle parti in cui poche righe ti descrivono dieci anni.
    Io posso partire da qui, questa e la mia visione da pescivendolo lettore, non da critico letterario che non è il mio mestiere.
    Ma già lo so che andrò su google libri a vedere qualche estratto di Rushdie, mannaggia.
    Poi tornerò.

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    • Aspetteremo il tuo ritorno. Nel frattempo ti anticipo che le tue intuizioni sullo spazio/tempo mi paiono parecchio interessanti. Avrei però una domanda: cosa intendi per spazzi piccoli e spazi grandi, esatamente? Associ il concetto di spazio a quello di luogo, mi pare di capire. Possiamo pensare a un concetto di spazio che sia slegato dal concetto di luogo?

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      • Spazio slegato da un luogo? Ci devo pensare. Io pensavo allo spazio da fisico, cioè uno spazio piccolo è un luogo in cui i delta delle coordinate spaziali sono piccoli, viceversa per gli spazi grandi. Se mi descrivi una vasta pianura tipo “Signore degli anelli” poco prima di una battaglia, con migliaia di esseri in tumulto, la narrazione è meno “mentale” di quella di Stoner nella sua stanzina, sul letto di morte. Ovvio che in un romanzo lo spazio si allarga e restringe lungo la narrazione, ma alla fine la storia propenderà o più per spazi grandi o più per quelli piccoli. Bisogna vedere quali spazi/luoghi usa Rushdie.

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    • Rieccomi. Sono in pratica due favole con gli stessi protagonisti in entrambe le storie. Mi ricorda un po’ Michaek Ende de “Le avventure di Jim Bottone”. Non amo tantissimo il genere fantastico e in più Rushdie sembra avere una fantasia smodata (a parte il cane che si chiama Orso amico dell’orso che si chiama Cane…). Il tempo è quello tipico del viaggio-avventura in mondi fiabeschi e magici, lineare e con la massima attenzione alla descrizione del susseguirsi degli eventi e alla descrizione del mondo immaginario, più che dell’anima dei personaggi… almeno nella parte che ho letto. Sembra divertente. 🙂
      Lo spazio, lo spazio, come vuoi che sia lo spazio in una favola? Liquido.

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      • Grazie Pad, prezioso come sempre. Tornando all’argomento “spazio” che mi pare quello più perverso da eviscerare, se rifletto su uno spazio slegato dal luogo penso al vuoto, ma anche ai mondi paralleli: uno stesso spazio che esiste in più luoghi contemporaneamente. Altre idee?

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  4. ECCOMI!!!!
    Se fossi un fisico ti parlerei del legame relativistico tra spazio e tempo. Ai tempi avevo anche studiato la relatività ristretta, e ricordo che ci fosse un’equazione molto bella… Ma sono ricordi che si rifanno al millenio scorso, tanto per restare in tema di tempo.
    Beh, in narrativa il discorso si fa a cnora più lungo e più complesso, perchè la narrativa ha il potere di andare al di la delle leggi della fisica. La narrativa ha il potere di essere illegale 😛
    Si potrebbe parlare del tempo verbale, ad esempio, in genere la narrazione si svolge secondu uno dei tempi dell’indicativo, più spesso si narra al passato, a volte al presente, di rado al futuro. E il tempo verbale già da solo pone dei limiti ai tempi della narrazione, perchè quando si narra al passato il narratore può essere a conoscenza di fatti che avvengono nel futuro rispetto al tempo della narrazione, quando si narra al presente questa conoscenza del narratore viene a mancare.
    Poi si può parlare di tempo della narrazione, che non è mai lineare. Salvo rarissimi casi nessun narratore narrerà tutti (ma proprio tutti) gli eventi in ordine cronologico. Farà dei tagli, dei salti. E anche qualora narrasse tutto il tempo della narrazione può scorrere più rapidamente o più lentamente rispetto al tempo reale. Ma questa è una narrazione semplice, a volte il narratore decide di aggrovigliare la linea del tempo della narrazione saltando avanti e indietro con espedienti narrativi e retorici già citati.
    Visto che di Vonnegut hai già parlato tu (ma hai in programma anche un post approfondito) potrei parlare di Murakami. In 1Q84 ad esempio spazio e tempo sono legati fra loro e il narratore salta avanti e indietro nel tempo, ma anche di qua e di la nello spazio, che non è uno spazio unidimensionale (ma non vorrei spoilerare troppo) in Norvegian Wood invece il tempo si atorciglia su se stesso, e partendo dall’istante iniziale continua ad andare indietro in flashback nei quali si aprono altri flach back.
    Il tempo può anche cambiare in base al punto di vista (o pov) e ramificarsi seguendo le strade delle sottovicende.

    P.S. mi sa che l’arcobaleno mi tocca leggerlo

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  5. In questo momento sono un po’ provata, ma se parliamo di spazio e di tempo narrativi contrapposti a spazio e tempo reale le prime cose che mi vengono in mente sono dei racconti di Borges
    – Il giardino dei sentieri che si biforcano, in chi si ipotizza una narrazione che tenga conto di tutte le possibili linee narrative che si generano ad ogni scelta. La narrazione, al contrario della vita può evitare di scegliere un solo spazio e un solo tempo e, almeno in teoria, comprenderli tutti.
    – Il miracolo segreto. Un condannato a morte, nel momento dell’esecuzione, esprime il desiderio di poter terminare la sua opera. Il tempo si dilata ed egli può comporla comodamente nella sua mente prima di morire.
    Questo per semplificare al massimo. La narrativa può giocare come vuole con lo spazio e con il tempo e con la percezione dello spazio e del tempo, creando infiniti effetti. Già nell’Odissea fabula e intreccio non coincidono e la narrazione non è consequenziale.
    Mio dio, come sono sconclusionata! Povera tesista!

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  6. Eccomi, come promesso. Grilloz ha commentato, quindi sono in regola. XD
    Proverò a essere sintetico così non rubo tempo, non colmo lo spazio e su altri blog non si finisce etichettati come commentatori sciocchezzari. 😉

    Gestire il tempo e lo spazio in un romanzo non è cosa facile.
    Occorre definirli e impacchettarli all’interno dell’esigenza narrativa.
    Su questi parametri spesso si gioca la grandezza dello scrittore.
    Saper dominare il tempo è complicato perché imprimere la giusta scansione degli eventi, i salti in avanti, i salti in dietro, le accelerazioni e le frenate richiede una grande maestria.
    I tempi a volte possono essere paralleli, con sottotrame che viaggiano accanto alla principale.

    Lo stesso vale per lo spazio. Su quali dimensioni si giocano la storia i nostri personaggi? Una stanza, una casa, un quartiere, una città, una nazione, l’intero pianeta o mondi distanti e improbabili.

    Quando affronto queste problematiche nella mia scrittura penso sempre alle parole della mia editor: la scrittura richiede controllo.
    Non si può scrivere e basta lasciandosi andare al fluire delle parole. Occorre riuscire a comprendere bene i tempi, la cadenza della prosa, il ritmo della frase.
    Di fronte a un tramonto dobbiamo rallentare, di fronte a un inseguimento accelerare.
    Lo scrittore inesperto, o comunque quello che non sarà mai bravo spesso sbaglia qui.
    E poi occorre studiare molto. Dai migliori soprattutto.

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    • Sintetico e smilzo come da promessa: quelli che non saranno mai bravi spesso sbagliano qui: sono prolissi quando devono essere contratti, e sterili quando devono comunicare molto. 😉

      P.S. gli altri blogger sono solo invidiosi… 😛

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