Edward Hopper

Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

Nei precedenti mini-ripassi abbiamo parlato del sostantivo, del genere, della formazione del femminile, del sessimo o presunto tale della lingua italiana – senza risparmiarci le polemiche legate a questo tema e senza la pretesa d’essere stati in merito esaustivi. Sulla formazione del femminile ci si potrebbe scrivere un libro. Ad esempio ho risparmiato di farvi notare come i nomi di genere comuni (quelli che non indicano una distinzione di genere) sono più spesso attribuiti ad animali selvatici (volpe, balena, giraffa, ecc.), ma non ad animali domestici o d’allevamento (gatto/gatta, gallo/gallina, toro/vacca). Ora ci lasciamo alle spalle il genere (anche se solo in apparenza) per affrontare un’altro argomento legato ai sostantivi: quello del plurale.

Il numero

«Nella flessione del nome si distinguono il singolare e il plurale. Il singolare indica un solo essere animato, una sola cosa o concetto o nozione, o un’entità collettiva percepita come insieme omogeneo (il popolo, ndr). Il plurale indica più esseri animati o più cose o concetti o nozioni (o, ancora, più entità collettive: le famiglie, i popoli)».

Serianni, Ivi p. 131

Il contrassegno morfologico per indicare il plurale, in italiano, è dato dalla desinenza. La desinenza, quindi, dichiara spesso una doppia informazione: il genere e il numero.

Formazione del plurale

«Possiamo ordinare la trattazione del plurale dei nomi distinguendo tre gruppi: nomi maschili e femminili in -a; nomi maschili e femminili in –o; nomi maschili e femminili in –e. A questi si aggiungono i nomi invariabili e altri casi particolari».

Serianni, Ivi p. 133

Nomi in -a

I nomi maschili terminanti in –a formano il plurale in –i: papa > papi, poeta > poeti, problema > problemi, ecc. I nomi femminili terminanti in –a formano il plurale  in –e: aquila > aquile, bicicletta > biciclette, casa > case, ecc.

Naturalmente esistono le eccezioni: ala > ali. Ala è un sostantivo femminile, eppure il plurale lo forma con desinenza in –i. Stessa cosa per arma: armi.

I nomi di genere comune (cioè che non distinguono il maschile dal femminile) terminanti in –a formano il plurale in –i nel maschile (atleta > atleti), in –e nel femminile (atlete). Quindi, per i nomi di genere comuni, nel plurale ritroviamo la distinzione di genere che nel singolare era indicata solo dall’articolo o dall’aggettivo che li precedeva.

I sostantivi che terminano in –ca e –ga mantengono nel plurale le consonanti velari: collega > colleghi > colleghe; mosca > mosche; monarca > monarchi. L’unica eccezione a questa regola è per il plurale maschile di belga: belgi > belghe.

I sostantivi femminili terminanti in –ia (zia, bugia, ecc.) mantengono al plurale la –i nell’uscita in –ie: aritmia > aritmie; arpia > arpie; polizia > polizie, ecc. Anche i sostantivi femminili in –cia e –gia formano il plurale allo stesso modo: farmacia > farmacie; allegria > allegrie. Quando però la i non è tonica ma solo grafica, si riscontrano delle oscillazioni: «scrivere, ad esempio, ciliegie o ciliege è del tutto irrilevante ai fini della pronuncia» [Serianni]. La soluzione ottimale, dice il Serianni, sarebbe di eliminare del tutto la i grafica dai plurali di questo tipo, se la cosa non si scontrasse con abitudini scrittorie ormai consolidate.

Nomi in -o

I nomi in –o, nella stragrande maggioranza maschili, formano il plurale in –i: avvocato > avvocati; bambino > bambini; tetto > tetti, ecc. La stessa regola vale anche per i pochi nomi femminili in –o: mano > mani; eco > echi.

L’eccezione a questa regola è: uomo > uomini. Questo per derivazione dal latino, e la stessa contrapposizione fra singolare e plurale di questa parola la si ritrova anche in altre lingue romanze.

I nomi in –io, con i tonica, formano il plurale in –ii: fruscio > fruscii, pendio > pendii, rinvio > rinvii, ecc. La prima i rimane tonica. Il plurale dei si spiega da un anteriore iddei. Quando la i è atona, si ha spesso una collisione nella pronuncia e nella grafia con il plurale di un altro nome: àrbitri/arbitro e arbìtri/arbitrio. La distinzione la si ha grazie al contesto.

I nomi che terminano in –cio, –gio, –glio con la i atona vengono considerati come semplicemente terminanti in –o, e quindi: coccio > cocci, presagio > presagi, fermaglio > fermagli, ecc.

I nomi terminanti in –co e in –go, come per tutti i nomi terminanti in –o formano il plurale terminando in –i. Tuttavia nel passaggio dal singolare al plurale può mutare il suono velare della c e della g in palatale (amico/amici), oppure mantenerlo (cuoco/cuochi).

Da notare che alcuni nomi maschili terminanti in –o formano il plurale al femminile con desinenza –a: migliaio > migliaia, paio > paia, riso > risa, uovo > uova, ecc. Questo dipende dall’origine latina, di quei neutri plurali in -A da singolari in -UM.

Nomi in -e

Al maschile e al femminile, i nomi che terminano in –e formano il plurale con la desinenza –i: amore > amori, cane > cani, eroe > eroi, padre > padri, ecc.

Gli irregolari sono: bue > buoi (ne avevamo parlato a proposito della norma, ricordate?), mille nei suoi multipli: duemila, tremila, ecc.

I nomi terminanti in –cie, –gie, –glie con i atona formano il plurale in –i: superficie > superfici, effigie > effigi, moglie > mogli, ecc. Invariabile invece: la specie > le specie.

Conclusioni

Come al solito questi mini-ripassi riguardano nozioni semplici, che utilizziamo istintivamente ma di cui abbiamo dimenticato la radice, la formazione, le caratteristiche peculiari. Nulla di male, se non si volesse fare proprio gli scrittori… La prossima volta, visto che il discorso sui plurali non è concluso, vedremo le forme anomale e i nomi con doppio plurale, come: ginocchi/ginocchia e diti/dita, ecc.

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Note

Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET 1989

In calce: un quadro di Edward Hopper (che in un post che parla di plurali dovrebbe farvi riflettere…).

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15 Comments on “Sostantivo: formazione del plurale (parte I)”

  1. La formazione del plurale in tedesco è così complicata che te la risarmio 😉 (che è un modo velato per dire che non me la ricordo e la devo ripassare), c’è una roba ad esempio che si chiama addolcimento della vocale tematica, ovvero la vocale prende l’umlaut (Nacht – Nächte) solo che così cambia completamente la pronuncia e non sai quante volte non ho capito cosa mi stessero dicendo 😀
    Invece, per restare sulle curiosità, mi pare che in giapponese ci siano più sfumature tra il singolare e il plurale.
    Per finire, prima di anticiparti come mio solito, nel prossimo ripasso parlerai anche del “plurale” dei termini derivati da altre lingue?

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    • No, troppo complicato. Inoltre dovrò già dedicare due post alle forme anomale che si sono rivelate più cospique del previsto. Però al prossimo mini-ripasso risponderò alla tua domanda della volta precedente: diti/dita, bracci/braccia… 🙂

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  2. Pingback: Sostantivo: le professioni femminili | Salvatore Anfuso – il blog

  3. Il locale dove vado a pranzo manda il menù su whats-app, e l’altro giorno c’era scritto “coscie di pollo”: stavo per correggerli in pubblico! 😀

    Se non ricordo male (non ho tempo di verificare adesso) in italiano arcaico il plurale di Arma era Arme, o sbaglio?

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    • Su arme non so rispondere con precisione senza andare a verificare in un buon dizionario, tuttavia credo di ricordare che con “arme” si indicasse piuttosto gli stemmi e i blasoni.

      Su “coscie” avresti fatto bene. 🙂

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    • Penso anch’io che “arme” in passato fosse anche plurale di “armi”.
      “Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto…” dell’Ariosto usa “arme” come plurale di armi (se no sarebbe l’unico singolare dell’elenco). Già Dante però usa sia “armi” che “arme” come plurale di “arma”. Mi pare poi che il termine “allarme” derivi da “all’arme”, cioè “armiamoci, alle armi”.
      Sa di antico e per questo è più affascinante di “armi”.

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