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Il contatto intimo della copertina

Ho già parlato di come il romanzo postmoderno riduca la storia a una semplice scusa; il testimone passa al libro come oggetto, nel suo insieme, in cui ogni elemento contribuisce a generare senso. La copertina fa parte del tutto, dell’oggetto libro. Anch’essa ha quindi, fin dall’acquisto, il compito di trasmettere informazioni al lettore. Ma nel romanzo postmoderno il suo compito non si limita ad attirare l’attenzione dell’acquirente, o a esporre informazioni didascaliche sull’autore, o, ancora, a informare il lettore sul contenuto del prodotto che sta potenzialmente per acquistare. La copertina, nel romanzo postmoderno, ha un compito più elevato: essa serve a comunicare una prima immediata impressione sul significato più profondo contenuto nel romanzo che il lettore, potenzialmente, leggerà.

Cos’è la copertina di un libro?

Le copertine sono un’invenzione recente. I manoscritti inizialmente avevano solo un frontespizio, da cui il significato di incipit, ma non una copertina. Quando appare per la prima volta, il suo compito è quello di custodire il contenuto, le pagine che riportano la storia, per evitare che si possano sgualcire. La copertina, in questa fase, è una sorta di custodia non dissimile dai contenitori rigidi che servivano a trasportare le pergamene durante gli spostamenti. Inizialmente le possiamo immaginare di cuoio, queste copertine, o di materiali altrettanto resistenti. Poi, per distinguerle le une dalle altre, hanno cominciato ad apparire in calce (e poi sul dorso) delle scritte: il titolo, ad esempio, e il nome dell’autore. La copertina, in quanto custodia, è un oggetto impersonale: il suo compito si limita a proteggere il manoscritto e, in una fase più avanzata, a informarlo di cosa contenga al suo interno. Da qui, il passaggio alla copertina moderna è istintivo ma non banale.

Nel momento in cui ci si rende conto che tutta quella superficie, così visibile, così interessante da un punto di vista del marketing, può essere sfruttata per comunicare più informazioni e, poi, per attirare il lettore a scapito degli altri libri, nasce la copertina come la conosciamo oggi: ricca di immagini e di colori, di scritte, di alette in alcuni casi; fatta in un materiale meno prezioso ma più adatto allo scopo. In un articolo del Libraio, Ivan Canu scrive: «[…] si dice che in Oriente un libro mormori, mentre in Occidente tenda a urlare». Può essere vero anche per le copertine. Non ho esperienza di copertine orientali, ma in molti casi le nostre strillano: è tutto marketing naturalmente; in alcuni casi anche becero.

Un contatto più intimo

La copertina, tuttavia, è la prima superficie del libro che il lettore guarda, sfiora, annusa… La copertina non custodisce solo il contenuto del libro: essa crea un primo contatto intimo con il lettore. Poggiata sul comodino, accanto al letto, la copertina è l’ultima cosa che vediamo prima di addormentarci; è la prima quando ci svegliamo; è la prima porzione di un libro che tocchiamo. Sfiorare la copertina di un libro è come sfiorare la pelle di una donna (o di un uomo, se è di vostro gusto…). Il suo ruolo, quindi, può, e forse deve, essere maggiore di quello relegato a semplice strillone.

Perfino oggi, in cui una parte della produzione libraria passa attraverso il digitale, a volte perfino in esclusiva, la copertina ha un ruolo di primo piano. Anche nel digitale è la prima cosa che osserviamo; la scelta del libro è istintiva e spesso per merito proprio della copertina. Nel digitale c’è meno spazio per le informazioni dattiloscritte, motivo questo che dovrebbe spingere l’estetica della grafica verso una scelta più intelligente, razionale. La scelta dell’immagine, dei colori, dei caratteri non può essere lasciata al caso, ma neanche limitarsi a “urlare”: «Comprami, comprami! sono bella, non vedi?».

Il contatto intimo tra la copertina e il lettore, nel digitale, si perde; ma la copertina ne acquista uno più intimo con il manoscritto: se nel cartaceo la scelta della copertina dovrebbe essere armonica con il contenuto del libro; nel digitale non si può prescindere da una sua piena partecipazione alla trasmissione di senso. Nel cartaceo ma soprattutto nel digitale, questa, diventa una necessità.

Alcune proposte

L’articolo citato del Libraio parla di copertine e lascio a esso il compito di illustrarle. Qui, più che altro, vorrei fare alcune semplici proposte ai giovani (e non) scrittori. La prima cosa che mi viene in mente, parlando di copertine postmoderne, riguarda nel cartaceo la scelta del materiale con cui farle. Chiaramente questo potrebbe comportare dei problemi in fase di produzione dell’oggetto-libro. L’eventuale Editore potrebbe non esserne affatto felice. Tuttavia, giusto per parlarne, perché, ad esempio, in un libro di ricette di cucina non usare per la copertina un materiale commestibile? Oggi, con la chimica, si possono fare cose splendide… Un libro di ricette potrebbe essere un libro commestibile: «Vuoi mangiare il piatto descritto in questa pagina? Bene, strappala e, dopo averla letta, cucinala!».

Nel digitale la scelta del materiale si annichilisce per lasciare il posto al nucleo vero di qualsiasi produzione artistica e culturale: l’idea. In fondo ciò che vendete non è una storia, o non solo almeno, ma un’idea. La copertina deve tramettere in tal senso un primo “assaggio” dell’idea che il vostro libro vuole trasmettere al lettore. Quindi, ad esempio, in un thriller perché non mettere in copertina un rebus da svelare? In un giallo, un indizio che partecipi pienamente con la storia contenuta al suo interno. Le pagine di un romanzo rosa potrebbero profumare di lavanda, viola o gelsomino! Poi ci sono tutti i collegamenti metatestuali che potete immaginare: dal nome dell’autore — che potrebbe essere ad esempio, in un libro narrato in prima persona, quello del personaggio che racconta la storia —, in avanti.

Tutto questo, vale sia per il cartaceo, sia per il digitale a ben vedere. Io non so cosa sceglierei, se fosse mia la scelta; ma se fosse mia, ricadrebbe sicuramente su qualcosa che contribuisca a trasmettere senso.

Qui mi fermo, perché tutto ciò che viene dopo è troppo intimo perché si possa speculare oltre. Mi limiterò, invece, a chiedervi: e voi, se poteste scegliere liberamente, che copertina vorreste per il vostro libro?

46 Comments on “Parte del tutto”

  1. Sarebbe plausibile che in una società dell’immagine e in un paese di non lettori come il nostro la copertina sia importantissima e quasi unico elemento che spinga all’acquisto, invece quasi sempre è il contrario. Se prendi una qualsiasi casa editrice nota, vai a vedere le copertine che presentava negli ’80, ’90 e Duemila, troverai un crollo verticale: probabilmente la scomparsa dei lettori e quindi delle vendite ha costretto le case a risparmiare sulle copertine.
    Sono scomparsi i grandi illustratori che garantivano fiumi di vendite, ora si usano economiche foto in stock – che ritrovi uguali su libri di case diverse – o ancora più economiche illustrazioni casalinghe minimaliste.
    Per gli autopubblicati il discorso è paradossalmente contrario: ci si aspetta talmente poco da loro, privi come sono di mezzi, che una cover minimamente buona fa un figurone! Non sarebbe mai accettata dalla più scalcinata casa editrice ma per un autopubblicato va bene.
    Ho seguito e raccontato per ThrillerMagazine l’allontanamento del grandissimo Victor Togliani dalle cover mondadoriane per sostituirlo con immaginine prese a caso: com’era facilissimo prevedere, le vendite sono crollate e sono vicine alla scomparsa.
    Temo che prima di pensare a “nuove” copertine, sarebbe buona cosa tornare a farle: sicuramente sono costose, ma garantiscono entrate sicure 😉

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    • Lo penso anch’io. Tuttavia, leggendo il tuo commento, mi è venuto spontaneo riflettere sulle copertine che di solito accompagnano autori come Haruki Murakami. Nel suo caso, Einaudi ha scelto anziché delle immagini, delle monocromie secondo me molto azzeccate. Forse non c’era immagine possibile da abbinare ai suoi libri e sicuramente Murakami garantisce un certo tot di vendite da poter giustificare uno studio grafico, però la scelta fa riflettere: in un mondo pieno di immagini, l’assenza d’immagine può costituire un richiamo più forte.

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      • Anche quella è una scelta ottima, che denota coraggio ma – se riesce – crea uno stile riconoscibile. Penso ad Adelphi e al suo stile immutabile.
        Di solito gli autori di successo di una casa servono a pareggiare i conti con tutti gli altri che non vendono, quindi non è detto che un nome noto come Murakami possa avere copertine costose, fermo restando la scelta di stile.
        Pensa a case come Sperling&Kupfer, Mondadori, il gruppo RCS: fino ai ’90 presentavano copertine così belle che le esponevi in casa, come quadri. Oggi ti sbattono una stock photo qualsiasi che non vuol dire niente e non attira attenzione, quando invece è proprio l’attenzione lo scopo delle copertine 😛

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  2. Per me è molto importante il contatto con la carta, infatti è una delle cose che mi fa ancora preferire il cartaceo all’ebook.
    Vorrei poter scegliere il tipo di carta per la copertina e il trattamento: deve essere opaca, morbida e liscia, rigorosamente in brossura, tipo la collana Stile Libero di Einaudi. Odio le edizioni con la copertina rigida.
    Per l’immagine vorrei poterla progettare io, avvalendomi di un disegnatore professionista che sappia bocciare le mie idee dove non funzionano e esaltare quelle che invece valgono qualcosa.

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    • Approvo in pieno sia il commento che il gusto: anch’io non amo le copertine rigide, ma prediligo la carta al digitale. Naturalmente le copertine di Stile Libero sono quelle che amo di più. 🙂

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  3. Pingback: Parte del tutto | alessandrapeluso

  4. A me le copertine di un tempo piacevano di più. I classici che si trovano oggi, nelle edizioni passate, sono così, con una copertina in similpelle o in cartoncino, tutta ornata, con su soltanto titolo e nome dell’autore.
    Adesso forse copertine del genere farebbero vendere di meno se legate ai romanzi moderni.
    Per il mio romanzo di fantascienza sono a corto di idee per il titolo, figurati se riesco a immaginarmi una copertina. Quando sarà finito, dovrò chiedere a qualche anima buona di leggerlo e darmi consigli sul titolo.

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  5. Adoro le copertine di Marcos y Marcos. Ho sempre potuto sceglire le mie copertine, gli editori mi hanno appogiata in tutto (poi ho avuto altri problemi con suddetti editori, ma diamogli atto di questo) e sono felicissima dei risultati che vanno da progetti grafici, a foto rielaborate di mio marito, e illustrazioni di una mia amica grafica professionista secondo me davvero eccezionale. La più bella? L’ultima, per sfatare il mito che i selfisti si fanno copertine casalinghe orrende.

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    • Sandra, tu che hai un’esperienza diretta con le copertine e le case editrici, perché non ci spieghi un po’ meglio come funziona (almeno, secondo la tua esperienza)? Ad esempio: la casa editrice ha stabilito un budget e poi ti ha lasciata libera entro quei limiti di proporre delle copertine? Sei tu che hai proposto di tua iniziativa delle copertine o sono stati loro a coinvolgerti? Eccetera… Raccontaci!

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  6. Volentieri: Editore 1: ha proposto diverse immagini e ne ho scelto una, proponendo a mia volta 2 modifiche che sono state fatte.
    Editore 2: ne ho proposta io una, cassata in toto, ho detto che volevo avvalermi della mia amica illustratrice e l’editore ha fornito l’immagine di un celebre dipinto e la mia amica che nomino a sto punto si chiama Cinzia Bolognesi e la trovate qui http://www.ninibilu.com ha creato un’illustrazione simil quadro.
    Editore 3: mi ha chiesto di fornire una copertina fotografica, mio marito ne ha scattate 3, (2 molto simili) l’editore ne ha scelto una e l’ha tutta “rosata” perchè la collana le ha tutte rosa
    Editore 4: l’hanno fatta loro e me la sono ritrovata a libro fatto, sapevo che non avrei avuto voce in capitolo, ma il risultato mi piace molto.
    Editore 5: attualmente in trattativa, ma non so se pubblicherò con loro, la copertina la fanno loro e la mia proposta è stata già rifiutata.

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    • Tutto molto interessante. Come dire: ogni caso è a sé. Tuttavia, mi incuriosisce questa tua affermazione: «Editore 4: l’hanno fatta loro e me la sono ritrovata a libro fatto, sapevo che non avrei avuto voce in capitolo». Posso chiederti il perché? perché sapevi di non aver voce in capitolo con loro? È una sottigliezza, ma è una sottigliezza che può fare la differenza per aver le idee più chiare sul rapporto che intercorre tra scrittore ed editore.

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  7. Voce in capitolo sulla copertina, non sul resto. Ma l’ho saputo subito, era, è, un contratto assolutamente limpido e onesto. Mi spiego meglio, un editore che fin dall’inzio dichiara che la copertina dovendo aderire a canoni di collana sarà scelta da lui solo e poi comunque non chiede cose assurde all’autore, tipo cedere i diritti per 20 anni o cederli per il digitale e poi il digitale non viene fatto ecc. (cose successe) allora per me è ok.

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    • Adesso è più chiaro. Se hanno una loro linea editoriale per la copertina e l’impaginazione, credo sia normale che questo superi le esigenze e le velleità autorali.

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  8. Le tue idee di copertine con rebus o profumate sono bellissime!
    Io, ahimè, sono e rimango una narratrice. Come di ogni cosa estetica so dire “mi piace” o “non mi piace” quando già ce l’ho davanti, ma fatico a immaginarla o a immaginarne l’effetto.
    Quindi, temo, continuerò a lasciare ad altri la scelta delle copertine dei miei libri…

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  9. Ah, le copertine sono diventate il mio incubo! Ho scelto paesaggi che richiamino l’ambientazione del romanzo, montando foto dei miei viaggi, ma il risultato si sta dimostrando deludente perché non raccontano nulla della trama e appaiono anonime e piatte. Devo lavorarci e, per fortuna, posso contare su un’amica grafica che non avevo ingaggiato inizialmente perché i libri non le interessano. Altra fortuna: da auto-pubblicata posso sostituire la copertina quando voglio.
    Quella che mi impose anni fa l’editore che pubblicò due miei racconti era tremenda, peggiore di quelle che ho fatto da sola, ma non avevo voce in capitolo.

    Il libro di ricette commestibile è geniale 🙂

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    • Be’ non mi paiono così male le tue copertine. Parlando di self, ho visto tanto, tanto di peggio. Semmai il fatto che non raccontino nulla della storia questo sì, che può rappresentare un limite. Anche nel tuo caso non mi pare sia vero fino in fondo.

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      • Che ci sia di peggio in giro non mi consola: ambisco al meglio 🙂 Io non sono una che guarda le copertine, le considero ancora “la custodia” del libro perché scelgo le mie letture in base all’argomento. Devo, però, fare i conti con chi invece le guarda e renderle più attraenti e comunicative. Metterò ai voti qualche prova, appena avrò tempo di lavorarci.

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  10. Primo aneddoto: io faccio una collezione un po’ nerd e un po’ letteraria, come ogni ingegnere che voglia cadere nello stereotipo, restandone allo stesso tempo un po’ ai margini. Colleziono copie del piccolo principe in tutte le lingue del mondo. Mi sono dato una regola però, sarebbe semplice altrimenti ordinarle su internet: queste copie devono giungere a me o perchè comprate da me stesso sul luogo e portatemi da qualche amico o conoscente. In questo modo ogni copia mi ricorda una persona, un luogo, un evento. Anche perchè non sarei certamente in grado di leggere il piccolo principe in croato o in greco.
    Un giorno un mio amico era in procinto di recarsi in giappone, gli chiesi dunque, se avesse avuto il tempo di entrare in una libreria, di portarmi una copia in giapponese.
    Così, dopo qualche settimana aggiunsi anche il giapponese alla mia collezione. Come tutti sanno, o almeno chi ha mai preso in mano un manga sa, nei libri giapponesi la copertina corrisponde a quella che da noi è la quarta, ma ciò che mi colpì è che il libro aveva una sopracopertina anonima in semplice carta che potrebbe ricordare quella che da noi è usata come carta da pacchi. Per i giapponesi la lettura è un’attività così intima che la loro timidezza li porta a nascondere ogni segnale esteriore del libro che stanno leggendo, anche quando si tratta di una lettura innocente come il piccolo principe. Ma forse non ci sono letture innocenti.

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  11. Secondo aneddoto: Da ragazzo lessi un libro che resta ancora tra i miei libri preferiti di sempre, la storia infinita. Del libro ci sarebbero molte cose da dire, cose che vanno al di la della storia e dello stile, ci sarebbe da parlare di come ogni capitolo iniza con una lettera diversa dell’alfabeto, di come è scritto in due colori ecc. ecc.
    Ma qui si parla di copertine edella copertina parlerò. Ricordo la mia sorpresa quando rimossi la sopracopertina e mi trovai di fronte alla copertina in seta (similseta probabilmente) con i due serpenti dell’Auryn in rilievo. Era proprio lo stesso libro di cui parlava il libro, era proprio come veniva descritto nella storia, un po’ come se parte della storia uscisse fuori per ritrascinarrti dentro, un libro che parla di se stesso.
    Se questa può definirsi una copertina postmoderna non lo so, ma ci si avvicina molto 😉

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    • No, direi di no, ma il senso è quello: cioè che l’oggetto copertina partecipi pienamente ad aggiungere senso al libro. Quindi il fatto che la copertina simuli il libro di cui si parla nella storia è un buon esempio di questo tipo.

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      • Un libro che parla di se stesso è una delle cose più belle che si possano fare inletteratura (secondo me, che non conto), un po’ come l’incipit di se una notte d’inverno, no?

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  12. Ah, le copertine sono il mio debole! Mi piacciono non rigide, con illustrazioni semplici, anche molto colorate, ma evocative, non casuali e non semplicemente belle.
    Quando la Casa Editrice ha pubblicato il mio romanzo, mi ha lasciato la possibilità di scegliere tra un’immagine fornita da me e una elaborata da loro. Io avevo in mente già cosa volessi per quel libro, “giovane donna seduta” di Egon Schiele, ma in tutta sincerità il risultato loro non mi ha soddisfatto: il colore, la cornice, era tutto sbagliato. Questo con il cartaceo. Con l’ebook è andata diversamente: mi sono rivolta a un professionista che ha fatto un bel lavoro, salvando Schiele al quale tenevo particolarmente. In futuro, solo grafica impeccabile.

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    • Anch’io amo le copertine in cartoncino flessibile. Non amo invece le immagini. Preferisco una colorazione integrale o quasi, monocromatica o con una bella fusione di colori: in particolare, bianco e rosso, oppure rosso e nero. Anche il giallo non mi dispiace, ma da usare con accortezza per non causare nel lettore un fraintendimento (visto che solitamente si usa per il genere “giallo” e io non scrivo gialli).

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  13. E dopo gli aneddoti copertinistici parliamo un po’ di copertine postmoderne. O forse no.
    Sei mai passato nel reparto dei libri per bambini di una libreria? Io lo faccio sempre, ci sono libri con illustrazioni meravigliose (ok, sono anche gli unici libri che riesco più o meno a leggere in tedesco, ma questo non raccontarlo in giro :P) ma soprattutto se cerchi copertine che non siano semplici fogli di cartone con un’immagine e un paio di scritte le trovi lì. Ricordo una copertina che conteneva uno specchio al centro di una sorta di medaglione, in questo modo il lettore diventava subito il protagonista del libro, un’altro, parlava di animali, riproduceva la pelliccia di alcuni animali, in modo da fornire anche un0’esperienza tattile, poi ci sono quelli che riproducono antichi volumi con tanto di chiave per aprirli, altri che hanno dei popup animati altri in cui la copertina ha dei fori in cui puoi vedere alcune immagini delle pagine successive, creando nuovi disegni che poi si ripetono e si modificano pagina per pagina. Insomma ce n’è per tutti.
    La copertina per il mio libro non saprei, prima dovrei scriverlo. magari un popup, oppure semplicemente un foglio da disegno bianco e una matita, così che il lettore possa disegnare la sua.

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  14. Aggiungo che non mi piacciono le sopracopertine, quelle che puntualmente, quando leggo il libro tolgo, perché si riempiono di orecchiete e spiegazzature varie.
    Ah, l’idea del libro profumato non è male! 🙂

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  15. Credo che con la copertina vorrei trasmettere principalmente fascino, senza mostrare elementi della storia. Non aiuterei molto un disegnatore, con una descrizione del genere! Dipende comunque dal tipo di storia. 🙂

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