Maurizio Ferraris

Allo scrittore è utile la filosofia?

Il 24 agosto 2006 un concilio di astronomi ha deciso di declassare Plutone a livello di pianeta nano. Il motivo di questa scelta è che nel frattempo, essendo progrediti gli strumenti utilizzati per indagare lo spazio e di conseguenza la conoscenza stessa di esso, si è scoperto l’esistenza di molti altri oggetti di dimensioni analoghe a quelle di Plutone. Piuttosto che promuovere questi a pianeti, gli astronomi hanno preferito declassare Plutone. Ora, questa premessa serve a porci un interrogativo utile, ritengo, alla nostra discussione: in quel frangente, gli astronomi, si sono comportati come scienziati o hanno adottato gli strumenti tipici della filosofia, per decidere quale fosse l’approccio concettuale più corretto?

Prendila con filosofia

Prendila con filosofia è stata la prima definizione su cui da piccolino mi sono imbattuto sull’attività del filosofo. Prendila con filosofia è un espressione che sottintende a un certo atteggiamento che il filosofo, carico della sua sapienza, adotterebbe verso il mondo, le sue imperfezioni, le sue ingiustizie, le sue calamità come una sorta di scudo protettivo. Tutto questo è piuttosto banale. Quello che è meno banale è che quest’espressione può anche essere letta in un altro modo: un’invito a cercare nel quotidiano, nelle attività che non hanno nulla a che fare con la filosofia, quel contributo concettuale che è tipico della discussione filosofica.

Per tornare all’esempio precedente, in quel periodo all’interno della comunità astronomica si è accesa una discussione che pare di carattere astronomico, ma che in realtà adotta gli strumenti comunemente utilizzati nella discussione concettuale filosofica. È come se gli astronomi per un breve periodo avessero smesso di fare gli astronomi per assumere il ruolo di filosofi. Infatti non esiste alcun metodo astronomico per decidere se un pianeta sia nano o meno, questa piuttosto è una riflessione di natura concettuale che più tipicamente compete ai filosofi.

Alla domanda: Cos’è la filosofia?, Hegel rispondeva così:

“Si ammette che, per fare una scarpa, bisogni avere appreso ed esercitato il mestiere del calzolaio, quantunque ciascuno abbia la misura della scarpa nel proprio piede, e abbia le mani e con esse la naturale abilità per la predetta faccenda. Solo per filosofare non sarebbero richiesti né studio, né apprendimento, né fatica.”

Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, 1817

Che è un modo come un altro per dire che fare il filosofo in fondo è un mestiere, non è una cosa che si possa fare, come si pensa comunemente, senza studio, né apprendimento, né fatica… Quello che Hegel dimentica di dire però, è che tutti noi in fondo siamo un po’ filosofi; questo non in senso metaforico o burlesco, quanto piuttosto in senso letterale poiché la riflessione concettuale non è appannaggio della sola filosofia. Un po’ tutte le attività umane, io credo, usufruiscono degli strumenti di riflessione concettuale. Per dire, anche decidere come disporre la merce in un magazzino ha al suo interno della riflessione molto simile, molto vicina a quella con cui normalmente si trastullano i filosofi. Perfino riordinare un cassetto, decidere come disporre i calzini, le mutande e le canottiere ha caratteristiche di riflessione simili al filosofare.

Questa caratteristica della filosofia è il primo tratto che accomuna a mio avviso il lavoro del filosofo con quello dello scrittore. Tutti coloro che sanno leggere e scrivere infatti pensano, volendolo, di poter fare gli scrittori. Tutti, in un modo o nell’altro, si trovano prima o poi nelle circostanze di dover scrivere qualcosa; fosse anche solo la lista della spesa, una lettera alla mamma, una relazione al capo, un sms alla ganza…

Se lo chiedeste a Michael Dummett, lui vi racconterebbe di quella volta che cercando di riparare il proprio lavandino, quasi combinò un mezzo disastro, tanto che dovette ricorrere con urgenza all’aiuto di un idraulico. L’idraulico ovviamente sistemò in breve tempo tutto quello che c’era da sistemare. Davanti all’espressione stupita del filosofo, l’idraulico disse: «Sa, non sono mestieri che si possano fare a mani nude, servono gli attrezzi giusti».

Dunque, sia per filosofare sia per scrivere servono gli attrezzi giusti e gli attrezzi giusti, in questi due campi, si ottengono solo attraverso lo studio, l’apprendimento e la fatica. Serve quindi almeno un po’ di filosofia allo scrittore? Era questa la premessa iniziale, se non ricordo male. Be’, certo che serve. Serve a scrivere un post come questo, ad esempio. Ma più in generale, allo scrittore servono gli strumenti di riflessione concettuale tipicamente adottati dai filosofi, quanto ai filosofi servono gli strumenti retorici, per esprimere le proprie teorie e illustrare i propri pensieri, tipicamente adottati dagli scrittori. Insomma, per farla breve, un po’ di retorica non ha mai fatto male a nessuno, si dice.

“Il linguaggio fa una bella distinzione tra la tristezza e la depressione, la felicità e l’euforia. Da una parte c’è l’essere tristi e l’essere felici, dall’altra c’è l’essere depressi e l’essere euforici: cosa fa questa differenza? La differenza è che tra l’essere tristi e l’essere felici c’è un mondo esterno che ci risponde, mentre l’essere depressi e l’essere euforici sono stati d’animo che possono aver luogo anche senza la realtà. Notate bene che sui farmaci certe volte si dice: «Attenzione: può provocare euforia», non dicono mai: «… può provocare felicità»”.

Maurizio Ferraris, Zettel: cos’è la realtà?

Se non è retorica, questa, utile anche a uno scrittore, allora ditemi cos’è che è utile a uno scrittore? Tra l’essere felici e il pensare di essere felici c’è o non c’è una certa differenza? La differenza è tanto filosofica, quanto retorica e la retorica è l’arte di articolare in maniera conveniente quello che si vuole raccontare.

Ma la filosofia non serve solo ai filosofi o agli scrittori:

“Joaquin Garcia, 69enne spagnolo, è stato supervisore di una società idrica di Cadice per 20 anni. Quando il controllo è passato alle autorità locali, i suoi impegni sono diventati sempre meno. Così pochi che a un certo punto l’uomo ha deciso di non recarsi più a lavoro, rimanendo assente ingiustificato dal 2004 al 2010.

Dopo sei anni di latitanza è stato scoperto. Il 69 doveva essere premiato per i 20 anni di carriera, ma quando il vicesindaco di Cadice si è recato sul posto per consegnargli il riconoscimento, si è accorto che a lavoro non c’era. Cos’ha fatto in questi sei anni?, gli hanno chiesto. «Ho letto filosofia».”

[Il Messaggero, art. del 14 febbraio 2016]

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Note

In calce, una foto di Maurizio Ferraris a una conferenza: Maurizio Ferraris è stato mio professore di Estetica a Palazzo nuovo ormai vent’anni fa (adesso insegna Teoretica, mi pare), ed è comunemente considerato il più grande filosofo italiano contemporaneo.

32 Comments on “Lo scrittore filosofo”

  1. Post molto interessante. Come sai, sono appassionata di due discipline (sociologia e psicologia) nate da una costola della filosofia, ma basate su approcci differenti. Bauman è classificato come sociologo, ma secondo me è il più grande filosofo di tutti i tenti. Il confine, in fondo, può essere veramente labile.

    Il confronto nasce con mia sorella, che è laureata in filosofia e oltre tutto, da buona gemelli, tende a intellettualizzare tutto. I discorsi che fa, a mio avviso, sono puramente speculativi. La filosofia non dovrebbe mai essere slegata da un’osservazione della realtà, e una partecipazione concreta alla vita di ogni giorno, perché al giorno d’oggi l’intellettuale non può più stare barricato sui libri, ma a mio avviso deve interagire e osservare. Anche il pensiero orientale di matrice buddhista, per quanto predichi concetti come il distacco e l’ascetismo, impraticabili nella società occidentali, è definito “la filosofia del buon senso” in quanto offre realmente alle persone delle dritte per vivere meglio.

    Per tornare in tema posso dirti che nel mio romanzo c’è molta filosofia, anche se spesso mascherata. E penso che un buon autore mainstream, a prescindere dagli strumenti che decide di utilizzare (la scrittura visiva mi caratterizza, ma ciò non mi avvicina alla letteratura di genere) non possa prescindere dal veicolare un messaggio. è proprio la premessa filosofica a fare la differenza fra un romanzo basato sulla storia e un romanzo basato sui personaggi e sulle loro dinamiche interiori. 🙂

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    • Anche secondo me Bauman è un grande filosofo e un attento osservatore della realtà. Ultimamente mi sto interessando al New Realism di Ferraris; noto anche in letteratura un ritorno al classico: Il cardellino di Donna Tartt ne è un esempio. Possiamo, senza la pretesa di apparire esaustivi o addirittura malevoli, dividere la narrativa in narrativa che si basa esclusivamente sul raccontare una storia (rientrano più spesso in questa i vari generi, dal giallo al rosa) e la narrativa che, pur con la presenza di una storia (spesso di sottofondo), cerca di comunicare qualcos’altro. La prima probabilmente vende di più; la seconda probabilmente si ricorda più a lungo.

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      • Concordo in pieno sulla tua divisione della narrattiva. E seguendo il pensiero dei vari guest post di Alessio direi che la seconda è più letteratura della prima.

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      • Con il giallo io non sarei così categorico, perché ultimamente questo genere sta cambiando molto avvicinandosi al mainstream più di quanto non lo sia stato prima. Le dinamiche psicologiche e la presenza di un messaggio hanno sempre più rilievo. Lo so perché è un genere che “bazzico” parecchio. 🙂

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        • Io non penso sia una questione di generi ma di autori, io bazzico un po’ di più nel mondo della fantascienza, e, anche se resterà sempre lontana dal mainstream (guai se non fosse così) ci sono autori che possono davvero essere considerati filosofi.

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  2. “in questi sei anni?, gli hanno chiesto. «Ho letto filosofia».”
    Un po’ quello che sto facendo io ora, ma è una lunga storia.
    Comunque io sono dispiaciuto per la declassazione del povero plutone (era già capitato alla nostra poverella Luna), tuttavia, il tutto nasce dalla nostra necessità di dare un nome alle cose, e al nostro desiderio/necessità di essere precisi. Ma dare un nome alle cose, un nome preciso, è filosofia? Immagino di sì, ne consegue che anche l’ingegneria è filosofica 😉
    Forse proprio solo la scrittura può permettersi quell’indefinitezza antifilosofica.

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    • Dare il nome alle cose non credo rientri nel campo della filosofia; interrogarsi sul loro ruolo nel contesto più ampio dell’esistenza invece sì, rientra nel campo dell’indagine filosofica. La letteratura, quella alta quantomeno, non può essere antifilosofica; semmai è filosofia spicciola spiegata alle masse. 😛

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      • Nel senso che la letteratura può permettersi un’indeterminazione e un’indefinitezza che alla filosofia non è concessa.
        I miei studi di filosofia risalgono al pleistocene (beh, forse non proprio, ma si parla comunque dello scorso millenio) e oltre tutto, come mi ha fatto notare un amico filosofo tempo fa, al liceo si studia storia della filosofia e non filosofia, però, se non ricordo male, la filosofia parla anche del “nome delle cose”

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        • Immagino di sì, non credo che la filosofia si ponga dei limiti nel suo campo di analisi. Credo, ma non ne sono sicuro, che la filosofia tenda a dare i nomi alle idee, più che al mondo in senso letterale. Certo, le idee plasmano il mondo e quindi gli oggetti che ne fanno parte, ma se parliamo di semplice attribuzione di nomi, allora entriamo nel campo della linguistica.

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          • Mi addentro in un campo minato, quindi se sentite bum…
            No, non credo che lo scopo della filosofia sia “dare il nome alle cose” ma la filosofia si interroga sul “dare il nome alle cose”. Mi pare ne parlasse già Platone, col suo mondo delle idee, non si andavano a pescare lì i nomi delle cose? Fra l’altro se ci pensi anche le religioni si pongono lo stesso problema, ricordi quel passo della Genesi in cui Dio dice all’uomo di dare un nome a tutti gli animali ecc. ecc.
            Però mi sa che stiamo andando un po’ fuori tema 😀

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          • Un’altra considerazione filosofico-letteraria:
            Un buono scrittore, uno scrittore che vuol fare Letteratura (con la L) è giusto che si ponga e che ponga certe domande, ma è anche necessario che dia delle risposte o il fatto che porti il lettore ad interrogarsi è già aver fatto nel migliore dei modi il suo “lavoro”
            Io mi sento di propendere per la seconda opzione.

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            • I filosofi, ad esempio, raramente danno delle risposte e quando le danno: le loro risposte scatenano una marea di altre domande… Ecco, in questo senso, lo scrittore che voglia fare letteratura deve avere lo stesso atteggiamento: analizzare la realtà, porre delle questioni e quando decide di dare anche delle risposte queste non devono essere del tipo “definitivo”, ma devono scatenare una marea di altre domande. 😉

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  3. Ciao Salvatore, prima di tutto complimenti per questa analisi. Ottimo post. Poi, se posso dare il mio piccolo contributo alla discussione, vorrei aggiungere che, visto che hai citato Hegel, credo che tutto possa ricondursi al compromesso tra la dottrina del concetto e quella dell’essenza. Credo che un buon narratore debba tenerne conto. Importantissima la retorica, la tanto disprezzata retorica, che ha assunto una connotazione negativa nel linguaggio comune. La immagino come una cornice. Devo anche dire che talvolta sono rimasto però molto colpito da un tipo di narrazione più viscerale, senza tanti fronzoli lessicali o concettuali, come nel caso di Edward Bunker. Per il resto, credo che la filosofia. nel senso accademico del termine, analizzi se stessa, sempre, incessantemente. Il narratore, per sua fortuna, può fissare un istante e limitarsi a quello.

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    • Ciao Massimo, benvenuto nel mio blog e grazie per il commento. Apri una marea di questioni: devi essere un filosofo… (mi riferisco alla risposta che ho dato a Grilloz poco sopra). 🙂

      La retorica è “l’arte del parlar bene”, cioè di raccontare le cose in modo tale da spingere l’interlocutore ad accettare il tuo punto di vista. In realtà è molto più di questo, ma lo è in particolare per quella connotazione negativa che citi. C’è da dire che ogni romanzo degno di questo nome fa uso di retorica, perché ogni romanzo che ti racconti una storia cerca di raccontartela in modo da guidarti attraverso un percorso. Se le intenzioni sono oneste, non ci trovo nulla di malvagio.

      Ho letto molti romanzi di Edward Bunker e quello che ho apprezzato di più è stato il secondo: Animal factory. Davvero un bellissimo romanzo; gli altri invece mi sono sembrati fotocopie sottotono. Tuttavia ci si sbaglia a pensare che non ci sia della buona filosofia dietro quel libro. L’autore mette in relazione il reato in una società come la nostra e il sistema penitenziario dove, mentre l’intenzione espressa è quella di educare il carcerato a non commettere nuovi reati, tutto ciò che viene fatto dal sistema va invece in senso opposto rispondendo all’unica esigenza di tenere il carcerato lontano dalla “gente civile”. Il carcerato scarcerato viene spesso spinto dallo stesso sistema a commettere altri reati così da poter essere incarcerato (leggi = separato) nuovamente.

      «Il narratore, per sua fortuna, può fissare un istante e limitarsi a quello.» – bello, mi è piaciuto molto. 🙂

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  4. Grazie a te Salvatore. Sottoscrivo quello che dici, ovviamente. Devo dire che ho citato Bunker con un po’ di timore e ho ridimensionato il valore che attribuisco alla sua opera. Per timidezza? Perché quando lo nomini ti vengono sbattuti in faccia autori “alti” e ti guardano strano? Pensa che tra le varie cose, ho lavorato in carcere e ho trovato molte delle cose che ha descritto.

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    • Edward Bunker era un autore umile, questo è certo, soprattutto se messo in relazione appunto a ben altri narratori (quei maledetti russi, per dio!), ma la sua opera è tutt’altro che umile. Ha avuto il grande merito di parlare di carceri e di parlare di fuorilegge in un modo molto più realistico di quanto si faceva fino ad allora. Ha insomma tirato fuori un punto di vista ai suoi tempi nuovo; e come tu mi insegni, l’originalità ha sempre del merito. Che non sia un grandissimo narratore lo si capisce leggendolo (tranne in Animal Factory), anche se potrebbe essere colpa della traduzione. Tuttavia non aveva la pretesa di scrivere alta letteratura. Inoltre molte delle sue storie sono diventate dei film, grazie a Tarantino. Non è una cosa da poco. 🙂

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      • Assolutamente non da poco. La letteratura dal basso. Tra l’altro è il processo tentato da Eco negli anni ’60-’70, quando lavorava in RAI. Far avvicinare gli Italiani alla cultura privilegiando tematiche e autori più “umorali per arrivare a concetti colti. Poi i salotti se lo sono inglobato e ne hanno fatto un feticcio. E la cultura è diventata, anzi è tornata ad essere un cerchia di eletti che se la cantano e se la suonano da soli. Guardano tutti dall’alto in basso e non danno un cazzo se non a se stessi. Non riconosco e non vedo cultura nei circoli intellettuali. Non la vedo perché non c’è scambio e diffusione. Non riconosco nemmeno una forma di intelligenza nell’intellettuale che parla solo ai suoi simili. Intelligenza e mancata comprensione e comunicazione con il mondo stridono.

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  5. I tuoi post stanno iniziando ad essere troppo impegnativi per il mio livello mentale. Leggendo mi sentivo un po’ una mucca la pascolo a cui viene chiesto cosa sia l’essenza dell’erba. Lei rumina, ma non a rispondere.

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  6. Ogni scrittore, secondo me, è un filosofo inconsapevole.
    Ogni mondo creato, che sia reale o fantascientifico ha una base di realismo e una base utopica.
    Insomma l’autore è il filosofo del proprio mondo… senza esagerare però!

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