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Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

La volta scorsa abbiamo parlato del complemento oggetto e del complemento predicativo, sia del soggetto, sia dell’oggetto. Il nostro excursus non è terminato. Oggi parliamo di altre due unità sintattiche aggiuntive, quella dell’attributo e dell’apposizione, che al pari dei complementi concorrono a determinare valori o rapporti all’interno della frase.

L’Attributo

«L’attributo è un elemento aggettivale che qualifica e determina un nome, da cui dipende sintatticamente. Esso può essere espresso da un qualunque aggettivo, o anche da un participio usato come aggettivo». 

Luca Serianni, Grammatica Italiana

Nella pratica è molto semplice riconoscere un attributo, più di quanto non faccia sospettare la definizione del Serianni:

«Gallina vecchia fa buon brodo».

«Mio padre è un uomo intelligente e sensibile».

«Entro otto o nove giorni dovrei ricevere il mio primo pagamento da Mondadori».

Oltre ad aggettivi qualificativi, possessivi, numerali, ecc., possiamo trovare anche attributi participiali: «le sigarette nazionali sono migliori di quelle importate». Da notare che l’attributo può dipendere sintatticamente dal soggetto, o da un qualsiasi complemento, persino dal nome del predicato (predicato nominale: «mio padre è un uomo intelligente e sensibile»).

Anche i sintagmi preposizionali possono avere funzione attributiva: «ho comprato un vestito di qualità»; «mio fratello è uno studioso di valore»; «sono una donna semplice, con poche pretese».

Il tratto distintivo di un attributo, rispetto al complemento predicativo o al nome del predicato, è la sua dipendenza sintattica da un nome. Ad esempio:

  • «Mio padre è un uomo intelligente e sensibile».
  • «Mio padre è considerato da tutti intelligente e sensibile».
  • «Mio padre è intelligente e sensibile».

Nella seconda e terza frase i due aggettivi «intelligente» e «sensibile» non sono attributi, perché dipendono rispettivamente da un verbo estimativo («considerato da tutti»: complemento predicativo del soggetto), e da una copula espressa dal verbo essere («mio padre è …»). Nella prima frase, invece, dipendono da un sostantivo: «uomo».

Apposizione

«L’apposizione è un nome che si colloca accanto a un altro nome, per meglio descriverlo e determinarlo».

Luca Serianni, Grammatica italiana

Il termine deriva dal latino APPOSĬTIO, cioè: cioè che si appone, che si colloca vicino. Può sia precedere, sia seguire il nome cui si riferisce: «il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella», «Sergio Mattarella, presidente della Repubblica». Quando l’apposizione posposta indica un titolo o una carica, di norma si omette l’articolo.

L’apposizione, al pari dell’attributo, può dipendere sia dal soggetto, sia da un qualsiasi complemento. Il nome in apposizione può reggere svariati attributi e complementi, formando un sintagma appositivo complesso anche di notevole estensione: «Ma in quella entrava Ninì Rubiera, un giovanotto alto e massiccio che quasi non passava dall’uscio, bianco e rosso in viso, coi capelli ricciuti, e degli occhi un po’ addormentati che facevano girare il capo alle ragazze» [Verga, Mastro don Gesualdo].

Il singolo nome appositivo si trova più spesso preposto al sostantivo cui si riferisce. È il caso, ad esempio, dei nomi delle professioni o delle cariche: «l’avvocato Agnelli», «il cavalier Berlusconi» (non ricordo se è ancora cavaliere…), eccetera.

Un nome può essere seguito da più apposizioni: «Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra». Meno comunemente, un’apposizione può essere precisata e specificata da una seconda apposizione: «Bob Dole, capo del gruppo repubblicano al senato (il partito dello stesso Presidente)» [Esempio tratto dal Serianni, ndr].

Conclusioni

Post breve, quello di oggi: ho poca voglia; capita pure a me. Alla prossima; state bene.

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Note

Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET universitaria, 2006.

In calce: un quadro di Gerhard Richter.

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17 Comments on “Attributo e Apposizione”

  1. Buon lunedì, mannaggia, ma è già di nuovo lunedì?
    Comunque, visto che il mio ruole qui è di attribuire apponendole regole alla lingua tedesca (che poi sta frase non significa nulla, ma come già dicevo è lunedì). Insomma, gli aggettivi sono uno dei miei incubi peggiori della lingua tedesca, gli attributivi, quelli predicativi sono facili. Infatti, quando un aggettovo ha la funzione di attributo, in tedesco deve concordare in genere, numero e caso col sostantivo, e qui mi sembra di sentire la vocina inquietante (avete visto il settimo sigillo?) della mia prof di latino del liceo. Insomma ce ne sarebbe già abbastanza, ma no, non basta, se vuoi imparare il tedesco devi soffrire, infatti la desinenza dell’aggettivo cambia anche se il sostantivo è preceduto da articolo determinativo o indeterminativo.

    P.S. no, non lo è più, è decaduto.

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      • Già, ma genere e numero fanno 4 possibilità, genere numero e caso, contando che in tedesco c’è anche il neutro, e con 4 casi, fanno 12 possibilità, moltiplicate per due siamo a 24 😛

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        • A ecco, giusto!, nel tedesco c’è anche il neutro. Noi l’abbiamo perso già nel tardo latino, ma sicuramente nel passaggio da latino a volgare. Ne parlerò… 😉

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          • E non solo, a volte (spesso in realtà) il genere di una parola in tedesco non ha nulla a che vedere col genere della stessa parola in italiano, il tutto senza una logica, arrivando a casi davvero, come dire, tipo, perchè il maiale e il cavallo in tedesco sono neutri? ma soprattutto perchè è neutra la ragazza? 😛

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            • Strano, a quanto mi dicono le ragazze tedesche sono tutt’altro che fredde… 🙂

              Ti racconto questo aneddoto. Ero all’aeroporto Charles de Gaulle, in attesa d’imbarcarmi per Düsseldorf. Affianco a me c’era questa ragazza bionda, bel volto, ma davvero eccessivamente… robusta, a voler essere gentili. Aveva però un sorriso affascinante e occhi azzurrissimi. Indossava una tuta molto ampia e, a coprire, un poncho di lana (era tardo autunno e poteva essere giustificato dall’arietta che pizzicava la pelle). Una volta entrati nella cabina dell’aereo, la vedo tirare fuori abiti appallottolati da dentro la tuta. Ne riempie due grossi sacchi neri, tipo quelli usati per le pattumiere. Una volta nel pulmino, quello che ci ha traghettato dall’aereo all’aeroporto, la vedo sfilarsi gli abiti (tuta e poncho) fino a restare in mutande e reggiseno. Poi prende un abitino di quelli lunghi e attillati, bianco con strisce azzurre, e lo indossa. Il tutto senza il minimo imbarazzo. L’abito le cinge un fisico asciutto e snello, mettendo in risalto le forme armoniche del corpo. In quel momento mi trovavo a tre metri di distanza, di fronte a lei, con il cellulare in mano per rispondere a dei messaggi. Forse ha pensato che la stessi riprendendo con la videocamera incorporata. Mi ha sorriso strizzando un occhio.

              Avessi saputo la lingua…

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  2. Pingback: Il Complemento | Salvatore Anfuso – il blog

    • Più o meno, serve a introdurre ad esempio un ruolo ufficiale o a descrivere meglio il ruolo di un soggetto, tipo appunto: “Oggi ho incontrato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella”.

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  3. Mi piacciono i post brevi, quelli troppo lunghi a volte per mancanza di tempo non li riesco a leggere 😉
    Come investirai il tuo primo guadagno Mondadori?

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  4. Pingback: I Complementi indiretti | Salvatore Anfuso – il blog